Vittorio Feltri






Feltri nel 2008


Vittorio Feltri (Bergamo, 25 giugno 1943) è un giornalista, saggista e opinionista italiano.




Indice






  • 1 Biografia


    • 1.1 Dagli inizi al 1991


    • 1.2 Direttore de L'Indipendente (1992-1994)


    • 1.3 Direttore de Il Giornale (1994-1997)


    • 1.4 Direttore de Il Borghese


    • 1.5 La parentesi al Gruppo Monti-Riffeser


    • 1.6 Direttore di Libero (2000-2009)


    • 1.7 Ritorno a Il Giornale (2009-2010)


    • 1.8 La seconda direzione di Libero (2011)


    • 1.9 Il secondo ritorno a Il Giornale (2011)


    • 1.10 Il ritorno a Libero (2016)




  • 2 Controversie


    • 2.1 Vicende giudiziarie




  • 3 Altre attività


  • 4 Politica


  • 5 Opere


    • 5.1 Primo autore


    • 5.2 Collaborazioni




  • 6 Onorificenze


  • 7 Note


  • 8 Bibliografia


  • 9 Altri progetti





Biografia |


Originario di Bergamo, è figlio di Angelo e Adele Feltri.[1] Il padre morì a 43 anni a causa della malattia di Addison.[1] Dopo gli studi liceali, si è scritto alla facoltà di scienze politiche dell'università di Bergamo dove si è in seguito laureato.[2] Si è sposato giovane con Maria Luisa da cui ha avuto due figlie gemelle, Saba e Laura.[1] Rimasto vedovo a 24 anni (la moglie morì un anno dopo il parto, a causa di una malattia polmonare trascurata), lavorò per mantenere le bambine ed essendo solo non poté assentarsi dal lavoro. L'anno dopo si è unito con Enoe Bonfanti, dalla quale ha avuto Mattia, giornalista, e Fiorenza.[1][3]



Dagli inizi al 1991 |


Nel 1962, a diciannove anni, inizia a collaborare con L'Eco di Bergamo, con l'incarico di recensire le prime visioni cinematografiche. Nello stesso periodo viene assunto per concorso alla Provincia come impiegato; lavora all'I.p.a.m.i., il brefotrofio[4], poi si occupa delle rette dei manicomi.[1] Quando è già di ruolo lascia tutto per riprendere la carriera giornalistica[5]. Si trasferisce a Milano, dove viene assunto dal quotidiano La Notte come praticante. Il 16 dicembre 1971 ottiene l'iscrizione all'Albo dei giornalisti professionisti. Nel 1974 Gino Palumbo lo chiama al Corriere d'Informazione (edizione pomeridiana del Corriere della Sera): dopo tre anni Feltri passa al Corriere della Sera, allora diretto da Piero Ottone.


Negli anni 1981-82 scrive sul mensile Prima Comunicazione sotto lo pseudonimo Claudio Cavina[4]. Dal 1983 è direttore di Bergamo-oggi, ma l'anno successivo è richiamato al Corriere della Sera come inviato speciale (1984-89, direttore Piero Ostellino). Feltri fu tra coloro che sostennero pubblicamente Enzo Tortora, il celebre conduttore televisivo accusato ingiustamente nel 1983 di associazione camorristica e spaccio di droga.[6]


Nel 1989 assume la direzione del settimanale L'Europeo, portandolo in due anni da 78.000 a 130.000 copie[4][7]. Durante la sua direzione, venne pubblicato un falso scoop da parte del giornalista pubblicista Antonio Motta. Motta sostenne di essersi infiltrato nelle Brigate Rosse come "agente di Carlo Alberto Dalla Chiesa" e di aver scoperto particolari eclatanti e scabrosi sul rapimento di Aldo Moro. L'inchiesta, che fu pubblicata il 26 ottobre 1990, si rivelò invece un falso.[4][8] Feltri si difese: «A questa storia - affermò - si aggiungono misteri su misteri, noi abbiamo cercato le conferme, e le abbiamo avute, poi chi ce le ha date ha cambiato idea».[9]



