Esarcato d'Italia
Esarcato d'Italia | |||||
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Informazioni generali | |||||
Nome ufficiale | Exharcatus Italiae | ||||
Nome completo | Esarcato d'Italia | ||||
Capoluogo | Ravenna | ||||
Suddiviso in | Eparchie (580-584): Annonaria Calabria Campania Aemilia Urbicaria Esarcato d'Italia e distretti (584-697): Pentapoli Roma Napoli Calabria Liguria Venezia ed Istria Esarcato e ducati (697-751): Roma Venezia Napoli Calabria | ||||
Amministrazione | |||||
Esarchi | elenco | ||||
Evoluzione storica | |||||
Inizio | 584? | ||||
Fine | 751 | ||||
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Cartografia | |||||
L'Esarcato d'Italia (conosciuto anche come Esarcato di Ravenna) è stato una circoscrizione amministrativa dell'Impero bizantino comprendente, tra il VI e l'VIII secolo, la maggior parte dei territori bizantini d'Italia. La sede era Ravenna e il termine Esarcato passò poi a descrivere in particolare il territorio attorno alla capitale, compresa la Pentapoli formata da Ravenna, Forlì, Forlimpopoli, Classe e Cesarea.
Indice
1 Storia
1.1 La prefettura d'Italia da Onorio alla riconquista giustinianea
1.2 Invasione longobarda
1.3 La riforma mauriziana: la nascita dell'Esarcato
1.4 Il pontificato di Papa Gregorio Magno
1.5 Regni di Foca e di Eraclio
1.6 Il regno di Costante II
1.7 L'inizio della crisi
1.8 La caduta dell'Esarcato
2 Cronotassi degli esarchi d'Italia
3 Ordinamento
3.1 L'esarca e i suoi sottoposti militari
3.2 Le autorità civili
4 Note
5 Bibliografia
6 Voci correlate
7 Altri progetti
8 Collegamenti esterni
Storia |
La prefettura d'Italia da Onorio alla riconquista giustinianea |
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Nel 395 Teodosio I lasciò in eredità il trono dell'Impero romano ai due figli: Arcadio fu imperatore d'Oriente; Onorio divenne imperatore romano d'Occidente. In seguito l'impero romano non sarebbe mai più ritornato sotto un unico sovrano.
La Prefettura d'Italia subì nel V secolo l'invasione dei popoli barbari: il primo ad attraversare le Alpi fu Alarico, re dei Visigoti. Giunse ad Aquileia nel 401 e da qui si diresse su Milano, che cinse d'assedio (402). Onorio, non sentendosi più al sicuro, si trasferì a Ravenna e vi stabilì la nuova capitale dell'Impero d'Occidente.
Nel 476 Ravenna cadde per un colpo di Stato militare del generale Odoacre che, a capo di una milizia di mercenari eruli, sciri, rugi e turcilingi (cioè della componente germanica delle truppe imperiali), spodestò Romolo Augusto e si impadronì della città. Il regno di Odoacre, il primo regno romano-barbarico esistente in Italia, si estese su tutta la Prefettura ma ebbe vita breve: nel 493 Odoacre fu sconfitto dal re degli Ostrogoti, Teodorico, che divenne il nuovo signore d'Italia. Il nuovo regno ostrogoto instaurato da Teodorico continuò a mantenere, come già in precedenza, l'organizzazione provinciale e statale romana.
Attorno alla metà del VI secolo l'imperatore Giustiniano I avviò un'imponente serie di campagne per la riconquista dell'Occidente e in particolare dell'Italia. Nella penisola l'imperatore diede inizio alla lunga e sanguinosa guerra contro gli Ostrogoti. Nel 539 venne riconquistata Ravenna, capitale dei Goti e sede prefettizia, e i Bizantini presero a nominarvi propri prefetti. La lunga campagna ebbe termine solamente nel 552-553 con la spedizione risolutiva del generale Narsete.
Il 13 agosto 554, con la promulgazione a Costantinopoli da parte di Giustiniano di una prammatica sanzione (pro petitione Vigilii) (Prammatica sanzione sulle richieste di papa Vigilio), la Prefettura d'Italia rientrava, sebbene non ancora del tutto pacificata, nel dominio romano.[2]
Narsete rimase ancora in Italia con poteri straordinari e riorganizzò anche l'apparato difensivo, amministrativo e fiscale. A difesa della prefettura furono stanziati quattro comandi militari, uno a Forum Iulii, uno a Trento, uno sulla regione dei Laghi maggiore e di Como e infine uno presso le Alpi Cozie e Graie.[3]
Invasione longobarda |
Nel 568 Giustino II, in seguito alle proteste dei Romani,[4] rimosse dall'incarico di governatore Narsete, sostituendolo con Longino. Il fatto che Longino sia indicato nelle fonti primarie[5] come prefetto indica che governasse l'Italia in qualità di prefetto del pretorio, anche se non si può escludere che fosse anche il generale supremo delle forze italo-bizantine.[6]
Proprio nel 568, però, l'Italia venne invasa dai Longobardi di re Alboino; le reali ed esatte motivazioni dell'invasione non sono chiare. Secondo una leggenda, i Longobardi furono invitati per ripicca da Narsete, adirato con l'Imperatore e l'Imperatrice.[5] Tale narrazione viene tuttavia ritenuta inattendibile dalla storiografia moderna.[7] Gli storici moderni ritengono più probabile che i Longobardi abbiano invaso l'Italia piuttosto perché incalzati dall'espansionismo degli Avari.[8] Altri studiosi invece, nel tentativo di rendere più credibile la diceria dell'invito di Narsete, hanno congetturato che i Longobardi potrebbero essere stati invitati in Italia dal governo bizantino con l'intenzione di utilizzarli come foederati per contenere eventuali attacchi franchi, ma le loro asserzioni non sono verificabili e universalmente condivise.[9] Secondo la versione riportata da Paolo Diacono, il giorno di Pasqua del 568 Alboino entrò in Italia. La popolazione barbarica, entrata attraverso le Alpi Giulie, conquistò dapprima Forum Iulii, costringendo il presidio militare bizantino, in numero esiguo rispetto agli invasori, a ripiegare prima su Grado, poi in successione, passando per la Via Postumia, su Treviso, Vicenza e Verona. Nel settembre 569 i Longobardi arrivano a Milano. Sono state avanzate varie ipotesi sui motivi per cui Bisanzio non ebbe la forza di reagire all'invasione:[9]
- la scarsità delle truppe italo-bizantine
- la mancanza di un abile stratega dopo la destituzione di Narsete
- il probabile tradimento dei Goti presenti nelle guarnigioni che, secondo alcune ipotesi, avrebbero aperto le porte ai Longobardi
- l'avversione delle genti locali per la politica religiosa di Bisanzio (Scisma tricapitolino)
- la possibilità che siano stati i Bizantini stessi a invitare i Longobardi nel Nord Italia per utilizzarli come foederati
- una pestilenza seguita da una carestia aveva indebolito l'esercito italo-bizantino
- la prudenza dell'esercito bizantino che in genere, invece di affrontare subito gli invasori con il rischio di patire gravi perdite nell'organico, attendeva che i nemici si ritirassero con il loro bottino, e solo in caso di necessità interveniva.
Così negli anni settanta del secolo i Longobardi posero la loro capitale a Pavia conquistando tutto il Nord della Penisola tranne le coste della Liguria e del Veneto. Al Centro e al Sud si formarono invece i ducati longobardi di Spoleto e Benevento, i cui duchi fondatori (Zottone a Benevento e Faroaldo a Spoleto) non sembrerebbero essere venuti in Italia con Alboino, ma secondo alcune congetture - ora divenute maggioritarie - sarebbero arrivati in Italia già prima del 568, come foederati al servizio dell'Impero rimasti in Italia dopo la guerra gotica; solo nel 576, dopo il fallimento della spedizione contro i Longobardi del generale bizantino Baduario,[10] i foederati Longobardi di Spoleto e Benevento si sarebbero rivoltati a Bisanzio, formando questi due ducati autonomi.[11] Dopo la nascita dei due ducati longobardi meridionali, ora Roma era apertamente minacciata e nel 579 fu essa stessa assediata; il senato romano inviò richieste di aiuto all'Imperatore Tiberio II, ma questi - essendo impegnato sul fronte orientale - non poté far altro che consigliare al senato di corrompere col denaro i duchi longobardi per spingerli a passare dalla parte dell'Impero e combattere in Oriente al servizio di Bisanzio contro la Persia, oppure di comprare un'alleanza con i Franchi contro i Longobardi.[12]
La Descriptio orbis romani di Giorgio Ciprio, opera geografica redatta all'inizio del VII secolo, suddivideva in cinque province o eparchie l'Italia bizantina:
Urbicaria, comprendente i possedimenti bizantini in Liguria, Toscana, Sabina, Piceno, e Lazio litoraneo (tra cui Roma);
Annonaria, comprendente i possedimenti bizantini nella Venezia e Istria, in Aemilia, nell'Appennino settentrionale e nella Flaminia;
Aemilia, comprendente i possedimenti bizantini nella parte centrale dell'Aemilia, a cui si aggiungono l'estremità sud-occidentale della Venezia (Cremona e zone limitrofe) e l'estremità sud-orientale della Liguria (con Lodi Vecchio);
Campania, comprendente i possedimenti bizantini nella Campania litoranea, nel Sannio e nel Nord dell'Apulia;
Calabria, comprendente i possedimenti bizantini nel Cilento, in Lucania e nel resto dell'Apulia.
