Gaio Aurelio Cotta
Gaio Aurelio Cotta | |
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Console della Repubblica romana | |
Nome originale | Gaius Aurelius Cotta |
Nascita | 124 a.C. |
Morte | 74 a.C. |
Gens | Aurelia |
Consolato | 75 a.C. |
Gaio Aurelio Cotta (124 a.C. circa – 74 a.C.) è stato un politico e oratore romano, esponente della gens Aurelia.
Indice
1 Biografia
2 Il consolato
3 Cotta oratore
4 Albero Genealogico
5 Note
6 Bibliografia
7 Sitografia
Biografia |
Il padre Marco Aurelio Cotta era stato magistrato monetario nel 125 a.C.; la madre, Rutilia Rufa, era figlia di Publio Rutilio Rufo, Tribuno della Plebe nel 169 a.C. e sorella di Publio Rutilio Rufo, Console nel 105 a.C.. Rutilia era stata precedentemente sposata con Lucio Aurelio Cotta, Console nel 119 a.C., nonché fratello di Marco Aurelio Cotta. Dal loro matrimonio erano nati Lucio Aurelio Cotta, Tribuno della Plebe nel 95 a.C. e Pretore nel 90 a.C. e Aurelia Cotta, madre di Gaio Giulio Cesare.
I suoi due fratelli Marco Aurelio Cotta e Lucio Aurelio Cotta intrapresero la carriera politica diventando il primo, Console nel 74 a.C. e il secondo, Pretore nel 70 a.C., Console nel 65 a.C. e Censore nel 64 a.C.
Nel 92 a.C. difese in un processo lo zio Publio Rutilio Rufo, ingiustamente accusato di essersi macchiato di concussione ai danni delle popolazioni della provincia d'Asia, dove era Legato del governatore.[1]
Era in stretti rapporti con il Tribuno della Plebe nel 91 a.C.Marco Livio Druso, che fu ucciso quello stesso anno poiché a favore dell'estensione della cittadinanza romana agli Italici. Anche Gaio avanzò la candidatura al Tribunato, però senza successo [2]. Condivideva il disegno politico di Druso e ciò gli causò l'inimicizia del Senato a tal punto da essere accusato di aver sostenuto gli Italici durante la guerra sociale contro Roma. Alcuni giorni dopo la morte dell'oratore Crasso, nel settembre del 91 a.C., fu processato [3] , come prevedeva la Lex Varia de maiestate [4]. Gaio aveva commissionato la sua difesa all'oratore Lucio Elio Stilone, ma con scarso successo; infatti, per evitare una condanna, decise di andare in esilio volontario [5].
Non fece ritorno in Italia fino all'82 a.C., durante la dittatura dell'ottimate Lucio Cornelio Silla, vincitore della guerra civile [6]. Vicino allo stesso Silla, poté intercedere presso di lui, su richiesta della sorellastra Aurelia, perché desistesse dall'idea di ordinare l'uccisione del giovane nipote Gaio Giulio Cesare, che si era rifiutato di divorziare dalla moglie Cornelia. Per Silla, quest'unione era infatti intollerabile perché avrebbe costituito una nuova leadership politica unendo i discendenti di due celeberrimi ex capi popolari, Cinna e Mario.
Nel 78 a.C. ottenne la pretura urbana [7].
Il consolato |
Nel 75 a.C. divenne console in un periodo controverso della storia di Roma; infatti, erano gli anni delle rivolte di Quinto Sertorio in Spagna e di Spartaco in Italia, ma soprattutto il rincaro dei generi alimentari aveva peggiorato le condizioni di vita della plebe, ormai pronta alla rivolta armata. Cotta intervenne per sedare gli animi, con un celebre discorso rivolto al popolo, di cui ci offre testimonianza Sallustio, nei termini di una captatio benevolentiae [8]. Il discorso rivela la natura ambiziosa di Gaio e la debolezza di un uomo che, pur di ottenere il favore popolare, punta anche su toni patetici.
In qualità di console, inoltre, abrogò, attirando a sé le ostilità dell'aristocrazia, le leggi di Silla che impedivano ai tribuni della plebe di accedere alle magistrature superiori. Infatti, con la Lex Aurelia de tribunicia potestate, promosse l'ammissione degli ex tribuni alle alte magistrature e forse l'ammissione al tribunato anche di chi non fosse senatore.
[9].
Contemporaneamente, propose la Lex Aurelia de iudiciis privatis, di cui non si hanno ulteriori notizie, ma probabilmente ispirata a criteri democratici.
