Battaglia di Berlino




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Nota disambigua.svgDisambiguazione – Se stai cercando informazioni sui bombardamenti angloamericani su Berlino, vedi battaglia aerea di Berlino.

























Battaglia di Berlino
parte del fronte orientale della seconda guerra mondiale

Reichstag after the allied bombing of Berlin.jpg
Il Reichstag subito dopo gli scontri
Data 16 aprile - 2 maggio 1945
Luogo
Berlino, Germania
Esito Decisiva vittoria sovietica

  • Presa di Berlino

  • Suicidio di Adolf Hitler


Schieramenti




Germania Germania

URSS URSS
Polonia Polonia
Comandanti




Germania Adolf Hitler†
Germania Gotthard Heinrici
Germania Theodor Busse
Germania Hasso von Manteuffel
Germania Wilhelm Mohnke
Germania Helmuth Weidling Arreso
Germania Gotthard Heinrici
Germania Kurt von Tippelskirch
Germania Ferdinand Schörner
Germania Hellmuth Reymann

URSS Iosif Stalin
URSS Georgij Žukov
URSS Ivan Konev
URSS Konstantin Rokossovskij
Effettivi



896,750 uomini[1], 1,500 carri armati e cannoni d'assalto[2], 9,300 cannoni, 1,700 aerei[3]
2,5 milioni di uomini, 6,250 carri armati e cannoni semoventi, 41,600 cannoni e 7,500 aerei[4]
Perdite



400,000 soldati morti e feriti,
479,000 prigionieri[5], 1 500 mezzi corazzati distrutti[6]
78,291 morti e 274,184 feriti[7]
2,100 mezzi corazzati distrutti
1.000 aerei persi[8]

Voci di battaglie presenti su Wikipedia

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La battaglia di Berlino (in tedesco: Schlacht um Berlin; in russo: Берлинская наступательная операция, Berlinskaja nastupatel'naja operacija) fu l'ultima grande offensiva del teatro europeo della seconda guerra mondiale, durante la quale l'Armata Rossa attaccò la capitale del Terzo Reich, disperatamente difesa da gruppi di soldati della Wehrmacht e dalla Volkssturm. I sovietici, in netta superiorità numerica e di mezzi terrestri e aerei, riuscirono, al comando del maresciallo Georgij Žukov e del maresciallo Ivan Konev, a portare a termine la loro missione, a distruggere o catturare il grosso delle forze nemiche e ad ottenere la resa di Berlino (2 maggio 1945).


Durante la battaglia Adolf Hitler, che aveva deciso di rimanere nella capitale accerchiata per organizzare l'ultima resistenza, si tolse la vita per non cadere in mano nemica. Il Terzo Reich si arrese ufficialmente l'8 maggio, sei giorni dopo la fine della battaglia.




Indice






  • 1 Antefatti


    • 1.1 L'offensiva nella Germania orientale


    • 1.2 La battaglia dell'Oder-Neiße




  • 2 L'accerchiamento di Berlino


  • 3 Forze in campo


    • 3.1 Germania


    • 3.2 Unione Sovietica




  • 4 La battaglia


    • 4.1 La battaglia di Halbe




  • 5 Conclusione


  • 6 Note


  • 7 Bibliografia


  • 8 Voci correlate


  • 9 Altri progetti


  • 10 Collegamenti esterni





Antefatti |


All'inizio del 1945 il Fronte Orientale risultava relativamente stabile, con le parti attestate sulle posizioni che occupavano fin dall'agosto 1944, quando a seguito del disastroso esito dell'Operazione Bagration i tedeschi avevano perso Budapest e gran parte dell'Ungheria. Parallelamente Romania e Bulgaria vennero costrette alla resa e, entrate nella sfera di influenza sovietica in cui sarebbero rimaste per cinquant'anni, dichiararono guerra alla Germania, loro precedente alleata. La pianura polacca si apriva di fronte all'Armata Rossa sovietica.


I comandanti sovietici, dopo la loro mancanza di azione durante la rivolta di Varsavia, presero la capitale polacca nel gennaio 1945. Nell'arco di tre giorni, su un ampio fronte che incorporava quattro armate, l'Armata Rossa cominciò un'offensiva attraverso il fiume Narew e da Varsavia. Dopo quattro giorni l'Armata Rossa ruppe il fronte e iniziò a muoversi alla velocità di 30/40 km al giorno, prendendo i Paesi Baltici, Danzica, la Prussia Orientale, Poznań, e schierandosi su una linea posta sessanta chilometri ad est di Berlino, lungo il fiume Oder.


Un contrattacco dell'appena creato Gruppo d'armate Vistola, sotto il comando di Heinrich Himmler, fallì il 24 febbraio, e i russi entrarono in Pomerania e conquistarono la riva destra dell'Oder. A sud, tre tentativi tedeschi di liberare l'accerchiata Budapest fallirono e la città cadde in mano ai sovietici il 13 febbraio. Ancora una volta i tedeschi contrattaccarono: Hitler insisteva infatti sull'impresa impossibile di riconquistare il Danubio. Per il 16 marzo l'attacco era fallito e l'Armata Rossa contrattaccò il giorno stesso. Il 30 marzo entrò in Austria e catturò Vienna il 13 aprile.


Solo una minima parte del carburante necessario alla Wehrmacht era disponibile. La produzione di aerei da caccia e di carri armati era in discesa e la qualità era molto inferiore a quella del 1944. Era chiaro a tutti che la sconfitta tedesca era solo questione di poche settimane, ma i combattimenti sarebbero stati feroci come nel resto della guerra; l'orgoglio nazionale, l'insistenza degli Alleati per una resa incondizionata e il desiderio di guadagnare tempo per permettere ai rifugiati di arrivare a ovest prima dell'arrivo dell'Armata Rossa portarono le unità tedesche a combattere fino all'ultimo. Adolf Hitler decise di rimanere nella sua capitale.


Tanto il Führer quanto buona parte del suo entourage, ormai scoraggiati e disperati, furono preda di illusioni fino all'ultimo: si immaginavano difese organizzate con divisioni inesistenti, o con Armate ormai ridotte nella realtà a pochissimi uomini. In particolar modo, Hitler ripensava a Federico II di Prussia, che era riuscito a salvarsi dalla completa sconfitta nella Guerra dei Sette Anni perché i suoi nemici (e in particolare la Russia) avevano iniziato a ostacolarsi a vicenda ed erano usciti dall'alleanza.