Alcuni studiosi, ritenendo attendibile la Descriptio orbis romani di Giorgio Ciprio, hanno supposto che la suddivisione dell'Italia in cinque eparchie sarebbe stata il frutto di una presunta riforma amministrativa dell'Italia attuata intorno al 580 dall'Imperatore Tiberio II, che avrebbe anticipato per certi aspetti la fondazione dell'esarcato, realizzata alcuni anni dopo. Secondo questi studiosi, come il Bavant, con la suddivisione dell'Italia in cinque eparchie e la conseguente introduzione dei «tratti limitanei», si sarebbe tentato di migliorare le difese dei residui territori rimasti in mano imperiale in modo da renderli in grado di respingere gli assalti dei Longobardi, essendo fallito ogni tentativo (compresa la spedizione di Baduario) di espellerli dall'Italia.[13] Altri studiosi (come il Cosentino), invece, hanno messo in dubbio l'esistenza di questa presunta riforma amministrativa, giudicando inattendibile la sezione relativa all'Italia dell'opera di Giorgio Ciprio, il quale, essendo molto probabilmente armeno, era verosimilmente poco informato sull'Italia e potrebbe aver preso o dedotto la suddivisione dell'Italia in cinque eparchie da fonti disorganiche non direttamente provenienti dalla cancelleria imperiale, risultando in una generale inattendibilità di quella sezione; d'altronde, tale suddivisione dell'Italia in cinque eparchie, a dire del Cosentino, risulterebbe anche andare in contrasto con quanto riferito da fonti coeve italiche, come l'epistolario di Papa Gregorio Magno e le epigrafi.[14]
La riforma mauriziana: la nascita dell'Esarcato |
L'esarcato nacque come conseguenza di una trasformazione amministrativa che interessò contemporaneamente Italia e Africa tra il 572 e il 582.[15] In Italia, la militarizzazione dei residui territori bizantini fu dovuta all'esigenza di migliorarne le difese, per far fronte alla minaccia longobarda. La separazione del potere civile da quello militare era stato il cardine della politica imperiale, da Diocleziano a Costantino. L'unificazione dei due poteri fu una necessità imposta dagli eventi. L'autorità civile non venne subito soppressa, ma perse sempre maggiore importanza a vantaggio degli ufficiali militari, che accentrarono poteri sia civili che militari.[16]
Le province, pur perdurando le cariche civili (come quella di Prefetto del pretorio d'Italia), vennero subordinate al governo dei comandanti militari, detti duces;[17] nel tempo, il termine di ducato prese a sovrapporsi a quello di provincia. I duces, o magistri militum, erano a capo degli eserciti regionali, mentre a presidio delle singole città erano posti reggimenti (numeri) di 500 soldati circa a capo dei quali vi era un tribunus o un comes.[18] I duchi dipendevano direttamente dall'esarca, il governatore generale dei domini bizantini in Italia. L'esarca riuniva in sé sia l'autorità civile che quella militare e risiedeva a Ravenna, nel palazzo di Teodorico. Nominato direttamente dall'Imperatore, reggeva teoricamente tutta l'Italia (ad regendam omnem Italiam). L'esarca era scelto nel ristretto novero di coloro che possedevano la carica di patricius (patrizio).[16]
La prima menzione all'Esarcato d'Italia si trova in una lettera di Papa Pelagio del 4 ottobre 584. La lettera nomina, in un punto, il patrizio Decio; in un'altra parte parla dell'esarca, senza chiarire se si stesse effettivamente parlando della stessa persona.[19] Diversi studiosi indicano Decio come primo Esarca conosciuto.[20] Altri sono invece più prudenti.[21] Nella medesima lettera si comprende come Ravenna fosse in pericolo poiché viene affermato che l'Exarchus non poté offrire aiuto a Roma contro i Longobardi in quanto già a stento riusciva a difendere la propria città.
Maurizio, nel 584, riformò l'organizzazione dell'esarcato ripartendone i territori in sette distretti, strettamente controllati e governati dall'esarca di Ravenna:
- l'Esarcato propriamente detto (dal fiume Panaro a Ravenna);
- la Pentapoli;
- il Ducato romano;
- la Liguria;
- la Venezia e l'Istria;
- il Ducato di Napoli
- il Ducato di Calabria (comprendente il Bruzio e la parte meridionale dell'Apulia).
La popolazione locale fu tenuta a concorrere alla difesa del territorio, che andava ad affiancare i soldati di professione.[22] Veniva così a formarsi un'efficiente macchina difensiva dei territori rimasti, principalmente situati sulle coste, dove maggiormente potevano farsi sentire il potere imperiale e la flotta bizantina.
Essendo impegnato in altri fronti contro nemici temibili come Avari e Sasanidi, Maurizio non poté far altro che combattere i Longobardi tramite l'alleanza con i Franchi, che istigò a invadere la Longobardia. Il re dei Franchi Childeberto II invase una prima volta il territorio longobardo nel 584, ma i Longobardi riuscirono ad ottenere il suo ritiro pagando un tributo.[23] Fu proprio a causa di questa incursione che i Longobardi si risolsero a eleggere un nuovo re in Autari dopo dieci anni di interregno e di anarchia («periodo dei Duchi»). Una seconda invasione franca, avvenuta l'anno successivo, non diede frutti a causa della disunione dell'esercito invasore.[24] Contemporaneamente Bisanzio cercava di corrompere alcuni duchi longobardi cercando di portarli dalla propria parte: uno di questi, Droctulfo, riuscì a riconquistare per l'Impero la città di Classe.[25] Nel 585 venne firmata una prima tregua, di durata triennale, tra Longobardi e Bizantini.
Intanto, in materia religiosa, si consumava proprio in quegli anni una profonda crisi dovuta al cosiddetto Scisma dei tre capitoli. Il contrasto era causato dalla condanna, in occasione del Quinto concilio ecumenico, nel 551 da parte dell'Imperatore Giustiniano I, degli scritti di tre teologi orientali, ritenuti dai monofisiti in odor di eresia, poiché accusati di essere vicini al nestorianesimo. Roma si era adeguata al volere imperiale, ma gli arcivescovi di Milano e Aquileia si erano rifiutati di obbedire e si erano dichiarati scismatici. Milano era ritornata, poco dopo, sui suoi passi, ma Aquileia restò ferma nei suoi propositi, proclamandosi Patriarcato e i Longobardi ne approfittarono spalleggiando politicamente il patriarca aquileiense. Nel 587 la questione esplose quando il Patriarca di Aquileia venne fatto arrestare a Grado, dove aveva la propria sede, insieme ad alcuni vescovi istriani, per ordine dell'esarca Smaragdo, e poi imprigionato a Ravenna per circa un anno, dove fu costretto a rinnegare lo scisma. Una volta liberato e rientrato a Grado, egli tornò però a sposare le tesi scismatiche, fomentando le contestazioni dei vescovi dipendenti del Patriarcato di Aquileia per l'atteggiamento di Smaragdo e l'esarca venne richiamato a Costantinopoli.