Direttore de L'Indipendente (1992-1994) |


Nel 1992 sostituisce Ricardo Franco Levi alla direzione de l'Indipendente, in grave crisi di vendite. Feltri rilancia il giornale e ne fa un quotidiano di successo, cavalcando lo sdegno popolare a seguito dell'inchiesta Mani pulite:


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«Ammesso e non concesso che un magistrato abbia sbagliato, ecceduto, ciò non deve autorizzare i ladri e i tifosi dei ladri... gli avvoltoi del garantismo... a gettare anche la più piccola ombra sulla lodevole e mai sufficientemente applaudita attività dei Borrelli e dei Di Pietro.[10]»



concentrando più volte i suoi attacchi sulla figura dell'allora segretario socialista Bettino Craxi:






«Mai provvedimento giudiziario fu più popolare, più atteso, quasi liberatorio di questo firmato contro Craxi (il primo avviso di garanzia, nda) ... Di Pietro non si è lasciato intimidire dalle critiche, dalle minacce di mezzo mondo politico (diciamo pure del regime putrido di cui l'appesantito Bettino è campione suonato)... Ha colpito senza fretta, nessuna impazienza di finire sui giornali per raccogliere altra gloria. Craxi ha commesso l'errore... di spacciare i compagni suicidi (per la vergogna di essere stati colti con le mani nel sacco) come vittime di complotti antisocialisti... È una menzogna, onorevole![11]»



Coniò per Craxi il soprannome "Cinghialone". Quasi un ventennio dopo corresse in parte le sue affermazioni:









«Nel 1992 stavo a fianco di Antonio Di Pietro e di altre toghe. A Bettino Craxi ho dedicato i titoli più carogna della mia vita professionale al tempo dell'Indipendente. Del resto Bettino non fece nulla per sottrarsi ai colpi. Incurante di essere considerato il simbolo della politica ladra e corrotta, circondato da ometti che non facevano nemmeno lo sforzo di togliersi la giacca da gangster, non smetteva di ergersi senza ripararsi. Non schivava i colpi, e io pensavo fosse alterigia: quindi via con le ironie, le indignazioni e i sarcasmi. Ho sbagliato. Non scriverei più festosamente davanti alla «rivolta popolare» che accolse Bettino la sera del 30 aprile del 1993 fuori dall'hotel Raphaël a un passo da piazza Navona.»


(da Il Giornale, 16-12-2013[12])

Nell'aprile 1993 conosce Silvio Berlusconi; il Cavaliere gli propone di lavorare come giornalista televisivo a Canale 5, ma Feltri rifiuta[4]. Nel corso dell'anno l'Indipendente sale oltre le 120.000 copie, superando anche Il Giornale.



Direttore de Il Giornale (1994-1997) |


Nel dicembre 1993 Feltri dichiara:






«A Montanelli invidio tutto tranne che Il Giornale. In fondo l'Indipendente continua a guadagnar copie, non c'è motivo perché io lo debba lasciare... Io al Giornale? Ma che cretinata. Berlusconi non m'ha offerto neppure un posto da correttore di bozze. M'incazzo all'idea che io, proprio io, sembro voler fare la forca a Montanelli. Io qui a l'Indipendente, mi diverto, guadagno copie, faccio il padrone e il politico. Mi spiegate perché devo fare certe cazzate? A carico di Montanelli, poi...[13]»



Nel gennaio 1994, Feltri viene contattato da Paolo Berlusconi, editore de Il Giornale, che gli offre la direzione del quotidiano - direzione che Indro Montanelli ha deciso di lasciare. Feltri accetta e rimane al Giornale per 4 anni, durante i quali riporta il quotidiano in auge, da 130.000 a 250.000 copie (media annuale del 1996[4])[7]. Nello stesso periodo, Feltri cura una rubrica sul settimanale Panorama (scriverà anche alcuni reportage dall'Umbria colpita dal terremoto del settembre 1997), collabora con Il Foglio di Giuliano Ferrara e con altre testate nazionali, tra cui Il Messaggero e Il Gazzettino.