Le idee che circolavano nel bunker sotterraneo della cancelleria, tra i più alti gradi del Terzo Reich, rimanevano improntate a un totale scollegamento dalla realtà: la guerra era persa da mesi (se non da anni) ma ci si ostinava da un lato a credere a una vittoria impossibile, dall'altro a pensare che il Reich dovesse finire in una sorta di autodistruttivo crepuscolo degli dei. Inoltre si era completamente dimentichi delle tristi condizioni dell'esercito tedesco, in cui divisioni formate da ragazzi di 13-14 anni ed anziani di 60-70, pesantemente sotto organico (3-4.000 uomini contro i quasi 12.000 teorici), armati con un coacervo di armi modernissime e antiquate (fucili d'assalto accanto a moschetti Carcano 91/28), avrebbero dovuto resistere indefinitamente, mentre altre formazioni analoghe avrebbero dovuto garantire una immensa quanto assurda controffensiva da Sud.


Gli Alleati occidentali avevano dei piani abbozzati per il lancio di truppe paracadutate che prendessero la città, ma decisero di non farne nulla. Dwight Eisenhower non vedeva il bisogno di soffrire delle perdite per prendere una città che sarebbe ricaduta nella sfera d'influenza sovietica alla fine della guerra. Inoltre il piano era irrealistico in termini di numero di soldati e di quantità di rifornimenti necessari per l'operazione.



L'offensiva nella Germania orientale |


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«Dunque chi prende Berlino? Noi o gli alleati? (Stalin)...Saremo noi a prendere Berlino e la prenderemo prima degli alleati (maresciallo Ivan Konev)...»


(Colloquio tra Stalin e i suoi generali il 1º aprile 1945[9])

L'offensiva sovietica in Germania aveva due obiettivi. A causa dei sospetti di Stalin circa la reale intenzione degli Alleati occidentali di mantenere effettivamente gli accordi conclusi alla conferenza di Jalta che assegnavano all'Unione Sovietica una zona di occupazione nei territori tedesco orientali, l'offensiva doveva essere portata su un fronte ampio e muoversi il più rapidamente e il più in profondità possibile verso ovest. Ma l'obiettivo prioritario era la cattura di Berlino. Le due cose erano complementari, perché il possesso dell'area non poteva essere ottenuto rapidamente se non veniva presa prima Berlino. Un'altra considerazione era che Berlino stessa aveva degli obiettivi estremamente importanti dal punto di vista strategico e politico per il dopoguerra, compresi Adolf Hitler e il programma atomico tedesco.





Il maresciallo Georgij Žukov (al centro della foto), il comandante del 1° Fronte bielorusso nella battaglia di Berlino




Il maresciallo Ivan Konev, il comandante del 1° Fronte ucraino nella battaglia di Berlino




Il 9 aprile 1945 Königsberg, capitale della Prussia Orientale, capitolò davanti all'Armata Rossa. Questo evento lasciò libero il 2° Fronte Bielorusso del maresciallo Konstantin Rokossovskij di spostarsi ad ovest, sulla sponda orientale del fiume Oder. Durante le prime due settimane di aprile i russi eseguirono il loro più rapido ridispiegamento della guerra. Il maresciallo Georgij Žukov concentrò il suo 1° Fronte Bielorusso, che era stato schierato lungo l'Oder, da Francoforte fino al Mar Baltico, nell'area ristretta di fronte alle Alture Seelow. Il 2* Fronte bielorusso si spostò nelle posizioni lasciate libere dal 1° Fronte bielorusso a nord delle Alture Seelow. Mentre questo ridispiegamento era in atto si aprirono dei varchi nelle linee e i resti della II Armata Tedesca, che erano rimasti intrappolati in una sacca nei pressi di Danzica, trovarono la via di fuga attraversando l'Oder.


A sud il maresciallo Ivan Konev trasferì il peso principale del 1° Fronte Ucraino fuori dell'Alta Slesia e raggruppò le sue forze a nord-ovest del fiume Neisse. I tre fronti sovietici contavano complessivamente 2,5 milioni di uomini (compresi 78.556 soldati della I Armata Polacca), 6.250 carri armati, 7.500 aerei, 41.600 pezzi di artiglieria e mortai, 3.255 lanciarazzi multipli Katjuša montati su camion (soprannominati "organi di Stalin") e 95.383 veicoli a motore, molti dei quali di fabbricazione statunitense.


Il generale Gotthard Heinrici prese il posto di Himmler come comandante del Gruppo d'armate Vistola il 20 marzo. Egli era uno dei migliori tattici difensivi dell'esercito tedesco ed iniziò immediatamente a stendere dei piani difensivi. Heinrici stimò correttamente che la principale spinta sovietica sarebbe avvenuta attraverso l'Oder e lungo la principale autostrada in direzione est-ovest. Egli decise di cercare di difendere le sponde dell'Oder con nulla più che una cortina di leggere schermaglie. Invece fece sì che i suoi genieri fortificassero le Alture Seelow, che sovrastavano l'Oder nel punto in cui l'autostrada lo attraversava. Heinrici iniziò ad assottigliare le linee in altre aree per aumentare il numero di uomini disponibili per difendere le alture. I genieri dell'esercito tedesco trasformarono in una palude la piana alluvionale dell'Oder, già saturata dalle piogge primaverili, liberando l'acqua di una riserva a monte. Dietro a questa palude costruirono tre cinture difensive che arrivavano fino ai sobborghi di Berlino. Queste linee consistevano di buche anticarro, postazioni per cannoni anticarro ed un'estesa rete di trincee e bunker.



La battaglia dell'Oder-Neiße |


Poco prima lo spuntare dell'alba del 16 aprile l'offensiva ebbe inizio con un massiccio bombardamento da parte di migliaia di pezzi di artiglieria e di razzi Katyusha;il fuoco di sbarramento sovietico fu impressionante eseguito da quasi 7.000 cannoni e le munizioni ammassate ai cannoni erano quasi 9 milioni. Cessato il rombo delle cannonate, fu la volta degli Sturmovik: circa duemilacinquecento bombardieri sovietici effettuarono la più massiccia incursione sulla città condotta dall'inizio della guerra. Verso le 4,30 finalmente l'Armata Rossa si mise in moto: il 1FB attaccò dalla testa di ponte di Küstrin attraverso l'Oder, sotto una pioggia battente, mentre il l 1FU attaccò a sud attraverso la Neisse. Il 1FB era più forte ma ebbe un compito più arduo in quanto dovette fronteggiare il grosso delle formazioni tedesche.