Al suo posto si insediò Giuliano che, molto probabilmente, restò in carica per pochi mesi.[26]
Il pontificato di Papa Gregorio Magno |
Dopo Giuliano, la carica di esarca venne assunta da Romano, il quale riprese le operazioni belliche contro i Longobardi. Nel 590 venne stretta un'alleanza con i Franchi di Childeberto II, allo scopo di annientare i Longobardi. Il re franco inviò in Italia un esercito, di cui una parte si diresse verso Verona, mentre i Bizantini, guidati dall'esarca, attaccavano i Longobardi conquistando Altino, Modena e Mantova e ottenendo la sottomissione dei duchi longobardi di Parma, Reggio e Piacenza. Dopo gli iniziali successi, però, proprio quando i Longobardi erano sul punto di cedere, all'improvviso i Franchi rientrarono in patria, per poi non tornare più sul campo di guerra.[27] I Bizantini non furono più in grado di condurre la guerra, così per Bisanzio sfumò l'ultima occasione per scacciare i Longobardi e ricostituire l'unità della penisola. L'esarcato recuperò un po' di terreno, ma dopo questa campagna le condizioni socio-economiche nella penisola erano ulteriormente deteriorate.
Nel 591, inoltre, il duca di Spoleto, Ariulfo, appena asceso al ducato, iniziò a condurre una politica espansionistica a danni dei Bizantini, conquistando le città del corridoio umbro che collegava Roma con Ravenna e assediando la Città Eterna stessa, da cui si ritirò solo dopo aver estorto alla città attaccata un tributo; nel frattempo anche Napoli era minacciata dai Longobardi di Benevento. L'esarca non intervenne in aiuto di Roma, nonostante le richieste di aiuto di Papa Gregorio, il quale, dopo l'assedio, scrisse all'arcivescovo di Ravenna, Giovanni, lamentandosi per il comportamento dell'esarca, che «...rifiuta di combattere i nostri nemici e vieta a noi di concludere la pace».[28] Papa Gregorio, infatti, vista la latitanza del potere imperiale, cercò di negoziare la pace con i Longobardi, in modo da alleviare le sofferenze alla popolazione romana: iniziava così l'attività politica e temporale della chiesa di Roma.
Nel 592 Romano, venuto a conoscenza che Papa Gregorio era in trattative con il Ducato di Spoleto per una pace separata, si mosse per rompere le trattative, un po' perché non tollerava l'insubordinazione del Pontefice, che stava trattando con il nemico senza alcuna autorizzazione imperiale, un po' perché concludere la pace in quel momento avrebbe riconosciuto il corridoio umbro in mani longobarde, cosa che l'esarca non intendeva che accadesse. Nel luglio 592, quindi, l'esarca, partendo da Ravenna, raggiunse via mare Roma e dalla Città Eterna partì alla riconquista delle città del Corridoio umbro: dopo una breve campagna, riuscì a liberarle.[29] Questa iniziativa, come previsto, ruppe le trattative di pace che Papa Gregorio aveva avviato con i Longobardi, provocando un ulteriore peggioramento dei rapporti con il pontefice, che si lamentò in seguito del comportamento dell'esarca, che aveva impedito che si giungesse a una tregua «senza alcun costo per l'Impero» con i Longobardi. La campagna di Romano non generò però solo lo sdegno del pontefice, ma anche la reazione di re Agilulfo, che da Pavia marciò in direzione di Perugia, dove giustiziò il duca longobardo traditore Maurisione, reo di aver consegnato la città all'Impero, e poi assediò Roma (593), da cui si ritirò solo dopo aver estorto un tributo di 5.000 libbre d'oro.[30]
Papa Gregorio Magno continuò ad insistere per una pace, cercando di convincere Severo, uno dei funzionari (con la carica di scolastico) di Romano, a convincere l'esarca a firmare una tregua con i Longobardi,[31] ma senza alcun risultato apprezzabile; anzi, i suoi tentativi subirono la disapprovazione dell'Imperatore Maurizio.[32] Le trattative di pace non andarono avanti, perché sempre ostacolate dall'esarca Romano, «la cui malizia è persino peggiore delle spade dei Longobardi, tanto che i nemici che ci massacrano sembrano miti in comparazione con i giudici della Repubblica che ci consumano con la rapina...»[33] (così scrisse Papa Gregorio Magno al vescovo di Sirmio nella prima metà del 596), e, nel 596, alcuni affissero su una colonna a Ravenna uno scritto satirico insultante il Pontefice e la sua politica per il raggiungimento della pace, il quale volle scomunicare gli autori del gesto.
Dopo la morte di Romano (596), divenne esarca Callinico, il quale si mostrò molto più malleabile del predecessore. Con lui, grazie alla mediazione di papa Gregorio, si arrivò nel 598 a una tregua, seppur "armata", di durata biennale, con il re longobardo Agilulfo.[34] Nel 601, tuttavia, l'esarca approfittò della ribellione dei duchi longobardi del Friuli e di Trento, catturando la figlia del re insieme ad altri familiari. I Longobardi reagirono prontamente e conquistarono Mantova, Cremona, Padova e Monselice.[35]
Nel 603 Smaragdo ritornò al governo di Ravenna e appoggiò nuovamente il Papa nella lotta contro gli scismatici tricapitolini. Il nuovo esarca, non potendosi attendere aiuti da Oriente, non poté far altro che stringere una tregua contro i Longobardi che venne rinnovata di anno in anno fino alla fine del regno di Agilulfo.[36] Nel frattempo, nel 604, morì Papa Gregorio Magno.
Regni di Foca e di Eraclio |
Nel 605, scaduta la tregua biennale, i Longobardi occuparono Bagnoregio e Orvieto, dopodiché la tregua fu rinnovata per un anno e, scaduta questa, per altri tre anni.[37]
Nel 606 attraverso l'intervento di Smaragdo fu eletto a Grado un nuovo Patriarca, favorevole a Roma: questo evento provocò un ulteriore frattura nella Chiesa, con l'elezione ad Aquileia di un altro patriarca che sposava ancora le tesi scismatiche, spalleggiato dai Longobardi. Benché lo scisma fosse ricomposto verso la fine del VII secolo, infatti, la separazione tra i due patriarcati delle Venezie sarebbe stata destinata a durare per molti secoli.[38]
Smaragdo rimase in carica fino ad almeno al 608, quando è attestato per l'ultima volta nelle fonti (epigrafe CIL VI, 1200, riguardante la dedica di una statua in onore di Foca a Roma); si ritiene che fu sostituito, sotto Foca o sotto Eraclio, da un certo Fozio, di cui non si sa nulla, a parte che fu esarca.[38] Nel frattempo a Bisanzio Eraclio I, deposto Foca, divenne Imperatore romano. Questi avviò una serie di riforme che cambiarono in modo notevole la fisionomia dello Stato romano-orientale, tanto che nel 629 la stessa titolatura imperiale mutò da Imperator Caesar Augustus - Aυτοκράτωρ Kαîσαρ Aΰγουστος (Imperatore Cesare Augusto) a Bασιλεύς (Re).[39] A Ravenna, sotto il regno di Eraclio, divennero esarchi, in successione, Giovanni I Lemigio, Eleuterio e Isacio.