Durante la sua permanenza alla direzione del Giornale, Feltri accumula ben 35 querele da parte del magistrato Antonio Di Pietro. L'amministrazione del quotidiano decide di raggiungere un accordo con la controparte per la remissione delle querele. Feltri si uniforma alla decisione presa e il 7 novembre 1997 scrive in prima pagina una diplomatica lettera al magistrato. Nello stesso numero è pubblicata una lunga ricostruzione (due pagine) in cui tutte le accuse a Di Pietro vengono smontate. Un mese dopo il clamoroso articolo, Feltri lascia il Giornale.[14][15]


Feltri spiega perché ha lasciato la direzione de Il Giornale:






«Pago del fatto di aver vinto la sfida con La Voce e del successo del Giornale, mi prese il disgusto, la nausea di venir qui ogni mattina. Possedevo il 6 per cento del pacchetto azionario e non escludo che dentro di me abbia giocato l'inconscio desiderio - inconscio mica tanto - di andarmene per farmi dare quel mucchio di soldi.»



Poi prosegue:






«L'affaire Di Pietro mi sembrò l'occasione propizia per accomiatarmi. Fu un errore. […] Non dovevo andarmene. Dovevo lasciare un paio di anni dopo, in una situazione di relax.»



Complessivamente, sui quattro anni trascorsi in via G. Negri, ricorda:






«Con Paolo ci siamo lasciati male. Metà Forza Italia mi detestava perché dirigevo Il Giornale a modo mio: tra l'altro dicevano che gridavo. A Silvio Berlusconi sto sulle balle perché una volta lo difendo e una volta lo punzecchio. Se non gli stessi sulle balle mi chiederei dove ho sbagliato! Sono stato ben pagato e Paolo ha rispettato in pieno la mia autonomia. Ma se Il Giornale non è morto una ragione ci sarà e ne ho tenuto conto nella parcella.[16]»



Nel 1998 è editorialista per Panorama e il quotidiano Il Messaggero.



Direttore de Il Borghese |


Il 1º settembre 1998 assume la direzione de Il Borghese, il settimanale fondato da Leo Longanesi e che fu diretto da Mario Tedeschi. L'obiettivo è di rilanciare il periodico, trasformandolo nel settimanale dei lettori che fanno riferimento al centrodestra. Il progetto però non decolla.



La parentesi al Gruppo Monti-Riffeser |


Il 1º giugno 1999 è direttore editoriale del Gruppo Monti-Riffeser. Il 1º agosto 1999 è direttore editoriale del Quotidiano Nazionale, testata con sede a Bologna che comprende i giornali di proprietà del gruppo: Il Resto del Carlino, La Nazione e Il Giorno. A fine febbraio 2000 ritorna a Milano per dedicarsi alla fondazione di un nuovo quotidiano. Il nome provvisorio è Il Giornale libero.



Direttore di Libero (2000-2009) |


Nel 2000 Feltri fonda Libero, giornale quotidiano indipendente di orientamento liberale-conservatore. Feltri ne è anche direttore ed editore per 9 anni, fino alle dimissioni del 30 luglio 2009.


Sulla sua creatura ha dichiarato:






«Quando siamo partiti, il 18 luglio del 2000, dominava la noia [presso il pubblico dei lettori]. Qualcuno, confidando nel mio passato, si è deciso ad acquistarci proprio per superare la noia, forse sperando che inventassi chissà cosa. Abbiamo drizzato le antenne. Ora il nostro Paese è attraversato dal desiderio di identità e di sicurezza. Cerchiamo di dar voce a questo e di chiamare i politici a rispondere su questi temi assai più che sulle loro beghe di giustizia.[7]»



Libero, uscito per la prima volta in edicola il 18 luglio 2000, è molto vicino alle opinioni politiche del centro-destra, ma non lesina critiche contro di esso. Lo stile del giornale è sarcastico, pungente e «politicamente scorretto»: si utilizzano talvolta termini gergali per raccontare i fatti della politica e per descrivere i politici. Il giornale in pochi anni passa da una tiratura di 70.000 copie a 220.000.