Il mancato "miracolo"

Il ministro tedesco delle Finanze Lutz Graf Schwerin von Krosigk registrò nel suo diario un episodio, dei primi di aprile 1945, indicativo dell'alternanza di illusione e disperazione che si viveva nel Führerbunker: Joseph Goebbels leggeva ad alta voce ad Adolf Hitler un capitolo della biografia di Federico il Grande, scritta da Thomas Carlyle, sulle conseguenze della disastrosa sconfitta prussiana a Kunersdorf. Vi si narrava come il grande re stesso non vedeva più alcuna uscita dalle sue difficoltà, non aveva più alcun piano; come tutti i suoi generali e ministri erano convinti che la sua caduta era a portata di mano; come il nemico stava già contando sulla distruzione della Prussia; come - con un buio futuro davanti - Federico il Grande, nella sua ultima lettera al suo ministro, il conte Finckenstein, si diede un'ultima scadenza: se non ci fosse stato alcun cambiamento entro il 15 febbraio, l'avrebbe fatta finita prendendo il veleno. "Re coraggioso!" commentava Carlyle, "aspetta ancora un po', i giorni della tua fortuna stanno dietro le nuvole e presto risorgeranno su di te". Il 12 febbraio la zarina di Russia muore; il miracolo del Casato di Brandeburgo era avvenuto[10]
Secondo il diario di Krosigk, dopo questa lettura "le lacrime inumidirono gli occhi del Führer". Il 12 aprile Krosigk scrisse: "abbiamo sentito le ali dell'Angelo della Storia frusciare nella stanza. Potrebbe essere questo il tanto desiderato cambiamento di fortuna?"[11] Goebbels avrebbe persino affermato: "per motivi di necessità storica e giustizia, un cambiamento di fortuna era inevitabile, come il miracolo del Casato di Brandeburgo nella Guerra dei Sette Anni. Uno degli ufficiali di stato maggiore chiese in certa misura scetticamente e ironicamente, Quale zarina morirà questa volta? Questo - Goebbels aveva risposto - non si può dire; ma il Fato mantiene ancora molte possibilità nelle sue mani. Tornato a casa, Krosigk seppe della notizia della morte di Roosevelt e telefonò immediatamente al bunker, comunicando: "La zarina è morta". Theodor Busse gli aveva risposto che questa nuova aveva fatto una grande impressione sui suoi soldati, che vedevano risorgere un'ultima possibilità.[12].



L'attacco iniziale del 1FB fu un disastro. Heinrici anticipò l'attacco sovietico e ritirò i suoi difensori dalla prima linea di trincee prima che l'artiglieria sovietica le eliminasse, prendendo così i russi in contropiede. La luce di 143 riflettori antiaerei, che nei piani doveva accecare i difensori, venne diffusa nella foschia del primo mattino, rivelando utili profili delle formazioni sovietiche attaccanti. Il terreno paludoso si rivelò un grosso ostacolo e sotto il fuoco di contro-sbarramento tedesco le perdite sovietiche furono enormi.
L'opposizione incontrata sulle alture di Seelow per giunta fu talmente fanatica che, al calar della sera, l'avanzata russa si limitava in certi tratti a soli tre chilometri, mentre le puntate massime non superavano gli otto.


Frustrato dalla lenta avanzata, Zhukov lanciò in campo le sue riserve, che nei piani originari dovevano essere risparmiate per sfruttare l'atteso sfondamento. A sud, l'attacco del 1FU si atteneva ai piani. Zhukov venne costretto a riportare a Stalin che la Battaglia delle Alture Seelow non stava andando come previsto. Stalin per spronare Zhukov gli disse che avrebbe dato a Konev il permesso di guidare le sue armate di carri verso Berlino, facendo leva sulla rivalità esistente fra i due marescialli.


Il secondo giorno il personale del 1FB si ridusse a setacciare le retrovie alla ricerca di qualsiasi truppa che potesse essere mandata in battaglia. La tattica sovietica di usare attacchi in massa si stava rivelando più costosa del solito. La notte del 17 aprile il fronte tedesco davanti a Zhukov rimaneva intatto, ma nulla di più. A sud l'Heeresgruppe Mitte al comando del Generale Ferdinand Schörner non si stava rivelando un ostacolo insormontabile. La IV Armata Panzer sul fianco destro del suo schieramento, stava arretrando sotto il peso dell'attacco del 1FU. Schorner tenne le sue due divisioni panzer di riserva a sud, a copertura del centro, invece di usarle per sostenere la IV Armata corazzata. Questo fu il punto di svolta della battaglia, perché entro la notte le posizioni meridionali del Gruppo di Armate della Vistola e i settori settentrionali del Gruppo d'Armate Centro erano diventati indifendibili. A meno che non si fossero rimessi in linea con la IV Armata Panzer, la IX Armata di Busse avrebbe affrontato l'accerchiamento. In effetti i riusciti attacchi di Konev sulle povere difese di Schorner, a sud della battaglia delle Alture Seelow, stavano mettendo in difficoltà la brillante difesa di Heinrici.


Il 18 aprile entrambi i Fronti sovietici fecero solidi progressi, ma le perdite furono ancora sostanziali. Al calar della notte il 1FB aveva raggiunto la terza e ultima delle linee di difesa tedesche e il 1FU, avendo catturato Forst, si preparava ad irrompere negli spazi aperti. Il 19 aprile, quarto giorno di battaglia, il 1FB irruppe attraverso l'ultima linea delle Alture Seelow e nient'altro che formazioni tedesche in rotta si frapponevano tra questo e Berlino. I reggimenti sbandati della IX Armata, che avevano tenuto le alture, e i resti del fianco nord della IV Armata Panzer, erano in pericolo di venire accerchiati da elementi del 1FU: la III Armata Guardie e la III e IV Armata Corazzata Guardie che, essendo passate attraverso le linee della IV Armata Panzer, puntavano in direzione nord, verso Berlino e il 1FB.


Consapevole del rischio di rimanere intrappolato in una gigantesca tenaglia, il 20 aprile (cinquantaseiesimo compleanno di Hitler) Heinrici annunciò che la IX armata cominciava a cedere sotto la pressione russa e chiese pertanto il permesso di farla ripiegare prima che fosse troppo tardi: «Se la IX armata non ripiega immediatamente, essa sarà completamente travolta». Ma la sua richiesta cadde nel vuoto: il Führer, gli dissero, al momento era occupato a presenziare un ricevimento in suo onore.
Quando l'autorizzazione a ritirarsi gli fu finalmente concessa, alle 14:50, la IX armata era ormai completamente accerchiata.