L'esarca Giovanni (chiamato Lemigio da una fonte molto tarda) continuò a rinnovare la pace con i Longobardi. Il mancato pagamento del soldo generò tuttavia una seria sedizione dell'esercito a Ravenna nel 616, a cui dovette forse prendere parte anche la popolazione, inasprita dall'eccessivo fiscalismo, che cagionò l'assassinio dell'esarca Giovanni.[40] Il ruolo rivestito dai iudices rei publicae nella rivolta resta incerto, essendo il Liber Pontificalis sibillino a proposito: secondo alcune fonti moderne essi sarebbero stati uccisi dai rivoltosi insieme all'esarca Giovanni, mentre secondo altre essi sarebbero stati nominati dai ribelli dopo l'uccisione dell'esarca, e poi giustiziati per ordine dell'esarca Eleuterio.[41] Quasi contemporaneamente anche Napoli si rivoltava, eleggendo un sovrano autonomo da Bisanzio, Giovanni Consino. L'Imperatore Eraclio reagì immediatamente: inviò il suo cubiculario Eleuterio, nominato esarca, con un esiguo esercito per soffocare le sedizioni in Italia. Repressa con estrema durezza la rivolta di Ravenna, giustiziando i facinorosi,[42] l'esarca si mosse con l'esercito in direzione di Napoli e, dopo aver effettuato una sosta a Roma, dove fu ricevuto calorosamente da Papa Adeodato I, stroncò anche la rivolta napoletana di Giovanni Consino, giustiziato, insieme ai suoi seguaci, per ordine di Eleuterio.[43] Ritornato a Ravenna, pagò ai soldati la roga, ovvero il soldo arretrato, e, secondo il biografo di Papa Adeodato, ciò determinò il ritorno della pace in Italia, segno che le rivolte erano dovute a un ritardo nelle paghe.[42] Dopo aver tentato senza successo di combattere con i Longobardi, venendo sconfitto ripetutamente dal duca Sundrarit e costretto a pagare un tributo di 500 libbre d'oro, Eleuterio decise nel 619 di usurpare la porpora, proclamandosi Imperatore romano d'Occidente: secondo lo studioso Bertolini, l'intento dell'esarca ribelle era quello di «ridare all'Italia un impero indipendente, pari di rango all'impero in Oriente»,[44] anche se non si può escludere, come sostiene T.S. Brown, che «le sue ambizioni contemplassero soltanto l'instaurazione, nell'Italia bizantina, di un governo autonomo».[40] Poco tempo dopo aver assunto la porpora, Eleuterio si recò dall'arcivescovo di Ravenna Giovanni IV, con ogni probabilità per farsi da lui incoronare (all'epoca era prassi che un nuovo imperatore fosse incoronato da un ecclesiastico)[45]; l'arcivescovo, tuttavia, evitò di prendersi questa responsabilità, forse temendo l'ira di Eraclio nel caso l'usurpazione fosse stata repressa; consigliò,[46] piuttosto, Eleuterio di recarsi a Roma per farsi incoronare nell'antica Caput Mundi,[46] o dal papa (secondo Ravegnani)[45] o dal senato romano (secondo Bertolini).[44] Eleuterio, reputando valido il consiglio, iniziò i preparativi per il viaggio.[47] Secondo lo studioso Classen, si trattava della «prima marcia di incoronazione a Roma della storia del mondo».[48] Giunto nei pressi di Castrum Luceoli con un esiguo seguito, l'esarca ribelle fu ucciso da soldati fedeli a Eraclio.[46]
Dopo un breve periodo dal 619 al 625 in cui fu forse esarca il "patrizio Gregorio" che secondo Paolo Diacono si rese reo dell'uccisione proditoria dei duchi del Friuli Tasone e Caco,[49] nel 625 giunse a Ravenna un nuovo esarca, Isacio, di stirpe armena, probabilmente appartenente alla casata dei Kamsarakan.[50] Appena arrivato, l'esarca ricevette un'epistola da Papa Onorio I, che gli chiedeva di aiutare il re longobardo Adaloaldo a recuperare il trono usurpatogli da Arioaldo, ma l'esarca decise di rimanere neutrale, favorendo Arioaldo, che così poté mantenere il trono.[49] Secondo una notizia di dubbia attendibilità del cronista dei Franchi Fredegario, intorno al 630 Arioaldo contattò Isacio, chiedendogli di uccidere proditoriamente il duca ribelle di Tuscia Tasone, offrendogli in cambio la riduzione del tributo che l'esarcato doveva versare ai Longobardi da tre a due centenaria.[51] Isacio, allora, contattò Tasone, convincendolo a recarsi a Ravenna disarmato per stringere con lui un'alleanza; quando, però, Tasone entrò nella capitale dell'esarcato, fu assalito all'improvviso dai soldati dell'esarca, che lo uccisero; Arioaldo, soddisfatto del risultato, mantenne la promessa della riduzione del tributo.[51] Il racconto di Fredegario, tuttavia, è ritenuto sospetto in quanto molto simile, seppur con delle differenze,[52] con l'episodio dell'uccisione dei duchi del Friuli Tasone e Caco ordita a Oderzo (nel Veneto) dal patrizio Gregorio tra il 619 e il 625 narrato da Paolo Diacono.[49]
Sotto Isacio si ebbe un nuovo inasprimento delle tensioni con la Chiesa romana: Eraclio, in quegli anni, aveva infatti promulgato l'Ekthesis, cioè un editto con cui l'imperatore interveniva nelle dispute cristologiche sancendo la duplice natura umana e divina del Cristo, ma l'unicità della sua volontà, il Monotelismo. Il provvedimento aveva incontrato gravi resistenze in Occidente e Isacio reagì in materia brutale. Nel 640, sfruttando il malcontento dei soldati per i forti ritardi della paga, il chartularius Maurizio istigò i militari a fare rappresaglia contro il Pontefice, accusato di aver sottratto il compenso dovuto, e quindi, dopo tre giorni di assedio, fu sequestrato il tesoro della Chiesa romana custodito nel Laterano.[53] Poco dopo arrivò a Roma anche Isacio, che bandì alcuni ecclesiastici, fece l'inventario del tesoro sequestrato e lo inviò in parte a Costantinopoli ad Eraclio e parte lo tenne per sé.[54] In seguito (intorno al 642), Isacio dovette fronteggiare la rivolta a Roma dello stesso Maurizio, che ottenne l'appoggio dei soldati nelle fortezze circostanti accusando l'esarca di avere l'intenzione di usurpare la porpora.[55] Isacio inviò il sacellario e magister militum Dono nella Città Eterna per sedare la rivolta,[55] missione coronata dal successo: Maurizio, abbandonato dai suoi stessi uomini, fu catturato in una chiesa di Roma detta Ab Praesepe[55] e, per ordine dell'esarca, decapitato a Cervia e la sua testa esposta al circo di Ravenna.[56] Gli altri prigionieri, messi in carcere in attesa di conoscere la loro pena, si salvarono grazie all'improvvisa morte dell'esarca (avvenuta, secondo la testimonianza ostile del Liber Pontificalis, per intervento divino), che determinò la loro liberazione.[56] È possibile che Isacio sia stato ucciso dai Longobardi durante la battaglia dello Scultenna nel 643 (si veda più sotto).[57]
Nel frattempo, con l'ascesa al trono di re Rotari, avvenuta nel 636, a settentrione cresceva la pressione longobarda. Rotari attaccò ed espugnò nel 639 Oderzo e Altino, le ultime città nell'entroterra veneto ancora in mano bizantina, costringendo gli abitanti di Oderzo a trasferirsi a Eraclea, mentre quelli di Altino a Torcello.[58] Nel 643 Rotari attaccò l'esarcato e, secondo Paolo Diacono, inflisse nella battaglia dello Scultenna una grave sconfitta all'esercito bizantino (probabilmente anche l'esarca stesso perì nel corso della battaglia), anche se la vittoria longobarda va ridimensionata poiché Rotari non riuscì a conquistare Ravenna né i suoi dintorni, segno che, pur perdendo, i Bizantini erano riusciti a fermare l'avanzata del re longobardo.[57] Il vuoto di potere creatosi nell'Italia bizantina in seguito alla battaglia (e alla probabile morte dell'esarca) permise comunque a Rotari di occupare la Liguria bizantina.[59]
Il regno di Costante II |
Morti Eraclio e i suoi immediati successori e diventato imperatore Costante II, questi emanò in materia religiosa il Typos, con il quale aboliva l'editto eracliano, ma allo stesso tempo vietava le discussioni cristologiche.[57] La Chiesa romana si oppose e papa Martino I condannò il Monotelismo e i due editti imperiali. Costante inviò allora due successivi esarchi con l'incarico di arrestare il papa: dapprima Olimpio, il quale resse l'esarcato per un paio di anni, fallendo la propria missione e morendo a causa di una pestilenza mentre si apprestava ad affrontare gli arabi in Sicilia; in seguito Teodoro Calliope, il quale marciò su Roma e riuscì ad arrestare il Papa e portarlo a Costantinopoli nel 654.[60] Martino, dopo essere stato incarcerato e aver subito pesanti umiliazioni, venne accusato di alto tradimento dal Senato e fu condannato a morte. La condanna fu però sospesa da Costante II e la pena di morte commutata in esilio perpetuo a Cherson. Il suo posto era stato preso da papa Eugenio I, eletto perché gradito a Costante.