Il 21 novembre 2000[17] Feltri viene radiato dall'albo dei giornalisti con delibera del Consiglio dell'Ordine dei giornalisti della Lombardia presa all'unanimità. Il fatto contestato è la «pubblicazione alla pagina 3 dell'edizione del 29 settembre 2000 del quotidiano di sette fotografie impressionanti e raccapriccianti di bambini ricavate da un sito pornografico reso disponibile dai pedofili russi e di una Deontologia - Minori e soggetti deboli 519 ottava fotografia a pagina 4 (raffigurante una scena di violenza tratta dai video di pedofilia sequestrati dalla magistratura), fotografie che appaiono tutte contrarie al buon costume e tali, illustrando particolari raccapriccianti e impressionanti, da poter turbare il comune sentimento della morale e l'ordine familiare».[18][19] Nel febbraio del 2003 l'Ordine Nazionale dei giornalisti di Roma annulla il provvedimento di radiazione che era stato preso a Milano e lo converte in censura[20][21].


Nel 2003 il quotidiano Libero ha ricevuto dallo Stato 5.371.000 euro come finanziamento agli organi di partito[22]. Libero era registrato all'epoca come organo del Movimento Monarchico Italiano, poi trasformato in cooperativa per ottenere i contributi per l'editoria elargiti alle testate edite da cooperative di giornalisti, a fine dicembre 2006 diventava srl. In seguito è stata creata una fondazione ONLUS per controllare la s.r.l. e, di conseguenza, il quotidiano, in modo da continuare a percepire i contributi in quanto edito da fondazione[23].


Nel marzo 2005 Libero ha lanciato una raccolta di firme affinché il Presidente della Repubblica nominasse Oriana Fallaci senatrice a vita. Sono state raccolte 75.000 firme[24]. Libero simpatizza per la posizione del movimento dei Riformatori Liberali di Benedetto Della Vedova. Vittorio Feltri è uno dei firmatari del manifesto promosso dalla minoranza radicale che da aprile 2006 è alleata del centro-destra[25].


Dal gennaio 2007 al 15 luglio 2008, direttore responsabile di Libero diviene Alessandro Sallusti, con Feltri direttore editoriale.
Nel 2007 il vicedirettore di Libero Renato Farina, con Feltri dalla fondazione del giornale, viene radiato dall'Ordine dei Giornalisti per avere collaborato con i Servizi segreti italiani fornendo informazioni e pubblicando su Libero notizie in cambio di denaro.[26] Feltri curava anche, assieme a Renato Brunetta, la collana di libri "manuali di conversazione politica", periodicamente allegati al quotidiano.



Ritorno a Il Giornale (2009-2010) |


Il 21 agosto 2009 ha assunto nuovamente la carica di direttore responsabile de Il Giornale, subentrando a Mario Giordano. Ha firmato il numero in edicola il giorno successivo. Negli ultimi giorni di agosto 2009 ha intrapreso un duro attacco a Dino Boffo, direttore del quotidiano Avvenire, rivelando che Boffo aveva patteggiato (cosa che effettivamente risulta, osservando il casellario giudiziario) una pena per molestie comminatagli nel 2004, motivato da una "informativa" che descriveva Boffo come omosessuale. La Conferenza Episcopale Italiana si schierò in difesa di Boffo[27], ma la polemica montò fino a provocare le sue dimissioni. L'informativa si rivelò poi essere un falso accostato negli articoli del Giornale alla condanna, vera, per molestie. Il 4 dicembre 2009 Feltri scrive sul Giornale che «La ricostruzione dei fatti descritti nella nota, oggi posso dire, non corrisponde al contenuto degli atti processuali».