Dopo il consolato, ottenne alcune vittorie in Gallia di cui non abbiamo notizie, riuscendo ad ottenere dal Senato il trionfo; il giorno precedente alla cerimonia, tuttavia, morì a causa della riapertura di una vecchia ferita di guerra mal curata. Nelle opere di Cicerone, infatti, si legge che Gaio Aurelio Cotta fu colpito da un proiettile scagliato da una balista mentre si trovava in un villaggio della Gallia. Si trattò di un incidente, ma il proiettile diretto contro di lui lo colpì alle spalle, ferendolo. I soldati che avevano erroneamente scagliato il proiettile tentarono di dissimulare l'incidente, fingendo che si fosse trattato, in realtà, di un agguato ordito dai Galli Druidi; furono tuttavia processati e condannati a morte.
Alla sua morte, Gaio lasciò un posto vacante nel collegio dei pontefici, in cui aveva rivestito per molti anni il ruolo di pontefice massimo. Silla aveva stabilito che il collegio dovesse essere costituito da otto plebei e sette patrizi; tuttavia, alla morte di Gaio, vi erano nove plebei e solo sei patrizi, quindi la scelta del sostituto cadde su un patrizio, Cesare [10].
Cotta oratore |
Gaio Aurelio Cotta e Publio Sulpicio Rufo sono considerati i migliori giovani oratori del loro tempo [11]. Incapace di raggiungere le vette dell'arte oratoria, Cotta doveva i suoi successi principalmente alla ricerca e all'investigazione dei fatti. Si atteneva sempre a ciò che era essenziale nei casi che affrontava, evitando ogni inutile digressione; il suo stile era puro e semplice. Da Cicerone Cotta è introdotto come uno degli interlocutori del De oratore e del De natura deorum [12], nelle quali opere si evince anche la sua vicinanza alle posizioni della Nuova Accademia.
Al contrario dell'elogio che ne fa Cicerone, Sallustio parla di Cotta come un uomo schiavo dell'ambizione e attratto dal guadagno, accusandolo di aver restituito ai tribuni i loro privilegi solo per paura [13].
Albero Genealogico |
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Note |
^ Cicerone De oratore I-229 Neque vero hoc solum dixit, sed ipse et sensit et fecit: nam cum esset ille vir exemplum, ut scitis, innocentiae cumque illo nemo neque integrior esset in civitate neque sanctior, non modo supplex iudicibus esse noluit, sed ne ornatius quidem aut liberius causam dici suam, quam simplex ratio veritatis ferebat. Paulum huic Cottae tribuit partium, disertissimo adulescenti, sororis suae filio; dixit item causam illam quadam ex parte Q. Mucius, more suo, nullo apparatu, pure et dilucide.
^ Cicerone De oratore I-25 Exierant autem cum ipso Crasso adulescentes et Drusi maxime familiares et in quibus magnam tum spem maiores natu dignitatis suae conlocarent, C. Cotta, qui [tum] tribunatum plebis petebat, et P. Sulpicius, qui deinceps eum magistratum petiturus putabatur.
^ Cicerone De oratore III-11 ...non vidit eorum ipsorum, qui tum adulescentes Crasso se dicarant, horribilis miserosque casus; ex quibus [C.] Cotta, quem ille florentem reliquerat, paucis diebus post mortem Crassi depulsus per invidiam tribunatu non multis ab eo tempore mensibus eiectus est e civitate...
^ La Lex Varia fu voluta dal Tribuno Quinto Vario Ibrida nel 90 a.C.Cicerone Brutus 205 Sulpici orationes quae feruntur, eas post mortem eius scripsisse P. Cannutius putatur aequalis meus, homo extra nostrum ordinem meo iudicio disertissimus. ipsius Sulpici nulla oratio est, saepeque ex eo audivi, cum se scribere neque consuesse neque po sse diceret. Cottae pro se lege Varia quae inscribitur, eam L. Aelius scripsit Cottae rogatu. fuit is omnino vir egregius et eques Romanus cum primis honestus idemque eruditissimus et Graecis litteris et Latinis, antiquitatisque nostrae et in inventis reb us et in actis scriptorumque veterum litterate peritus. quam scientiam Varro noster acceptam ab illo auctamque per sese, vir ingenio praestans omnique doctrina, pluribus et inlustrioribus litteris explicavit.