Nel 663 lo stesso Costante sbarcò con un esercito a Taranto per muovere guerra contro i longobardi di Benevento, che assediò.[61] Intervenne il re longobardo Grimoaldo, che costrinse Costante a levare l'assedio e a ripiegare verso Napoli; da qui Costante compì un ultimo tentativo di prendere il ducato beneventano inviando il generale Saburro contro il duca di Benevento Romualdo, che riuscì però a infliggere una decisiva sconfitta ai Bizantini a Forino, in seguito alla quale le velleitarie aspirazioni di riconquista di Costante tramontarono.[62] Da Napoli, l'imperatore si diresse quindi verso Roma, dove fu accolto dal nuovo Papa e dai romani - era la prima volta dalla caduta dell'Impero d'Occidente che un Imperatore romano rimetteva piede nell'antica capitale -, fermandovisi una dozzina di giorni prima di tornare a Napoli e infine muovere verso Siracusa, dove pose la sua residenza, con lo scopo di controllare meglio i movimenti degli arabi.[63]
Per il suo governo autoritario e per l'aumento eccessivo delle tasse, oltre ovviamente per la sua politica religiosa ostile alla Chiesa Romana, Costante si attirò l'odio della popolazione e nel 668 venne organizzata una congiura che lo assassinò. I cospiratori elessero imperatore l'usurpatore Mecezio; tuttavia Costantino IV, figlio di Costante, secondo almeno le fonti primarie,[64] non appena ne fu informato, decise di vendicare di persona la morte del padre assumendo il comando della spedizione per deporre l'usurpatore e riprendere il controllo della Sicilia. Una volta sconfitto e giustiziato l'usurpatore e vendicata la morte del padre, Costantino ritornò a Costantinopoli. Secondo gli storici moderni, invece, la rivolta di Mecezio sarebbe stata sedata dall'esarca e non da Costantino IV.[65]
L'inizio della crisi |
Sotto il successore Costantino IV l'Impero bizantino si trovò in una lotta mortale contro gli Arabi e i Bulgari. Nel frattempo i rapporti tra la Chiesa Romana e Costantinopoli, deterioratisi durante il regno di Costante, migliorarono: l'Imperatore infatti revocò tra il 676 e il 678 l'autocefalia (cioè la separazione della Chiesa Ravennate dalla giurisdizione del Papa), stabilita da Costante nel 666 nel tentativo di togliere poteri alla Chiesa, e nel 680 con il Sesto Concilio Ecumenico convocato dall'Imperatore venne condannato il monotelismo.[66] Sempre nel 680 venne sottoscritto un trattato di pace con il regno longobardo con il quale per la prima volta i Bizantini riconoscevano ai Longobardi il possesso dei territori da essi occupati in Italia.[67]
La pace del 680 tuttavia non impedì ai Longobardi di Benevento di espandersi a danno dei Bizantini: nel 687 un esercito longobardo condotto dal duca di Benevento Romualdo I valicò il fiume Bradano, zona di confine tra i due stati, soggiogando parte della Puglia bizantina tra cui Brindisi e Taranto. Dopo tali campagne di conquista il dominio bizantino in Puglia e in Calabria si era ridotto praticamente alla Calabria meridionale e Otranto e Gallipoli.[67]
Con Giustiniano II i rapporti con il Pontefice romano tornarono a deteriorarsi a seguito delle decisioni adottate dal Concilio Trullano in antitesi con il culto occidentale, riguardanti il matrimonio del clero e il digiuno del sabato. Dopo l'opposizione di papa Sergio I, l'imperatore inviò il protospatario Zaccaria per catturarlo e portarlo a Costantinopoli, similmente a quanto successo a Martino I alcuni decenni prima.[68] Alla notizia, gli eserciti esarcali si opposero e lo stesso Zaccaria finì per chiedere protezione al Pontefice, nascondendosi addirittura sotto il suo letto.[68] L'esarca sembra che non avesse preso parte a quest'operazione, molto probabilmente perché la carica era al momento vacante.
Deposto Giustiniano, nel 696, durante l'impero di Leonzio, si diede un più marcato carattere marziale all'organizzazione dell'esarcato, sostituendo ai distretti una serie di governatorati militari, i ducati: di Roma, di Venezia, della Calabria, della Lucania, di Napoli.
Nel 701 divenne esarca Teofilatto, contro cui si rivoltarono gli eserciti italiani, per motivi ignoti, forse per motivazioni di natura economica.[69] In difesa dell'esarca, in quel momento a Roma, si schierò Papa Giovanni VI, che riuscì a calmare i ribelli, permettendo all'esarca di raggiungere Ravenna.[69] Nel frattempo, nel 702, ebbe luogo un'offensiva da parte dei Longobardi del duca beneventano Gisulfo che conquistò tre città del Lazio (Sora, Arpino e Arce), minacciando la stessa Roma; il Papa riuscì a spingerlo al ritiro, ma le tre città conquistate rimasero in mano longobarda.[69]
Nel frattempo, il nuovo arcivescovo di Ravenna, Felice, si recò a Roma nell'aprile del 709 per ricevervi la consacrazione del pontefice, rifiutandosi tuttavia di sottoscrivere la cautio e la cosiddetta indiculum iuramenti. Questo episodio è da ricollegare alla disputa tra le chiese romana e ravennate dovuta alla volontà della seconda di sottrarsi al predominio della prima. Secondo il Liber Pontificalis, l'arcivescovo ravennate subì «per giudizio divino e per sentenza del principe degli Apostoli Pietro» la giusta punizione per la superbia e l'insubordinazione mostrate in quell'occasione nei confronti del Pontefice, venendo deportato a Costantinopoli e poi accecato, nel corso della repressione spietata contro i Ravennati ordinata dall'Imperatore Giustiniano II. Non c'è un consenso unanime sulle motivazioni che spinsero Giustiniano II a ordinare la repressione contro Ravenna. Il Liber Pontificalis, nel seguito della narrazione, riporta che l'esarca Giovanni Rizocopo, dopo aver incontrato Papa Costantino (708-715) a Napoli nell'ottobre 710 e aver ucciso a Roma quattro dignitari ecclesiastici per punire la Chiesa Romana per l'insubordinazione alla politica religiosa imperiale in seguito al Concilio Quinisesto, una volta ritornato a Ravenna, pagò per «giudizio divino» le iniquità da poco commesse andando incontro a una «turpissima morte»;[70] probabilmente fu linciato nel corso di una rivolta popolare a Ravenna.[71] Alcuni studiosi collocano la spedizione punitiva dopo l'assassinio di Rizocopo, e ritengono che la motivazione fosse quella di punire la popolazione per aver linciato l'esarca.[72] Altri studiosi invece collocano l'assassinio di Giovanni Rizocopo dopo la spedizione punitiva, connettendola alla rivolta di Giorgio, e motivano la repressione spietata con la volontà di punire la Chiesa di Ravenna per l'insubordinazione alla politica religiosa imperiale: Giustiniano II, intendendo mantenere l'appoggio papale, avrebbe voluto punire i Ravennati sia per la pretesa all'autocefalia, sia per l'insubordinazione mostrata all'epoca di Zaccaria, allorquando si schierarono dalla parte del Pontefice, impedendo l'arresto e la deportazione in Oriente di Papa Sergio I.[73]
Qualunque fossero state le motivazioni, l'Imperatore ordinò a Teodoro, stratego della Sicilia, di raggiungere Ravenna con la flotta, appoggiata anche da navi venetiche e illiriche, per compiere la spedizione punitiva.[72] Costui, una volta approdato, invitò numerosi aristocratici locali in un banchetto in senso di amicizia, ma questi, attirati con l'inganno nelle navi, furono qui arrestati e portati a Costantinopoli, dove vennero tutti uccisi meno l'Arcivescovo, quest'ultimo accecato.[72] Ravenna, si narra, fu saccheggiata dalle milizie bizantine. Subito dopo la partenza della flotta bizantina, nel 711 la popolazione ravennate insorse condotta da un certo Giorgio, e la rivolta si estese rapidamente alle città di Forlì, Forlimpopoli, Cervia e altre città limitrofe. Non è noto come ebbe termine la rivolta, ma Ravenna era già tornata all'obbedienza alcuni mesi dopo, quando la testa dell'Imperatore Giustiniano II, detronizzato e fatto giustiziare dal nuovo imperatore Filippico Bardane, fu fatta sfilare per le strade della capitale dell'esarcato.[72]
Nel 711/713 fu invece la popolazione di Roma a rivoltarsi, a causa dell'appoggio al monotelismo da parte del nuovo imperatore Filippico: alla rivolta aderì persino il dux bizantino di Roma, Cristoforo, per cui Filippico fu costretto ad inviare un nuovo duca, Pietro, nel tentativo di sopprimere la rivolta.[74] L'esercito e il popolo romano, condotto dal duca ribelle Cristoforo, riuscì però a sconfiggere in battaglia Pietro e le milizie rimaste fedeli all'Imperatore.[74] Quando nel 713 Filippico fu detronizzato a causa di una rivolta, il nuovo imperatore Anastasio II abolì il monotelismo e inviò a Roma un nuovo esarca, Scolastico, il quale riuscì a porre fine all'insurrezione promettendo che nel caso la rivolta fosse cessata gli abitanti di Roma non sarebbero stati puniti per l'insubordinazione; Scolastico, inoltre, nominò duca di Roma il Pietro già citato in precedenza.[74]
Questi continui episodi di rivolta dimostrano come a partire dalla seconda metà del VII secolo, le tendenze autonomistiche delle aristocrazie locali e il sempre maggior ruolo politico temporale della Chiesa di Roma avessero portato ad un progressivo indebolimento dell'autorità imperiale in Italia.[75]
La caduta dell'Esarcato |
Nel 726 l'Imperatore Leone III proibì il culto delle immagini sacre, ma questo provvedimento trovò una dura opposizione in Italia e, già in fermento per l'aumento delle tasse, gli eserciti della Venezia marittima, della Pentapoli e dell'Esarcato si ribellarono ed elessero loro capi. Inoltre questi erano sul punto anche di nominare un antimperatore, ma papa Gregorio II, messosi a capo degli insorti, riuscì in parte a frenarli, poiché contava ancora sull'Impero d'Oriente per difendersi dai longobardi. Non riuscì ad evitare però che l'esarca Paolo venisse assassinato dai rivoltosi.[76] Una flotta fu inviata dalla Sicilia per vendicare Paolo, ma venne distrutta dalle milizie ravennati.