Per la fine del 19 aprile il fronte tedesco orientale aveva in pratica cessato di esistere e tutto ciò che ne restava erano sacche di resistenza. Il prezzo per le forze sovietiche fu molto alto, tra il 1º e il 19 aprile avevano perso oltre 2.807 carri armati, soprattutto ad opera delle armi anticarro tedesche (PaK 40 e Panzerfaust). Durante lo stesso periodo gli Alleati ad ovest ne avevano persi 1.079, affrontando, d'altra parte, forze tedesche meno consistenti.



L'accerchiamento di Berlino |




Berlino, luglio 1945 a Potsdamer- angolo Linkstraße




Distruzione nelle deserte strade di Berlino




Bandiera polacca sventola su Berlino distrutta


Il 20 aprile l'artiglieria russa del 1FB iniziò il bombardamento della città, che sarebbe terminato solo con la resa della sua guarnigione, il 2 maggio. Alla fine della guerra i russi sottolinearono che il quantitativo di esplosivo impiegato dalla loro artiglieria era maggiore del tonnellaggio sganciato dai bombardieri anglo-americani nel corso della guerra aerea su Berlino.


Il 21 aprile - sesto giorno della battaglia - la II Armata Guardie avanzò di quasi 50 km a nord di Berlino e quindi attaccò a sud-ovest di Werneuchen. Altre unità sovietiche raggiunsero l'anello di difesa più esterno. Il piano sovietico era di accerchiare prima Berlino e poi la IX Armata.


Il 1FU si era intanto spinto attraverso le ultime formazioni del Gruppo d'armate Centro ed era passato a nord di Jüterbog, ben oltre la metà strada dalle linee del fronte statunitensi sul fiume Elba, a Magdeburgo. A nord, tra Stettino e Schwedt il 2FB attaccò il fianco nord del Gruppo d'armate Vistola, tenuto dalla III Armata Panzer.


Il comando della IV Armata Panzer, intrappolato con quello della IX Armata a nord di Forst, passò a quest'ultima. I tedeschi stavano ancora tenendo Cottbus. Quando il fianco sud della IV Armata Panzer ottenne qualche successo locale, contrattaccando verso nord, contro il 1FU, Hitler diede alcuni ordini che mostravano come la sua presa sulla realtà militare fosse svanita. Egli ordinò alla IX Armata di tenere Cottbus e di creare un fronte orientato verso ovest dal quale avrebbero dovuto attaccare le colonne sovietiche che avanzavano verso nord. Questo avrebbe loro permesso di formare il braccio settentrionale della morsa che si sarebbe congiunta alla IV Armata Panzer proveniente da sud, ed accerchiare il 1FU prima di distruggerlo. Essi dovevano anticipare un attacco a sud da parte della 3. Panzerarmee ed essere pronti a formare il braccio meridionale di un attacco a tenaglia che avrebbe circondato il 1FB che sarebbe stato distrutto dal III. SS-Panzerkorps del tenente-generale Felix Steiner, che avanzava da nord di Berlino. Più tardi in quel giorno, Steiner rese chiaro che non disponeva delle divisioni per una simile azione. Heinrici a sua volta disse chiaramente allo staff di Hitler che se la IX Armata non si fosse ritirata immediatamente, sarebbe stata accerchiata dai sovietici. Sottolineò inoltre che era già troppo tardi per farla muovere a nord-ovest verso Berlino, e che avrebbe dovuto ritirarsi verso ovest. Heinrici continuò dicendo che se Hitler non gli avesse permesso di spostarsi verso ovest, avrebbe chiesto di venire rilevato dal comando.


Il 22 aprile, durante la sua riunione pomeridiana sulla situazione, Hitler si abbandonò ad una rabbia colma di lacrime quando si rese conto che i suoi piani del giorno precedente non si sarebbero realizzati. Egli dichiarò che la guerra era persa, ne diede la colpa ai generali ed annunciò che sarebbe rimasto a Berlino fino alla fine per poi suicidarsi. In un tentativo di far uscire Hitler dalla sua rabbia, il generale Alfred Jodl speculò sulla possibilità che la XII Armata, che stava affrontando gli statunitensi, potesse essere spostata a Berlino, poiché gli americani, già arrivati sull'Elba, difficilmente si sarebbero spinti più a est. Hitler afferrò immediatamente l'idea e nel giro di poche ore il generale Walther Wenck ricevette l'ordine di sottrarsi al combattimento con gli statunitensi e spostare la XII Armata verso nord-est per soccorrere Berlino. Si realizzò quindi che se la IX Armata si fosse mossa verso ovest poteva unirsi alla XII. In serata Heinrici ottenne il permesso di eseguire questa manovra. Lontano dalla sala delle mappe del Führerbunker di Berlino, con i suoi attacchi immaginari di divisioni fantasma, i sovietici procedevano verso la vittoria nella guerra. Il 2FB aveva stabilito una testa di ponte sulla sponda orientale dell'Oder, profonda più di 15 km, ed era pesantemente impegnato con la 3. Panzerarmee. La IX Armata aveva perso Cottbus ed era pressata da est. Una punta avanzata di carri sovietici era sul fiume Havel, ad est di Berlino, e un'altra aveva ad un certo punto penetrato l'anello difensivo più interno di Berlino. Quella sera stessa Konev poté comunicare a Stalin di aver messo piede per primo nei sobborghi della capitale.


Il 23 aprile il 1FB e il 1FU sovietici continuarono a stringere l'accerchiamento assicurandosi tra l'altro il controllo dell'ultimo collegamento che la IX Armata Tedesca aveva con la città. Elementi del 1FU continuarono a spostarsi verso ovest e iniziarono ad impegnare la XII Armata Tedesca che si stava spostando verso Berlino. Hitler nominò il Generale Helmuth Weidling comandante della difesa di Berlino. Per il 24 aprile elementi del 1FB e del 1FU avevano completato l'accerchiamento della città, mentre Konev, assediata Potsdam, spingeva le sue avanguardie oltre la Nuthe, fiumiciattolo che delimita due rioni di Berlino, Steglitz e Zehlendorf.


In città intanto la situazione dei civili si andava aggravando di ora in ora. Non c'erano più elettricità, gas e luce; le macchine esplodevano sotto il tiro delle artiglierie e le condutture di acqua potabile erano saltate per via dei bombardamenti. Mentre venivano distribuite le razioni di emergenza, le SS gironzolavano per le case alla ricerca di ragazzini sui 12-13 anni da mandare a combattere in prima linea. L'anagrafe aveva cessato di funzionare così come pure tutti i servizi igienico-sanitari della città.