^ Appiano Bellum civile I-37
^ Cicerone Brutus 311 Tumultus interim recuperanda re publica et crudelis interitus oratorum trium, Scaevolae Carbonis Antisti, reditus Cottae Curionis Crassi Lentulorum Pompei; leges et iudicia constituta, recuperata res publica; ex numero autem oratorum Pomponius Censorinus Murena sublati. tum primum nos ad causas et privatas et publicas adire coepimus, non ut in foro disceremus, quod plerique fecerunt, sed ut, quantum nos efficere potuissemus, docti in forum veniremus.
^ Tito Livio Ab Urbe condita XXX-27 C. Aurelio Cottae urbana evenit.
^ Sallustio Historiae II-47 Cittadini, molti pericoli, molte avversità incontrai in pace e in guerra: parte ne sopportai e parte ne scongiurai con l'aiuto degli dei e con il mio coraggio. In tutte quelle circostanze la mia forza d'animo non venne mai meno al dovere né l'energia alle decisioni. Lo scacco o il successo potevano mutare la mia potenza, non mai il mio carattere. Nelle presenti disgrazie, per contro, con la fortuna tutto mi ha abbandonato. Per di più la vecchiaia, già di per sé fastidiosa, raddoppia le mie preoccupazioni e nemmeno mi concede, misero e avanti negli anni come sono, di sperare in una morte onorevole. Giacché, se sono realmente il vostro carnefice e, pur avendo qui ricevuto per due volte la vita, calpesto i miei Penati e la patria e la suprema carica, quale supplizio in vita o quale pena dopo la morte sarà sufficiente per me? Alla mia scelleratezza sarebbero inadeguate tutte le torture favoleggiate presso gli Inferi. Fin dalla prima giovinezza ho sempre vissuto al vostro cospetto, sia come cittadino privato che come magistrato. Chiunque lo volle, poté giovarsi della mia facondia, dei miei consigli e del mio denaro: da parte mia non ho mai piegato l'eloquenza alla frode né l'intelligenza al mal fare. Benché avidissimo di credito personale, mi sono attirato tremende inimicizie per il bene dello Stato: ma quando, travolto da quelle assieme allo Stato e bisognoso dell'altrui soccorso, paventavo mali maggiori, voi, cittadini, mi restituiste la patria, gli dei, i Penati e la più alta carica. Per tanti benefici mi sembrerebbe troppo esiguo contraccambio il dare la mia vita per ognuno di voi: ciò che peraltro non mi è concesso, essendo vita e morte in signoria della natura. Tuttavia può ben esser data e ricevuta in dono una vita trascorsa onestamente fra i propri concittadini, in integrità di fama e di sostanze.
Mi avete eletto console, cittadini, in un frangente gravissimo per la patria, all'interno e all'estero. In Ispagna i nostri generali reclamano paga, truppe, armi, frumento: né potrebbero altrimenti, giacché la defezione degli alleati e la fuga di Sertorio sulla montagna non permettono di dare battaglia e di apprestare le cose necessarie. In Asia e in Cilicia manteniamo interi eserciti a causa delle soverchianti forze di Mitridate. La Macedonia pullula di nemici, al pari dei litorali dell'Italia e delle province, mentre il gettito dei tributi, esiguo ed incerto per via della guerra, copre appena una parte delle spese: sicché la flotta, che proteggeva i nostri convogli, è sensibilmente diminuita. Se questi malanni si sono addensati per tradimento o negligenza mia, seguite l'impulso dell'ira e consegnatemi al carnefice: ma se è il destino comune che si è inasprito, perché metter mani ad azioni insegne di voi, di me e dello Stato?
Quanto a me, non rifiuto quella morte a cui l'età già mi avvicina, se essa può valere a liberarvi di qualche malanno: tanto più che, soccombendo tra breve per legge di natura, non finirei i miei giorni in modo più onorevole che se mi immolassi per il vostro bene. Eccomi pronto, io, il console Caio Cotta: compio il gesto che spesso compirono i nostri antenati nella avversità della guerra: mi offro in olocausto alla patria. Ma voi meditate bene a chi potrete affidarla in seguito, poiché nessun galantuomo accetterà un tale incarico on la prospettiva di dovere o dar conto del destino, dello stato del mare, delle guerre combattute da altri o morire nell'infamia. Soltanto, cercate di ricordarvi che io non sarò stato suppliziato per condotta criminale e per rapacità, bensì che avrò immolato a voi la mia vita in cambio dei vostri immensi benefizi. In nome vostro, o cittadini, e per la gloria degli antenati, sopportate animosamente le avversità e datevi cura dello Stato. L'impero del mondo comporta vigile cura e molti onesti travagli: vano è il volersene sottrarre e il reclamare l'opulenza della pace quando province regni mari e terre sono completamente sconvolti e spossate dalla guerra
^ Sallustio Historiae III-34.8 Nisi forte C. Cotta, ex factione media consul, aliter quam metu iura quaedam tribunis plebis restituit.