Nel 728 diventò esarca Eutichio. Il nuovo esarca giunse quindi a Napoli, da dove ordì un attentato (poi fallito) alla vita del papa, Gregorio II.[77] Successivamente, si volse verso i Longobardi: riuscì, infatti, a corrompere re Liutprando, dal quale strappò la promessa di un appoggio contro Gregorio II, in cambio del sostegno militare bizantino nella sottomissione dei ducati di Spoleto e di Benevento all'autorità del re. Mentre Eutichio veniva a capo delle rivolte che destabilizzavano l'esarcato, tuttavia, il papa riuscì ad incontrare Liutprando e a portarlo nuovamente dalla propria parte.[78] Nel 730 l'Iconoclastia divenne dottrina religiosa e gli adoratori delle immagini cominciarono pertanto ad essere perseguitati. Il nuovo pontefice, Gregorio III, condannò la dottrina, con la conseguenza che Leone confiscò alla Chiesa molte proprietà in Calabria e Sicilia.[79] In ogni modo, l'esarca, conscio della propria fragilità e visti tutti i tentativi di arrestare o uccidere il Papa fallire a causa dell'opposizione delle truppe di stanza nell'Urbe, decise prudentemente di stabilire buone relazioni con il Papa, facendogli dei doni ed evitando di applicare i decreti iconoclasti.[79]
Intanto, approfittando delle dispute religiose tra Impero e Chiesa, la pressione dei Longobardi sui territori dell'esarcato aumentò notevolmente. Nel 732[79] (o forse nel 739) la stessa Ravenna venne conquistata per la prima volta da Ildeprando, nipote di Liutprando, e da Peredeo, duca di Vicenza. L'esarca Eutichio riparò nella laguna veneta e, aiutato dalla flotta del veneziano duca Orso, riuscì a rientrare a Ravenna. Ildeprando venne catturato e Peredeo ucciso.[79] Incoraggiato dal successo, il duca bizantino di Perugia tentò di riconquistare Bologna, ma l'attacco fallì.
Nel 739 il nuovo pontefice, Gregorio III, appoggiò i duchi di Spoleto e Benevento contro Liutprando, spingendo quest'ultimo ad invadere il centro Italia: l'esarcato e il ducato di Roma ne furono devastati, e Liutprando occupò il corridoio umbro, restituito solo tre anni dopo.[80] Nel 743, mentre a Roma saliva al soglio pontificio papa Zaccaria, re Liutprando progettava di riconquistare Ravenna, e attaccò l'esarcato impossessandosi di Cesena. L'esarca Eutichio, sentendosi direttamente minacciato, chiese aiuto al Papa, il quale si recò di persona a Pavia per convincere il sovrano a restituire all'esarca i territori conquistati, riuscendo nel suo intento.[81]
Liutprando morì nel 744: gli succedettero prima Ildeprando e poi Rachis. Quest'ultimo sospese le campagne di conquista dei suoi predecessori e firmò una pace con l'esarcato.[82] Nel 749, tuttavia, invase la Pentapoli e assediò Perugia. Convinto a ritirarsi dal Papa, al suo ritorno a Pavia venne deposto dalla fazione longobarda contraria alla pace con Bisanzio, che elesse re Astolfo.[82] Questi, riorganizzato e rafforzato l'esercito,[83] passò immediatamente all'offensiva contro i territori italiani ancora soggetti (anche se più di nome che di fatto) all'Impero bizantino. Nel 750 invase da nord l'Esarcato occupando Comacchio e Ferrara; nell'estate del 751 riuscì a conquistare l'Istria e poi la stessa Ravenna, capitale e simbolo del potere bizantino in Italia.[82] Si insediò nel palazzo dell'esarca, che venne parificato al palazzo regio di Pavia come centro del regno longobardo.[84] Il 4 luglio di quell'anno Astolfo promulgò il suo primo documento dal palazzo dell'esarca, intitolandosi «re dei Langobardi cui Dio affidò il popolo dei Romani, traditium nobis a Domino populum Romanorum».[15]
L'Imperatore Costantino V tentò di recuperare l'esarcato con la forza della diplomazia inviando ambasciatori presso Astolfo nel tentativo di spingerlo a restituire i territori conquistati all'Impero. Ma l'ambizioso re longobardo non era disposto a rinunciare alle sue conquiste e ambiva a conquistare anche Roma, minacciando apertamente il Papa Stefano II, da cui pretendeva che il Ducato romano pagasse un tributo quantificato in tanti soldi d'oro quanti erano gli abitanti del ducato. Quando nel 753 il re longobardo occupò la fortezza di Ceccano, in territorio romano, il Pontefice, visto il fallimento di ogni negoziazione e constatato che l'Impero d'Oriente non poteva fornirgli concreti aiuti militari, decise di rivolgersi ai Franchi, all'epoca governati da Pipino il Breve.[85] Nel gennaio del 754 il Papa si recò in Francia, incontrandosi con Pipino a Ponthion. Questi accettò la richiesta di aiuto del pontefice e s'impegnò a convincere la nobiltà franca.
Ottenuto l'assenso alla spedizione da parte dei nobili franchi nel corso di una dieta a Quierzy (Carisium in latino) il 14 aprile del 754 (giorno di Pasqua), nell'agosto dello stesso anno Pipino discese una prima volta in Italia, sconfiggendo Astolfo nei pressi di Susa e costringendolo a cedere alcuni territori imprecisati. Astolfo, tuttavia, non recedette dai suoi piani bellicosi e nel 756 invase di nuovo il ducato romano, espugnando Narni e assediando Roma: Papa Stefano II sollecitò di nuovo l'aiuto di Pipino, che discese in Italia nello stesso anno, sconfisse di nuovo i Longobardi e costrinse Astolfo a cedere Esarcato e Pentapoli al Papa invece che all'Impero (Promissio Carisiaca).[86] I Bizantini ovviamente protestarono e, tramite due messi inviati presso il re franco, lo invitarono restituire l'Esarcato al legittimo padrone, ovvero l'Impero d'Oriente, offrendo anche una rilevante somma di denaro. Pipino, congedando i due ambasciatori[87], rispose all'imperatore che egli aveva agito per reverenza verso San Pietro e nulla gli avrebbe fatto rinnegare le sue promesse[88]. Nacque così uno Stato della Chiesa indipendente da Bisanzio e protetto dai Franchi.
Tra il 773 e il 774 il successore di Pipino sul trono di Francia, Carlo Magno, scese in Italia in seguito alla richiesta di aiuto del Papa Adriano I contro il re Desiderio e conquistò la capitale del regno longobardo, Pavia. Carlo si fece chiamare da allora "Re dei Franchi e dei Longobardi per Grazia di Dio" (Gratia Dei rex Francorum et Langobardorum), realizzando un'unione personale dei due regni. Il sovrano mantenne le Leges Langobardorum ma riorganizzò il regno sul modello franco, con conti al posto dei duchi.[89]
Per quanto riguarda l'Italia meridionale, la Puglia, la Lucania e la Calabria restarono ancorate in mano imperiale per ancora tre secoli; altri territori, come Napoli e Gaeta, si sganciarono, a poco a poco, dalla dominazione di Costantinopoli mentre la Sicilia fu conquistata dagli Arabi.[90]
Nell'876 i Bizantini, sconfitti definitivamente i Saraceni, ristabilirono il proprio dominio su Bari. Costituito come Thema di Longobardia, questo territorio fu governato per mezzo di un funzionario a cui venne attribuito inizialmente il titolo di strategos o patrizio, dal 970-976 lo strategos fu posto alle dipendenze di un Catapano (o Catepano, traducibile come "sovrintendente", dal termine greco katapános è derivato poi quello di "capitano") a cui rispondevano anche gli strateghi di Calabria e di Lucania: l'insieme dei territori controllati da questo funzionario divenne dunque noto come Catepanato d'Italia.