Il giorno seguente il 2FB spezzò le linee della III Armata Panzer attorno alla testa di ponte a sud di Stettino ed attraversarono la palude Rando. Era ora libero di avanzare verso ovest in direzione del XXI Corpo d'armata Britannico e in direzione nord verso il porto baltico di Stralsund. La LVIII Divisione Guardie della V Armata Guardie prese contatto con la 69ª Divisione di fanteria della I Armata USA nei pressi di Torgau, sull'Elba. La Germania si trovava ora tagliata in due.



Forze in campo |



Germania |


Subito dopo essere stato nominato da Hitler generale della Wehrmacht con il doppio compito onorifico di stroncare qualsiasi moto di cedimento e di difendere Berlino, il Reichsminister (nonché Gauleiter della città sin dal 1926) Joseph Goebbels ordinò l'immediata mobilitazione di ogni divisione dell'esercito e delle SS che si trovasse nei dintorni della piazzaforte. Alla vigilia del 21 aprile (data d'inizio dell'assedio), dentro la cerchia di Berlino che Hitler aveva da poco fatto ribattezzare Festung ("Fortezza"), affidandone il comando dapprima al generale Reymann e in seguito al generale Helmuth Weidling, c'erano 94.094 uomini in armi[13] nelle seguenti unità, raggruppate nel 56º Panzerkorps passato al comando del generale Hans Mummert:



  • Divisione corazzata Muncheberg: 3000 uomini più una ventina di carri; presente a Lichtenberg, Fredrichshain e Weissensee.

  • 11. SS Freiwilligen Pz.Gren.Div. Nordland: 1500 uomini, 15 carri; dislocata nel quadrante Neukölln-Treptow.

  • 20. Pz.Gren.Div. (3000 uomini e qualche carro armato): assegnata all'area di Steglitz-Zehlendorf.

  • 9. Divisione Paracadutisti (4000 uomini circa): presente a Pankow assieme a due o tre battaglioni di territoriali.

  • Formazioni della H.J. (effettivi: 2280). Sparse un po' dappertutto, a Zehlendorf (municipio), Tempelhof (aeroporto), Wedding, Pankow, Reinickendorf (postazioni di Flak), e come presidio sui ponti di Spandau, Charlottenburg e Pichelsdorf.

  • 32. Div. granatieri SS 30 Ianuar, distaccata sull'Alexanderplatz.

  • Gruppo Mohnke, comprendente il Battaglione della Guardia di Himmler e il Battaglione Guardie della Leibstandarte SS, schierate nel quartiere governativo e attorno al Reichstag.

  • I resti della 33. Div. granatieri SS Charlemagne (320-330 uomini[14]), aggregata ai resti delle divisioni SS Wiking e Nederland, oltre ai rimasugli di varie unità, tra cui la celebre "Legione San Giorgio", formata dai prigionieri di guerra inglesi cui erano state date le armi.

  • Il gruppo SS Todte (3000 uomini) e 400 volontari provenienti da un battaglione lettone, questi ultimi dispiegati nella zona dell'aeroporto assieme a diverse unità della difesa antiaerea.

  • 1668 poliziotti, distaccati principalmente nel settore Tempelhof-Shoneberg.

  • 18. Pz.Gren.Div, tenuta in riserva nell'ellisse di Tiergarten.[15]


Per dare supporto a queste unità raccogliticce, Goebbels, confidando ancora in una impossibile vittoria finale, chiamò a raccolta il Volkssturm, la milizia popolare, composta da uomini anziani, molti dei quali erano stati da giovani nell'esercito e di cui alcuni erano veterani della prima guerra mondiale, i riformati in età da portare le armi, ed anche i piccoli Kampfgruppe, come quello costituito dai 200 sopravvissuti belgi della divisione Wallonie. Inoltre ordinò ad ogni civile tedesco di difendere la città fino all'ultimo anelito di forze. Döenitz dal canto suo fornì l'appoggio di circa 2000 marinai, che furono immediatamente rispiegati attorno al Reichstag e al Ministero degli Interni. Per il resto, si trattava di un'accozzaglia di gruppi da combattimento improvvisati, a volte privi persino del fucile, formati da vigili del fuoco, appartenenti alle forze dell'ordine, piloti della Luftwaffe, truppe della riserva generale, guardie di confine e donne della difesa contraerea.[13]


Ricapitolando, dunque, poco più di 94.000 uomini appartenenti a tutte e tre le armi - esercito, aviazione e marina -, equipaggiate con poche decine di mezzi corazzati (50-60 carri armati e cannoni d'assalto[16]), dovevano resistere all'urto di sette armate sovietiche (3ª e 5ª Armata d'urto, 8ª Armata della Guardia, 47ª Armata, 1ª, 2ª e 3ª Armata corazzata della Guardia) costituite da 464.000 soldati con 1.500 carri armati e 12.700 cannoni[17].


Delle trentasette divisioni tedesche incaricate di "tenere a tutti i costi" il fronte dell'Oder (il cosiddetto "Gruppo Armate della Vistola") non rimanevano che poche sacche di sbandati, poiché le formazioni migliori, come la IV Panzer, o erano state spazzate via nelle prime ore dell'attacco o erano rimaste tagliate fuori.



Unione Sovietica |


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La battaglia |


Il destino di Berlino era comunque segnato ma la resistenza continuò, in maniera spesso fanatica.


La battaglia vera e propria iniziò il 25 aprile, quando il 1FB varcò il canale Hohenzollern all'altezza di Plötzensee e iniziò ad avanzare nei settori orientale e nord-orientale della città, scontrandosi però ben presto con resistenza opposta da elementi della IX divisione Paracadutisti del Reich nell'area industriale a cavallo fra l'Invalidenstraße e lo Stettiner Bahnhof. Contemporaneamente, nel settore meridionale della città, l'VIII Armata delle Guardie e la I Armata Guardie corazzate si impadronivano dell'aeroporto di Tempelhof, dopo aver messo in rotta le formazioni della Hitlerjugend che lo difendevano assieme a reparti della difesa contraerea e della Muncheberg. Quella notte stessa caddero i ponti di Spandau e Pichelsdorf, difesi da alcune unità della Gioventù hitleriana.