^ Velleio Patercolo II 43,1 Idem mox ad sacerdotium ineundum (quippe absens pontifex factus erat in Cottae consularis locum, cum paene puer a Mario Cinnaque flamen dialis creatus victoria Sullae, qui omnia ab iis acta fecerat irrita, amisisset id sacerdotium) festinans in Italiam, ne conspiceretur a praedonibus omnia tunc obtinentibus maria et merito iam infestis sibi, quattuor scalmorum navem una cum duobus amicis decemque servis ingressus effusissimum Adriatici maris traiecit sinum.
^ Cicerone De oratore I-25,26 Exierant autem cum ipso Crasso adulescentes et Drusi maxime familiares et in quibus magnam tum spem maiores natu dignitatis suae conlocarent, C. Cotta, qui [tum] tribunatum plebis petebat, et P. Sulpicius, qui deinceps eum magistratum petiturus putabatur. Hi primo die de temporibus deque universa re publica, quam ob causam venerant, multum inter se usque ad extremum tempus diei conlocuti sunt; quo quidem sermone multa divinitus a tribus illis consularibus Cotta deplorata et commemorata narrabat, ut nihil incidisset postea civitati mali, quod non impendere illi tanto ante vidissent.
^ Cicerone De natura deorum III-5 Tum Cotta "Optime", inquit; "quam ob rem sic agamus, ut nos ipsa ducit oratio. Sed antequam de re, pauca de me. Non enim mediocriter moveor auctoritate tua, Balbe, orationeque ea, quae me in perorando cohortabatur, ut meminissem me et Cottam esse et pontificem; quod eo, credo, valebat, ut opiniones, quas a maioribus accepimus de dis immortalibus, sacra, caerimonias religionesque defenderem. Ego vero eas defendam semper semperque defendi nec me ex ea opinione, quam a maioribus accepi de cultu deorum inmortalium, ullius umquam oratio aut docti aut indocti movebit. Sed cum de religione agitur, Ti. Coruncanium, P. Scipionem, P. Scaevolam pontifices maximos, non Zenonem aut Cleanthen aut Chrysippum sequor habeoque C. Laelium augurem eundemque sapientem, quem potius audiam dicentem de religione in illa oratione nobili quam quemquam principem Stoicorum. Cumque omnis populi Romani religio in sacra et in auspicia divisa sit, tertium adiunctum sit, si quid praedictionis causa ex portentis et monstris Sibyllae interpretes haruspicesve monuerunt, harum ego religionum nullam umquam contemnendam putavi mihique ita persuasi, Romulum auspiciis, Numam sacris constitutis fundamenta iecisse nostrae civitatis, quae numquam profecto sine summa placatione deorum inmortalium tanta esse potuisset.
^ Sallustio Historiae II-42 ...ambitione tum ingenita largitione cupiens gratiam singulorum.
Bibliografia |
Appiano di Alessandria, Le guerre civili.
Gaio Sallustio Crispo, Historiae.
Marco Tullio Cicerone, De oratore; Brutus; De natura Deorum.
Tito Livio, Ab Urbe Condita.- Broughton-Thomas Robert Shannon, The Magistrates of the Roman Republic, American Philological Association, New York, 1951-52.
- Paulys Realencyclopadie der Classischen Altertumswissenschaft
- Rotondi Giovanni, Leges publicae populi Romani, Società Editrice Libraria, Milano, 1912.
- Luciano Canfora, Giulio Cesare. Il dittatore democratico, Laterza, 1999, ISBN 88-420-5739-8.
- Jérôme Carcopino, Giulio Cesare, traduzione di Anna Rosso Cattabiani, Rusconi Libri, 1993, ISBN 88-18-18195-5.
- (DE) Elimar Klebs: Aurelius 96). In: Paulys Realencyclopädie der classischen Altertumswissenschaft (RE). vol. II,2, Stuttgart 1896, Col. 2482–2484.
- Pareti Luigi, Storia di Roma e del mondo romano, Unione Tipografico-Editrice Torinese, Torino, 1955.
- Gruen Erich, The last generation of the Roman Republic,University of California Press, 1974.
- Munzer Friedrich, Roman aristocratic parties and families, The Johns Hopkins University Press, 1999.
- Andrea Frediani-Sara Prossomariti, Le grandi famiglie di Roma antica, Newton Compton Editori.
Sitografia |
- The Latin Library
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