Cronotassi degli esarchi d'Italia |
Dal | Al | Esarca[91] | Imperatore di Bisanzio | Descrizione |
---|---|---|---|---|
584? | 584? | Decio? | Maurizio | Patrizio attestato in una lettera di Papa Pelagio II datata 584; diversi studiosi l'hanno identificato con l'innominato esarca menzionato nella medesima lettera. |
585 | 588/589 | Smaragdo | Maurizio | Si rese noto per la sua durezza nei confronti degli scismatici tricapitolini della Venezia, a causa della quale fu richiamato a Costantinopoli. |
588? | 589/590 | Giuliano | Maurizio | Attestato in un'iscrizione il 31 marzo 589; null'altro si sa di lui; il suo mandato durò comunque pochi mesi. |
589/590 | 595/597 | Romano | Maurizio | Tentò, in alleanza con i Franchi, di sottomettere i Longobardi. Ebbe contrasti di natura dottrinale e politica con Papa Gregorio Magno (590-604). |
596/597 | 602/603 | Callinico | Maurizio | Persuaso da Papa Gregorio, firmò una tregua biennale con i Longobardi (598). Nel 601/602 fece prigionieri a Parma parenti di re Agilulfo, provocando una guerra con i Longobardi con numerose sconfitte per i Bizantini. Richiamato a Costantinopoli per le numerose sconfitte. |
603 | 608 | Smaragdo | Foca | Al suo secondo mandato, firmò una tregua con i Longobardi, che venne rinnovata di anno in anno. L'ultima volta che viene attestato come esarca è il 608, quando edificò una colonna in onore di Foca. Si ignora quando ebbe termine il suo mandato, plausibilmente con l'elevazione di Eraclio a imperatore (610). |
608? | 613? | Fozio? | Foca/Eraclio | Menzionato nella vita agiografica di San Teodoro di Sykeon come esarca, probabilmente lo fu tra la fine del regno di Foca e l'inizio del regno di Eraclio. Nulla si sa di lui. |
615? | 615? | Giovanni I | Eraclio | Ucciso nel 616 da una rivolta (probabilmente dell'esercito) scoppiata a Ravenna. |
616 | 619 | Eleuterio | Eraclio | Sedò con durezza le rivolte scoppiate a Ravenna e a Napoli. Combatté con insuccesso i Longobardi condotti dal duca Sundrarit. Usurpò la porpora e tentò di marciare su Roma per farsi incoronare Imperatore d'Occidente dal Papa, ma fu ucciso presso Castrum Luceolis da soldati fedeli a Eraclio (619/620). |
619 | 625 | Gregorio? | Eraclio | Paolo Diacono narra di un patrizio Gregorio che uccise a tradimento i duchi del Friuli Caco e Tasone. Dato che gli esarchi detenevano di norma il titolo di patrizio, è possibile che tale Gregorio fosse stato un esarca. |
625 | 643 | Isacio | Eraclio | Trattò con estrema durezza il papato, punendolo per essersi opposto alla politica religiosa imperiale sequestrando il tesoro papale custodito nel Laterano (640). Tentò di opporsi invano alla politica espansionistica di Re Rotari, venendo probabilmente ucciso nella Battaglia dello Scultenna (643). |
643 | 645? | Teodoro I | Costante II | Inviato dall'Imperatore in Italia dopo il decesso di Isacco. Sostituito nel 645 da Platone. |
645? | 648? | Platone | Costante II | Poco si sa del suo mandato. Richiamato a Costantinopoli nel 649. |
649 | 652 | Olimpio | Costante II | Su ordini dell'Imperatore, tentò di assassinare il Pontefice, ma fallì. Subito dopo si rivoltò all'Imperatore separando l'Italia dall'Impero. La rivolta finì nel 652 quando l'esarca ribelle, recatosi in Sicilia per combattere gli Arabi, perì per via di un'epidemia. |
653 | 666? | Teodoro I | Costante II | Al suo secondo mandato, arrestò Papa Martino I e lo deportò a Costantinopoli per farlo processare per tradimento. Si ignora quando terminò il suo mandato ma esso ebbe termine poco prima il 666, quando è attestato come esarca Gregorio. |
666 | 678 | Gregorio I (o II?) | Costante II/Costantino IV | Ricevette dall'Imperatore un diploma che concedeva alla Chiesa Ravennate l'autocefalia (666). |
678 | 686/687 | Teodoro II | Costantino IV | Durante il suo mandato, ebbe termine l'autocefalia e l'Impero si riconciliò con il papato, condannando il monotelismo come eresia (680). |
687 | 701? | Giovanni II | Giustiniano II | Era esarca nel 687 quando tentò di imporre come Papa Pasquale, che gli aveva promesso 100 libbre d'oro. Null'altro si sa di lui, a parte gli avvenimenti del 687. |
701 | 705? | Teofilatto | Giustiniano II | Nel 702, recandosi a Roma dalla Sicilia, rischiò di essere ucciso dall'esercito esarcale in rivolta ma fu salvato dal Papa che riuscì a calmare i rivoltosi. |
705? | 710? | Giovanni III | Giustiniano II | Resosi reo di aver ucciso alcuni ecclesiastici, venne ucciso in una rivolta scoppiata a Ravenna. |
710? | 713? | Eutichio | Filippico | Il primo mandato di Eutichio è dubbio.[92] |
713? | ? | Scolastico | Leone III | In carica dal 713 al 726 circa |
725? | 726/727? | Paolo | Leone III | Tentò di ordire l'assassinio di Papa Gregorio II, reo di essersi opposto all'iconoclastia. Ucciso da una rivolta scoppiata a Ravenna. |
727? | 751 | Eutichio | Leone III/Costantino V | Fu l'ultimo esarca. Sotto il suo mandato, sotto la spinta espansionistica dei re longobardi Liutprando e Astolfo, l'esarcato cadde in mano longobarda (751). |
Nota: le date sono in molti casi approssimate, non sapendo per alcuni esarchi quando il loro mandato iniziò o finì con esattezza. Tra l'altro si ignora tuttora l'esatto numero degli esarchi che governarono l'Italia dal 584 al 751 (potrebbero essere stati ventiquattro) e di due di essi (Anastasio e Stefano) si ignora addirittura l'epoca del loro mandato, essendo noti unicamente da due sigilli.[93]
Ordinamento |
L'esarca e i suoi sottoposti militari |
L'esarcato nacque intorno al 584, come conseguenza della militarizzazione dei residui territori bizantini in Italia, dovuta all'esigenza di migliorarne le difese, vista la minaccia longobarda; l'autorità civile non venne subito soppressa, ma perse sempre maggiore importanza a vantaggio degli ufficiali militari, che ora accentravano poteri sia civili che militari.[16] La riforma, avvenuta nei primi anni dell'Imperatore Maurizio, prevedeva che a capo dell'esarcato vi fosse un esarca, che aveva piena autorità sia civile che militare, e risiedeva a Ravenna, nel palazzo di Teodorico; nominato direttamente dall'Imperatore, reggeva teoricamente tutta l'Italia ("ad regendam omnem Italiam") ed era spesso un eunuco di provenienza orientale, che deteneva la carica di patrizio.[16]
L'Italia bizantina fu suddivisa in vari ducati, retti da duces o magistri militum: la Pentapoli, Istria, Napoli, Roma, Perugia e forse, anche se sono congetture non confermate da fonti dell'epoca, anche in Liguria e nelle regioni del Sud Italia.[18] Nei castelli più importanti e nelle singole città vi erano presidi cittadini retti da tribuni e comites, che avevano ovviamente la funzione di difenderle dai Longobardi e che, insieme ai vescovi, finirono per amministrarle anche in ambito civile.[18] L'esercito fu poi rinforzato da soldati arruolati tra la popolazione italica. L'esercito bizantino era organizzato in numeri, ognuno stanziato nelle principali città: alcuni avevano origine orientale e si erano trasferiti in Italia durante la guerra gotica (es. Persoiustiniani e Cadisiani di Grado) mentre altri vennero creati in Italia (es. Tarvisiani, Veronenses e Mediolanenses).[94]
Le autorità civili |
La concentrazione di autorità civile e militare da parte dei militari non determinò subito la scomparsa delle autorità civili, segno che la formazione dell'esarcato fu un processo graduale, non un cambiamento brusco.[95] Fino alla metà del VII secolo la carica di prefetto del pretorio continuò a sopravvivere, sebbene come subordinato dell'esarca in ambito civile; residente a Classe (il porto di Ravenna), il prefetto d'Italia si occupava principalmente della gestione delle finanze e aveva come dipendenti, ancora agli inizi del VII secolo, i vicarii di Roma e dell'Italia (quest'ultimo risiedente a Genova dopo la conquista longobarda di Milano); anch'essi si occupavano della gestione delle finanze, e sebbene, in teoria, costituissero la massima autorità civile delle due diocesi in cui era suddivisa l'Italia imperiale, la crescente importanza assunta dai militari e le conquiste dei Longobardi resero la loro effettiva autorità quasi nulla.[96] L'officium del prefetto d'Italia era composto da molti funzionari pubblici detti praefectiani.