Caduti i sobborghi esterni, la battaglia di Berlino si restrinse ai rioni di Mitte, di Kreuzberg e di Prenzlauer Berg, ovvero la linea di quartieri denominata "Cittadella". L'avanzata sovietica verso il centro della città si svolse lungo alcuni assi principali: da sud-est lungo la Frankfurter Allee (terminata ad Alexanderplatz); da sud lungo la Sonnenallee con termine a nord di Belle-Alliance-Platz, da sud con arrivo nei pressi di Potsdamer Platz e da nord per arrestarsi vicino al Reichstag. Il Reichstag con il ponte Moltke, Alexanderplatz e i ponti sullo Havel a Spandau furono i luoghi dove i combattimenti furono più pesanti, con scontri casa per casa e corpo a corpo. I contingenti stranieri delle SS combatterono con particolare vigore perché erano ideologicamente motivati e perché sapevano che in ogni caso non sarebbero sopravvissuti alla cattura.


Il 27 aprile cadde l'aeroporto di Gatow. Violentissimi combattimenti, con perdite enormi da entrambe le parti, infuriavano intanto alla stazione dell'Anhalt e sull'Alexanderplatz dove, tra le macerie dei capisaldi e le buche di granata, un pugno di SS agli ordini dello Standartenführer Hans Kempin resisteva ancora, appoggiato dagli ultimi carri del 29º reggimento Panzer.[18]


Il 28 aprile Heinrici rifiutò l'ordine di Hitler di tenere Berlino a qualsiasi costo, e venne quindi sollevato dall'incarico e sostituito dal generale Kurt Student il giorno seguente.


Il 29 Hitler riunì per l'ultima volta i suoi collaboratori, espose loro la situazione generale e infine li congedò, dopo aver fatto giurare a ognuno di non lasciarsi prendere vivo. Intanto a Berlino si continuava a morire: a mezzogiorno le truppe di Cujckov si battevano già nella Vosstrasse, sulla quale si affacciavano la Cancelleria e il Ministero dell'Aeronautica (quest'ultimo difeso dal 15º Battaglione SS, formato da fucilieri lettoni). Ma si combatteva anche nel resto della città: per esempio a Tempelhof, dove 1200 ragazzi della Gioventù hitleriana tenevano ancora saldamente un tratto dell'aeroporto, e sulla Moritzplatz, difesa dai volontari spagnoli della SS Freiwilligen Kompanie 101 (detta anche Einsatzgruppe "Ezquerra", dal nome di Miguel Ezquerra, il suo comandante in capo).


Intanto nel bunker di Hitler ci si appigliava a ogni sottile speranza di salvezza e circolavano le idee più insensate. Persino il piano suicida del generale Weidling per una sortita fuori Berlino venne preso in seria considerazione: elementi della 18. Panzer e della 9. Divisione Aviotrasportata avrebbero dovuto forzare il blocco sovietico lungo la Heerstrasse, in direzione della Sprea, con le ultime munizioni rimaste e una manciata di blindati, per aprire un varco al Führer e al suo seguito verso il ponte di Spandau, un settore ancora tenuto dalla Gioventù hitleriana. Una volta giunti là, l'ultimo quadrato di SS della divisione Nordland, affiancato dai resti di reparti scelti della Muncheberg e da un battaglione di polizia, avrebbe provveduto a scortare Hitler verso un luogo sicuro, oltre la sacca di Berlino.


Ma un attacco di assaggio, condotto dalla Hitlerjugend e da ottocento granatieri, finì in un massacro spaventoso nei pressi dell'Olympiastadion e si dovette pertanto rinunciare all'impresa.[19]


Il 30 aprile, mentre le forze sovietiche si aprivano a ventaglio combattendo di strada in strada verso il centro di Berlino, Adolf Hitler sposò Eva Braun e poco dopo si suicidò assumendo cianuro e sparandosi. Il suo corpo fu avvolto nelle coperte impregnate di benzina e carbonizzato assieme a quello di Eva Braun, che lo aveva voluto seguire anche nell'ora della morte.
A questo punto i comandanti ancora in vita decisero che era venuto il momento di pensare a come uscire dalla sacca, tanto più che ormai i francesi della divisione Charlemagne si battevano, con le unghie e con i denti, a un centinaio di metri dal bunker.
Entro mezzogiorno il battaglione del capitano Neustroev, appartenente alla 150. Divisione Fucilieri, aveva occupato la Königsplatz e si preparava a dare l'assalto finale al Reichstag dove, nelle grandi sale vuote, si erano barricate duemila SS agli ordini dell'Obersturmfuhrer Gerhard Babick. La lotta per impadronirsi di questo edificio simbolo sarebbe durata un intero pomeriggio.


Il 1º maggio (penultimo giorno di assedio), i miseri resti della Muncheberg (gen. Mummert) si radunarono nel Tiergarten, assieme a quelli della Nordland e della Charlemagne, comandati rispettivamente da Ziegler e da Krukenberg: in tutto poco più di 800 uomini malridotti, senza mortai né mitragliatrici, con appena cinque Panzer, di cui due erano cacciacarri Elefant (cacciacarri) e gli altri BA10 di preda bellica e Tiger II dell'11º reggimento Panzer (PanzerAbteilung) Hermann von Salza delle SS[20]
Appoggiati da questi pochi mezzi e spinti dalla forza della disperazione, i tre comandanti decisero di tentare di uscire dalla sacca di Berlino alla testa dei loro uomini - gran parte dei quali aveva portato con sé la propria famiglia - sfondando in direzione di Pichelsdorf; per farlo, si divisero in due piccoli Kampfgruppe, il primo dei quali avrebbe lasciato il bunker alle nove. Al primo gruppo si unirono anche diversi volontari della XVIII Panzer, mentre al secondo si aggregarono alcuni membri dello stato maggiore del Führer, tra cui Bormann. Il Brigadeführer Mohnke (rimasto il più alto in grado) ordinò loro di riunire tutta la benzina e gli esplosivi rimasti, e di dare fuoco al bunker. Erano le nove di sera quando il primo gruppo lasciò il bunker diretto verso la vicina stazione della metropolitana di Kaiserhof. Ne facevano parte Otto Günsche, colonnello e guardia del corpo di Hitler, l'ambasciatore Hewel, l'ammiraglio Voss, Heinz Linge, il cameriere di Hitler, le sue tre segretarie, e il suo pilota personale, Baur[21]. Non andarono lontano: scoperti dai russi durante la fuga, alcuni di loro si suicidarono, gli altri furono tutti presi prigionieri; tra questi ultimi, il Brigadeführer SS Mohnke e il colonnello Günsche.