Il 25 marzo 2010 il Consiglio dell'ordine dei Giornalisti della Lombardia ha sospeso Vittorio Feltri dall'albo professionale per sei mesi, quale sanzione per il caso Boffo e per gli articoli firmati da Renato Farina pubblicati successivamente alla sua radiazione dall'albo.[28][29][30] Feltri ha reagito alla notizia affermando «Mi dispiace di non essere un prete pedofilo o almeno un semiprete omosessuale o un conduttore di sinistra, ma di essere semplicemente un giornalista che non può godere, quindi, della protezione dei vescovi, né diventare un martire dell'informazione». Tali affermazioni sono state severamente criticate dal quotidiano cattolico Avvenire.[31] A seguito di tale vicenda, nel linguaggio giornalistico politico italiano, con metodo Boffo si intende l'attività di denigrazione a mezzo stampa basandosi su documenti falsi costruiti appositamente. Feltri in seguito ha ribadito che le notizie da lui pubblicate su Boffo erano vere (riferendosi alla condanna e alla presunta omosessualità di Boffo), che intendeva fare informazione sull'ipocrisia di una parte del mondo cattolico e di sentirsi comunque "addolorato" per aver causato le dimissioni del direttore.[32]


In settembre ha attaccato direttamente il presidente della Camera Gianfranco Fini per le sue aperture su voto amministrativo agli immigrati e testamento biologico, invitandolo a "rientrare nei ranghi", e provocando la seconda dissociazione da parte di Berlusconi[33]. Dopo un ulteriore attacco[34] il presidente Fini ha dato mandato al proprio avvocato Giulia Bongiorno di presentare querela contro lo stesso Feltri[34][35][36].


Sempre a settembre 2010, facendo un resoconto del suo anno come direttore, Feltri ha affermato di essere stato chiamato a ricoprire quell'incarico per risanare il deficit del Giornale, ammontante allora ad oltre 22 milioni di euro, di cui avrebbe contribuito a recuperare quasi 15 milioni. Ha continuato dicendo che per raggiungere simili risultati «è necessario fare un giornale di un certo tipo» e che ciò può anche non piacere; in quel caso era pronto a lasciare il suo posto di direttore senza problemi o polemiche.[37] Il 24 settembre 2010 Feltri si è dimesso dalla carica di direttore del quotidiano Il Giornale per assumere quella di direttore editoriale. Al suo posto è andato Alessandro Sallusti, fino a quel momento condirettore. L'11 novembre 2010 l'Ordine nazionale dei giornalisti ha ridotto da 6 a 3 mesi la sospensione che gli era stata inflitta il 25 marzo dello stesso anno dal Consiglio dell'ordine dei Giornalisti della Lombardia.[38]



La seconda direzione di Libero (2011) |


Il 21 dicembre 2010 Feltri ha lasciato di nuovo il Giornale per assumere il ruolo di direttore editoriale di Libero al fianco del vecchio collega Maurizio Belpietro, confermato direttore responsabile[39]. I due giornalisti hanno acquistato il 10% ciascuno della società editrice. Nonostante posseggano una quota di minoranza, la gestione del giornale è stata affidata a loro. Grazie a una serie di patti parasociali, Feltri e Belpietro avranno anche la maggioranza nel consiglio di amministrazione[40].



Il secondo ritorno a Il Giornale (2011) |


Il 3 giugno 2011, Vittorio Feltri lascia Libero[41] per la seconda volta e dopo pochi giorni approda al Il Giornale per la terza volta, in qualità di editorialista. La decisione comporta una nuova polemica tra l'editore di Libero, il deputato PdL Antonio Angelucci, e il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi (che è anche presidente dello stesso partito)[42]. Da gennaio 2012 tiene una rubrica su ilGiornale.it denominata "Il Bamba"[43], dove assegna un premio al personaggio che nel corso della settimana si è maggiormente distinto per ingenuità, gaffe o manifesta incapacità, ma talvolta interviene anche su Libero.