Al governo delle province vi erano ancora, fino almeno alla metà del VII secolo, dei governatori civili (Iudices Provinciarum), ma, anche in questi casi, la loro autorità venne minata dalla crescente importanza rivestita dai duces militari al comando degli eserciti regionali. Certo, la carica di Iudex Provinciae (ovvero governatore civile della provincia), come si evince dall'Epistolario Gregoriano, aveva ancora un certo prestigio, come confermano evidenze di versamenti di suffragia (grosse somme di denaro) da parte di alcuni aspiranti governatori per ottenere la carica, segno di quanto fosse importante per loro.[97] Inoltre, sempre nell'Epistolario Gregoriano, vi sono evidenze di governatori civili con autorità finanziaria (si occupavano di riscuotere le tasse) e/o militare/giudiziaria (possedevano ancora l'autorità di punire rivolte militari), segno che la loro autorità non fosse insignificante.[97] Tuttavia testimonianze coeve (sempre l'epistolario di Papa Gregorio Magno) mostrano come spesso e volentieri i duces in determinate circostanze si arrogassero prerogative degli Iudices provinciarum e quindi avessero anche una certa autorità civile: ad esempio il dux Sardiniae Teodoro nel 591 impose esose tasse da pagare alla popolazione isolana, suscitando le proteste di Papa Gregorio Magno.[98] La crescente importanza dei militari portò, alla fine, alla scomparsa degli Iudices Provinciarum verso la metà del VII secolo: questi sono per l'ultima volta attestati dalle Epistole di Papa Onorio I (625-638).
A Roma la carica di praefectus urbi è attestata fino alla fine del VI secolo.
Note |
^ Dall'888 Regno d'Italia.
^ Ravegnani 2004, p. 63.
^ Ravegnani 2004, p. 62.
^ I Romani chiesero all'Imperatore di rimuovere Narsete dal governo dell'Italia asserendo di preferire, al punto addirittura da rimpiangerla, la dominazione dei Goti al suo governo, minacciando di consegnare l'Italia e Roma ai barbari. Cfr. Paolo Diacono, Historia Langobardorum, II, 5 e Ravegnani 2004, p. 69.
^ ab Paolo Diacono, II, 5.
^ Ravegnani 2004, p. 70.
^ Ravegnani 2004, p. 71.
^ Ravegnani 2004, p. 72.
^ ab Ravegnani 2004, p. 73.
^ Ravegnani 2004, p. 77.
^ Bavant, pp. 46-47.
^ Bavant, pp. 47-49.
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^ Cosentino, p. 21.
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^ abcd Ravegnani 2004, pp. 81-82.
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^ Secondo Ottorino Bertolini "Appunti per la storia del senato di Roma durante il periodo bizantino", in Ottavio Banti (a cura di), Scritti scelti di storia medievale, Livorno 1968, I, pp.228-262, Decio non era l'esarca citato nella lettera ma un patrizio romano.
^ Ravegnani 2004, p. 83.
^ Paolo Diacono, III, 17.
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^ ab Eleuterio, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
^ Il ruolo svolto dai iudices rei publicae nella rivolta è incerto, in quanto il Liber Pontificalis non è molto chiaro a proposito e si presta a due possibili interpretazioni. Secondo AA. VV., Vita di Adeodato, in Liber Pontificalis.: «Huius temporibus/Eodem tempore veniens Eleutherius patricius et cubicularius Ravenna et occidit omnes qui in nece Iohanni exarchi et iudicibus rei publicae fuerant mixti.» ("Ai suoi tempi [di Papa Adeodato]/A quei tempi, il patrizio e cubiculario Eleuterio venne a Ravenna e uccise tutti coloro che erano coinvolti nell'assassinio dell'esarca Giovanni e con i giudici della Repubblica"). Secondo alcuni studiosi (cfr. ad esempio Eleuterio, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.), il Liber Pontificalis intendeva dire che i giudici della Repubblica furono assassinati dai ribelli insieme all'esarca Giovanni, tuttavia appare insolita la scelta dell'autore del Liber Pontificalis di usare l'ablativo iudicibus al posto del genitivo iudicium. Questa interpretazione fu accolta anche dall'erudito austriaco Thomas Ebendorfer, il quale, nella sua rielaborazione del Liber Pontificalis, emendò l'ablativo in genitivo (da iudicibus a iudicium). Cfr. Thomas Ebendorfer, Vita di Deusdedit, in Chronica Pontificum Romanorum., secondo il quale Eleuterio «...occidit omnes, qui in nece Johannis Esarchi hac dignitate pollentis et iudicium rei publicae mixti fuerunt.» ("uccise tutti coloro che erano coinvolti nell'assassinio del potente, per dignità, esarca Giovanni e dei giudici della Repubblica"). Secondo altri studiosi, tuttavia, il Liber Pontificalis intendeva dire che i giudici della Repubblica furono giustiziati dall'esarca Eleuterio insieme ai rivoltosi che avevano linciato l'esarca Giovanni, presumibilmente perché compromessesi con essi (cfr. ad esempio Cosentino, p. 131).
^ ab Vita di Deusdedit, in Liber Pontificalis..
^ Vita di Deusdedit, in Liber Pontificalis.
^ ab Bertolini, p. 302.
^ ab Ravegnani 2004, p. 107.
^ abc Continuatore di Aquitano, Auctari Auniensis Extrema, 23.
^ Continuatore di Aquitano, Auctari Auniensis Extrema, 23.: «quod consilium ratum iudicans obaudivit.»
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^ ab Vita di Teodoro, in Liber Pontificalis. in Monumenta Germaniae Historica, Scriptores, Gesta pontificarum Romanorum, p. 179.
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^ Liber Pontificalis, 90, p. 390: «pergens Ravennam proque suis nefandissimis factis iudicio Dei illic turpissima morte occubuit».
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^ Giovanniccio, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
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^ Ravegnani 2004, pp. 139-155.
^ Ravegnani 2011, p. 97.
^ L'ipotesi si basa su un passo ambiguo del Liber Pontificalis, che afferma che Eutichio "dudum exarchus fuerat". Alcuni studiosi hanno tradotto "dudum" con "in precedenza", interpretando il testo come una conferma di un possibile primo mandato di Eutichio da datare intorno al 711-713. Altri studiosi hanno fatto notare invece che "dudum" può significare anche "per lungo tempo", e che quindi il passo del Liber Pontificalis in questione non prova l'ipotesi che Eutichio nel 727 fosse al suo secondo mandato. Cfr. Ravegnani 2011, p. 84 e Eutichio, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
^ Ravegnani 2004, p. 82.
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^ Diehl, pp. 161-162.
^ ab Borri, p. 8.
^ Borri, p. 9.
Bibliografia |
Fonti primarie
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- Continuatore di Prospero Aquitano, Auctari auniensis extrema
Fredegario, Chronicon
Studi moderni
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- Jörg Jarnut, Storia dei Longobardi, Torino, Einaudi, 2002, ISBN 88-464-4085-4.
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- Giorgio Ravegnani, Gli esarchi d'Italia, Roma, Aracne, 2011, ISBN 978-88-548-4005-8.
Voci correlate |
- Impero Romano d'Oriente
- Esarcato (Impero bizantino)
- Prammatica Sanzione
- Pentapoli bizantina
- Corridoio Bizantino
- Storia d'Italia
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Società, diritto e istituzioni nei papiri ravennati (V-VIII secolo)[collegamento interrotto], 14-15 maggio 2010.
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