Né miglior fortuna ebbe il secondo gruppo, allontanatosi dal bunker verso l'una e mezza di notte: nonostante l'appoggio di alcuni carri armati "Tigre", dovette fermarsi al ponte di Wiedendamm di fronte a un posto di blocco sovietico. Non si sa se Bormann sia rimasto ucciso nel breve scontro a fuoco che ne seguì o se sia riuscito a fuggire.


Nel pomeriggio di quello stesso giorno cadde anche il secondo piano del Reichstag e due sergenti sovietici, Egorov e Kanthria, poterono arrampicarsi sul tetto e issarvi la bandiera con la falce e il martello. L'impresa fu immortalata da una troupe di reporter il giorno dopo e divenne in poco tempo una delle più celebri immagini dell'intero conflitto.


Per la divisione Charlemagne, ormai ridotta approssimativamente ad una trentina di uomini, la guerra poteva dirsi finita. Esaurite le munizioni, le SS francesi cercheranno, a piccoli gruppi, di attraversare le linee russe spingendosi quanto più possibile verso ovest per arrendersi agli inglesi o agli americani. E alcune di loro ci riusciranno, camminando per ore e ore nei condotti fognari e nelle gallerie della metropolitana, che sembra furono poi allagate determinando la morte anche di molti civili, al buio e senz'acqua.
Altri, catturati dai russi, saranno invece fucilati sul posto.





L'annuncio della resa

Il generale Helmuth Weidling, comandante della difesa di Berlino, annunciò la resa con il seguente comunicato trasmesso alle truppe tedesche: "Berlino, 2 maggio 1945. Il giorno 30 aprile il Führer si è suicidato, abbandonando in tal modo tutti coloro che gli avevano prestato giuramento di fedeltà. Ligi agli ordini del Führer, voi soldati tedeschi eravate pronti a continuare a combattere per Berlino benché le vostre munizioni stessero per finire e la situazione complessiva rendesse insensata un'ulteriore resistenza. Dispongo ora la cessazione di ogni forma di attività bellica. Ogni ora che voi dovreste continuare a combattere non farebbe che protrarre le terribili sofferenze della popolazione civile e dei nostri feriti. D'accordo con il comando supremo delle truppe sovietiche, vi chiedo di deporre immediatamente le armi. Weidling, ex comandante della difesa della piazza di Berlino"[22].



Hitler era morto, ma la battaglia di Berlino continuava. La resistenza tedesca era discontinua: non essendoci più uno Stato maggiore a coordinare la difesa, ed essendo cessate praticamente tutte le trasmissioni, ciascun sottufficiale decise per conto suo se arrendersi ai russi o se tentare il tutto per tutto, aumentando in questo modo il caos tra reparto e reparto e peggiorando ancor più la già difficile situazione della popolazione civile. Furono momenti di panico indescrivibile, né mancarono fra l'altro gli attriti tra i singoli comandanti di battaglione: ad esempio nel settore di Spandau, quando alcuni parlamentari tedeschi si fecero incontro alle linee russe agitando una bandiera bianca, il Brigadefuhrer Krukenberg intimò loro l'alt puntandogli addosso la propria pistola.[23]


Il Generale Weidling, comandante di fresca nomina, ordinò il "cessate il fuoco" il 2 maggio alle 07:00, mentre una fredda pioggerella cadeva sulla città. Per quell'ora anche la guarnigione di Spandau e quelle poste a difesa della torre antiaerea dello zoo si erano arrese ai russi. Ma nei pressi della Cancelleria i combattimenti proseguirono ancora fino alle 13:00, ad opera di alcuni reparti sbandati di SS del battaglione di Mohnke che, ignari di tutto, seguitavano a combattere[24].



La battaglia di Halbe |


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Lo stesso argomento in dettaglio: battaglia di Halbe.

A sud della città, durante la battaglia di Berlino e per alcuni giorni a seguire, la IX Armata Tedesca compì un'azione disperata per uscire dalla sacca in cui si trovava, in modo da riunirsi alla XII Armata e attraversare l'Elba per arrendersi agli statunitensi.



Conclusione |




Il Reichstag dopo il bombardamento alleato, 3 giugno 1945


La battaglia finì dopo una settimana di pesanti combattimenti perché i tedeschi si trovarono a corto di uomini e mezzi. I magazzini di rifornimento tedeschi si trovavano fuori dalla linea di difesa più esterna e vennero presi dai sovietici all'inizio della battaglia. Nello scontro per prendere la città i sovietici persero circa 2.000 veicoli corazzati.


Nella sua desolante semplicità, la battaglia di Berlino fu, secondo le parole di un grande storico come Cornelius Ryan, "una tenaglia [...] che si aprì e si richiuse nel giro esatto di quindici giorni su una città difesa alla meno peggio." Il suo giudizio è stato peraltro condiviso dalla maggior parte degli storici contemporanei.


Dal 16 aprile al 2 maggio i sovietici ebbero 135.000 morti nelle operazioni nella Germania orientale e 50.000 morti dentro la città. Stalin affermò che i sovietici avevano avuto 70.000 morti, ma avevano ucciso oltre 170.000 soldati tedeschi, morti alla fine (secondo Stalin) in numero di 20.000 al giorno per l'ostinazione di Adolf Hitler. Oggi si parla di 80.000 morti sovietici e di 150.000 morti tedeschi. Alcuni invece parlano di 300.000 morti sovietici e di 325.000 morti tedeschi: 173.000 soldati e 152.000 civili (sempre dal 16 aprile al 2 maggio sul fronte berlinese).mw-parser-output .chiarimento{background:#ffeaea;color:#444444}.mw-parser-output .chiarimento-apice{color:red}[senza fonte].




L'area monumentale a Berlino in onore del soldato sovietico.


Ecco la suddivisione dei morti sovietici e tedeschi nelle battaglie combattute tra il 16 aprile e il 2 maggio, esclusi i morti nella città, secondo le statistiche di 185.000 e 173.000 morti:[25]



  • nella battaglia dell'Oder (16 - 19 aprile): sovietici: 35.000 (la maggior parte nel Seelow), tedeschi: 20.000.

  • la difesa di Berlino (ca. 20 - 25 aprile): sovietici: 50.000; tedeschi: 45.000 (25.000 uomini della Wehrmacht, 15.000 del Volkssturm e 5.000 delle Hitlerjugend) e 45.000 civili.[26]

  • la battaglia vicino a Halbe (ca. 26 - 29 aprile): sovietici: 30.000; tedeschi: 60.000 (incl. 25.000 civili)

  • altre battaglie nell'attacco: sovietici: 20.000; tedeschi: 25.000 e 25.000 civili


Totale uccisi: Sovietici: 135.000; Tedeschi: 125.000 e 95.000 civili.
135.000 tedeschi si arresero durante la battaglia di Berlino, e molti di essi erano feriti.