Il ritorno a Libero (2016) |


Il 3 maggio 2016 ritorna al quotidiano che aveva fondato 16 anni prima, con un articolo dove invita Silvio Berlusconi a fare un passo indietro in politica. Il 17 maggio Feltri ritorna direttore al posto di Maurizio Belpietro, licenziato per divergenze con l'editore Antonio Angelucci.[44]



Controversie |


  • Dalla fine degli anni novanta si è spesso espresso in senso garantista contro l'operato della magistratura nei procedimenti giudiziari a carico di Silvio Berlusconi e in numerosi casi di cronaca nera, dove ha difeso gli imputati anche dopo la condanna, tra cui l'omicidio di Marta Russo[45], il delitto di Garlasco[46], il delitto di Cogne[47] e l'omicidio di Yara Gambirasio[48], scrivendo molti articoli in difesa di Massimo Giuseppe Bossetti, il muratore bergamasco condannato all'ergastolo per il delitto. Nel 2014 alcune affermazioni di Feltri, pronunciate in diretta nel programma televisivo Linea gialla su La7, in difesa di Raffaele Sollecito, uno degli accusati dell'omicidio di Meredith Kercher in seguito assolto, fanno assai discutere poiché offensive nei confronti della vittima.[49]


Vicende giudiziarie |


  • Nel 1996 Feltri, direttore all'epoca del Giornale, e il cronista Giancarlo Perna, sono stati condannati dal Tribunale di Monza per diffamazione a mezzo stampa ai danni del giudice antimafia Antonino Caponnetto. Il procedimento riguardava un articolo del 20 marzo 1994 nel quale si mettevano in discussione, fra gli altri elementi, i rapporti tra Giovanni Falcone e lo stesso Caponnetto.[50][51]

  • Nel giugno 1997 Feltri è stato condannato in primo grado dal tribunale di Monza con Gianluigi Nuzzi, per diffamazione a mezzo stampa nei confronti di Antonio Di Pietro, per un articolo comparso sul Il Giornale il 30 gennaio 1996, in cui si sosteneva che negli anni di Mani Pulite "i verbali finivano direttamente in edicola e soprattutto all'Espresso"[52]. Nel gennaio 2003 è stato condannato dal tribunale di Roma, insieme a Paolo Giordano, su richiesta di Francesco De Gregori, per avere travisato il pensiero del cantautore su Togliatti e sul PCI in un'intervista del 1997 dal titolo De Gregori su Porzus accusa Togliatti e il partito comunista, pubblicata sul Il Giornale, di cui Feltri era direttore[53].

  • Il 14 febbraio 2006 è condannato dal giudice monocratico di Bologna, Letizio Magliaro, a un anno e sei mesi di carcere per diffamazione nei confronti del senatore del PDS Gerardo Chiaromonte. La condanna si riferisce a un articolo comparso sul Quotidiano Nazionale alla fine degli anni Novanta, secondo il quale il nome del senatore compariva nel dossier Mitrokhin.[54]

  • Il 2 luglio 2007 è assolto dalla quinta sezione penale della Corte di cassazione dall'accusa di diffamazione nei confronti dell'ex PM Gherardo Colombo per un editoriale pubblicato su Il Giorno nel 1999, nel quale, in contraddizione con quanto affermato dallo stesso Feltri ne Il Giornale del 25 novembre 1994 (non ho mai scritto che Di Pietro e colleghi hanno graziato il Pds: che prove avrei per affermare una cosa simile?), si accusava il pool di Mani Pulite di aver svolto indagini esclusivamente su Silvio Berlusconi e non più sugli ex comunisti. La sentenza di assoluzione si riferisce al diritto di critica garantito dall'articolo 21 della Costituzione della Repubblica Italiana.[55]

  • Il 7 agosto 2007 è condannato assieme a Francobaldo Chiocci e alla società Europea di Edizioni SPA dalla Corte di cassazione a versare un risarcimento di 45 000 euro in favore di Rosario Bentivegna, uno degli autori dell'Attentato di via Rasella, per il reato di diffamazione. Il quotidiano Il Giornale aveva pubblicato alcuni articoli, tra i quali un editoriale di Feltri, nei quali Bentivegna era stato paragonato a Erich Priebke (per cui Feltri aveva chiesto la grazia).[56]

  • Nel dicembre 2011, il Tribunale di Milano condanna Feltri a risarcire l'ex senatore dei Verdi, tra i fondatori dell'Arcigay, Gianpaolo Silvestri (.mw-parser-output .chiarimento{background:#ffeaea;color:#444444}.mw-parser-output .chiarimento-apice{color:red}
    oggi[quando?] dirigente di SEL) con 50mila euro, per un insulto a sfondo omofobo pronunciato dal giornalista e rivolto al senatore nel 2007 durante il programma Pensieri&Bamba su Odeon TV[57][58].


Altre attività |


Insieme con Furio Colombo, Vittorio Feltri è autore di Fascismo e antifascismo, un libro uscito nel novembre 1994 per l'editore Rizzoli. Dal 2005 al 2009 partecipa ad una trasmissione, Pensieri e bamba, nella quale viene intervistato su argomenti di attualità, su Odeon TV il lunedì.[59] Per alcune edizioni ha partecipato come opinionista alla trasmissione sportiva "Il processo di Biscardi" insieme al fratello Ariel Feltri. È intervenuto alla Giornata per la Coscienza degli Animali del 13 maggio 2010, esprimendo posizioni animaliste, in particolare contro la pesca sportiva e in favore del vegetarismo[60], anche se ha detto di non essere completamente vegetariano.[61]


Vittorio Feltri è ateo.[32] Nel giugno 2014 Feltri si tessera presso Arcigay, affermando dalle pagine de Il Giornale: "Noi siamo per la libertà, senza discriminazioni, convinti che sia necessario superare i pregiudizi che generano equivoci, banalità, insulti noiosi e stupidi"[62].



Politica |


Vittorio Feltri è di orientamento liberal-conservatore.[63] Egli si dichiara da sempre indipendente a livello politico, sostenendo "il meno peggio".[64] Tuttavia, data la sua dichiarata avversione per la sinistra di origine comunista[64] anche se in realtà lo è stato da ragazzino (poi parlerà di "leggenda metropolitana"), ha quasi sempre sostenuto prima il PSI (in epoca craxiana), poi Forza Italia e il Popolo della Libertà, nonostante alcune critiche nei confronti del centro-destra e anche dello stesso Silvio Berlusconi[64][65], per il quale però ha spesso espresso apprezzamenti.[66]


Nel 2006 ha firmato il citato "manifesto libertario" dell'ex radicale Benedetto Della Vedova, all'epoca leader dei Riformatori Liberali.[25] Ha dichiarato di essere favorevole a eutanasia[67], droghe leggere[68], matrimonio e adozione omosessuali.[69] Nel 2011 ha appoggiato l'iniziativa di Marco Pannella per l'amnistia e il miglioramento delle condizioni carcerarie.[70]


Feltri è inoltre un monarchico costituzionalista, sostenitore del ripristino del Regno d'Italia sotto Casa Savoia[71][72]; ha anche partecipato alla presentazione del Manifesto programmatico del Movimento Monarchico Italiano (2001).[73] Non disdegna però una riforma in senso presidenziale della Repubblica[74]; è inoltre un critico della politica dell'Unione europea.


Alle elezione del Presidente della Repubblica Italiana del 2015 è il candidato di Lega Nord e Fratelli d'Italia,[75] ottenendo 49 voti al primo scrutinio, 51 al secondo, 56 al terzo e 46 al quarto.[76]


In un'intervista televisiva al programma Le Iene, definì Adolf Hitler "severo ma giusto"[77], mentre in un'altra, commentando la proposta del deputato Emanuele Fiano di vietare l'oggettistica fascista, disse di tenere un busto di Benito Mussolini sulla libreria del proprio studio.[78]



Opere |



Primo autore |




  • Fascismo/antifascismo, con Furio Colombo, Milano, Rizzoli, 1994. ISBN 88-17-84378-4


  • Cento anni della nostra vita visti da Vittorio Feltri 1905-2004, con Renato Farina, Novara, De Agostini, 2004.


  • I presidenti d'Italia, Novara, De Agostini, 2006.


  • Sfacciati. Le caricature e gli sberleffi di Libero, con Benny, Milano, Libero, 2007.


  • Sesso, potere e intercettazioni ai tempi del Cav, con Daniela Santanchè, Milano, Libero, 2008.


  • Sfacciati 2. Le caricature e gli sberleffi di Libero, con Benny, Milano, Libero, 2008.


  • Il Vittorioso, con Stefano Lorenzetto, Venezia, Marsilio Editori, 2010. ISBN 978-88-317-0797-8


  • Il Quarto Reich. Come la Germania ha sottomesso l'Europa, con Gennaro Sangiuliano, Mondadori, 2014


  • Buoni e cattivi con Stefano Lorenzetto, Venezia, Marsilio Editori, 2014.


  • Non abbiamo abbastanza paura. Noi e l'islam, Mondadori, 2015


  • Il vero cafone. Ciò che non dovremmo fare e facciamo tutti, con Massimiliano Parente, Mondadori, 2016


  • Chiamiamoli ladri. L'esercito dei corrotti, Mondadori, 2017


  • Il borghese. La mia vita e i miei incontri da cronista spettinato, Mondadori, 2018



Collaborazioni |




  • Prefazione a Giampiero Cannella, Aldo Di Lello, Rivoluzione blu. La sfida di destra alla terza via, Koiné, 1999


  • Prefazione a Salvatore Ferraro, Il dito contro. Memoriale del processo per l'assassinio di Marta Russo, Avagliano, 2001.


  • Prefazione a Mariella Alberini, Carlo Brera, La signora delle lucciole, Mursia, 2003


  • Prefazione a Annalisa Chirico, Condannati preventivi, Rubbettino Editore, 2012


  • Prefazione a Nicolò Amato, Bettino Craxi, dunque colpevole, Rubbettino, 2013



Onorificenze |











Laurea Honoris Causa in Scienze Politiche[79] - nastrino per uniforme ordinaria Laurea Honoris Causa in Scienze Politiche[79]
«La scelta di Vittorio Feltri rafforza l'impegno della nostra Università nel conciliare la tradizione e la cultura con il senso pratico ed economico dei nostri tempi. La sintesi é ben espressa dalla figura del giornalista che di fatto contempla, nel proprio ruolo, senso pratico e cultura di altissimo livello. Cultura e senso pratico, nel loro quotidiano confronto rappresentano lo sguardo al futuro non dimenticando quello che è il nostro passato.»
— Università degli Studi Internazionali di Roma, 15 giugno 2003.


Note |




  1. ^ abcde "Appena assunto, mettevo nome ai trovatelli e tagliavo le rette ai matti" Archiviato il 9 marzo 2014 in Internet Archive.


  2. ^ Biografia di Vittorio Feltri


  3. ^ Se dice Foglio gli brillano gli occhi. Intervista a Mattia Feltri, giornalista della Stampa (Prima n. 423, dicembre 2011)


  4. ^ abcdef Stefano Lorenzetto, Il Vittorioso, Marsilio, 2010.


  5. ^ Mariano Sabatini, Ci metto la firma!, Aliberti, 2009, pag. 87.


  6. ^ Vittorio Feltri radicale a sua insaputa Archiviato il 27 febbraio 2014 in Internet Archive., Notizie radicali, 10-10-2012


  7. ^ abc Vittorio Feltri, «Piccola storia del giornalismo», Libero, 13 giugno 2003.


  8. ^ Feltri e una mandria di bufale, su gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it.


  9. ^ Quel carabiniere non esiste, su ricerca.repubblica.it.


  10. ^ da l'Indipendente, 21 luglio 1993.


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Bibliografia |



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  • Luciana Baldrighi, Feltri racconta Feltri. Un'intervista, Milano, Sperling & Kupfer, 1997. ISBN 88-200-2413-6

  • Vittorio Feltri con Stefano Lorenzetto, "Il Vittorioso", Venezia, Marsilio Editori, 2010. ISBN 978-88-317-0797-8

  • Alberto Mazzuca, Penne al vetriolo. I grandi giornalisti raccontano la Prima Repubblica, Bologna, Minerva, 2017. ISBN 978-88-738-1849-6



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