Nel suo testamento politico, Hitler nominò l'Ammiraglio Karl Dönitz Reichspräsident e Joseph Goebbels Reichskanzler. Comunque, il suicidio di Goebbels, avvenuto il 1º maggio 1945, lasciò il nuovo capo di Stato ad orchestrare da solo i negoziati per la resa della nazione. Tutte le forze armate tedesche si arresero incondizionatamente agli Alleati l'8 maggio 1945. La guerra in Europa era finita e così anche il Terzo Reich. Il "Reich Millenario" di Hitler era durato per dodici anni e costato 60 milioni di morti in tutta Europa. L'ultima grande battaglia fu l'Offensiva di Praga, dal 6 all'11 maggio 1945, quando l'esercito sovietico, con l'aiuto di truppe polacche, rumene e cecoslovacche, sconfisse le parti del Gruppo d'Armate Centro che continuavano a resistere in Cecoslovacchia. L'operazione coinvolse circa 3 milioni di uomini da ambo le parti. La guerra in Europa era finita.



Note |




  1. ^ D. Glantz/J. House, La Grande Guerra Patriottica dell'Armata Rossa, p. 384. I dati si riferiscono all'intero Gruppo d'armate Vistola, a parte del Gruppo d'armate Centro, alle unità Volkssturm e alla 12. Armata proveniente dall'Elba.


  2. ^ D. Glantz/J. House, La Grande Guerra Patriottica dell'Armata Rossa, p. 384.


  3. ^ J. Erickson, The road to Berlin, p. 558.


  4. ^ D. Glantz/J. House, La Grande Guerra Patriottica dell'Armata Rossa, p. 387.


  5. ^ D. Glantz/J. House, La Grande Guerra Patriottica dell'Armata Rossa, p. 398.


  6. ^ J. Erickson, The road to Berlin, p. 621.


  7. ^ D. Glantz/J. House, La Grande Guerra Patriottica dell'Armata Rossa, p. 397.


  8. ^ D. Glantz/J. House, La Grande Guerra Patriottica dell'Armata Rossa, p. 438.


  9. ^ A.Read/D.Fisher, La caduta di Berlino, pp. 399.


  10. ^ Hugh Trevor-Roper, The Last Days of Hitler. Seventh Edition (London: Papermac, 1995), p. 87, che nota come Krosigk errasse nella citazione di Carlyle, secondo cui la lettera era indirizzata al conte d'Argenson e non al Finckenstein.


  11. ^ Trevor-Roper, The Last Days of Hitler. Seventh Edition (London: Papermac, 1995), p. 88.


  12. ^ Trevor-Roper, The Last Days of Hitler. Seventh Edition (London: Papermac, 1995), pp. 88-89.


  13. ^ ab Arrigo Petacco, La Seconda guerra mondiale, Vol. 6, Edizioni Curcio


  14. ^ E.Lefèvre, Sturmbataillon "Charlemagne", p. 13.


  15. ^ Massimiliano Afiero, Nordland - I volontari europei sul fronte dell'est, Edizioni Marvia


  16. ^ A. Read/D. Fisher, La caduta di Berlino, p. 544.


  17. ^ A. Read/D. Fisher, La caduta di Berlino, p. 541.


  18. ^ AA.VV, Storia delle SS e della Germania nazista, Vol III, Edizioni Ferni, Ginevra 1975


  19. ^ Arrigo Petacco, La Seconda guerra mondiale, Vol. VI, Edizioni Curcio


  20. ^ . A Berlino vi fu praticamente di tutto: oltre ai già menzionati Tiger II dell'11º reggimento SS, c'erano vari esemplari di Stug III e un certo numero di cacciacarri Hetzer e Brümmbar (utilissismi in questo genere di combattimento) dell'SS PanzerAbteilung 503, oltre naturalmente ai Panzer IV nella versione a canna lunga. Ci sono poi vecchie foto d'epoca che mostrano un curioso esemplare di Pz. I con un cannone da 75 mm montato sullo scafo: questo dimostra che, essenzialmente, tutto ciò che montava un cannone e camminava fu utilizzato, mentre ciò che non poteva muoversi divenne una postazione fissa.


  21. ^ Joachim Fest, La disfatta. Gli ultimi giorni di Hitler e la fine del Terzo Reich, Garzanti 2003


  22. ^ Joachim Fest, La disfatta. Gli ultimi giorni di Hitler e la fine del Terzo Reich, Garzanti libri 2005, pag. 131


  23. ^ A. Beevor, Berlino 1945 - La caduta


  24. ^ AA.VV., Storia delle SS e della Germania nazista, Edizioni Ferni, Ginevra 1975


  25. ^
    50.000 sovietici e 50.000 tedeschi morirono in città, anche se si parla di 110.000 soldati e 90.000 civili tedeschi morti dentro Berlino e di oltre 100.000 sovietici morti dentro la città.[senza fonte]



  26. ^
    Il 22 aprile i sovietici accerchiarono la IX armata di circa 245.000 uomini, questa il 29 aprile riuscì dopo 7 giorni ad aprirsi un varco perdendo circa 200.000 uomini, di cui 60.000 prigionieri, 90.000 feriti e 45.000-50.000 morti, riducendosi così a 40.000 uomini.[senza fonte]




Bibliografia |



  • Werner Haupt, La caduta di Berlino. Aprile 1945 - L'ultima battaglia di Hitler, Milano, Sugar, 1965, pp. 209.

  • Erich Kuby, I Russi a Berlino. La fine del Terzo Reich, traduzione di Sergio Bologna, Collana Saggi, Torino, Einaudi, 1966, pp. 392.


  • Cornelius Ryan, L'ultima battaglia (The Last Battle, Collins, 1966), traduzione di Argia Micchettoni, Collana Memorie e documenti, Milano, Garzanti, 1966. Collana I rossi e i blu, Garzanti, 1968; Collana I garzanti, 1971; Collana SuperBur saggi, BUR, 2002, ISBN

  • M. L. Gennaro, La battaglia di Berlino, Milano, De Vecchi Editore, 1974, pp. 322.

  • Anthony Read e David Fisher, La caduta di Berlino. L'ultimo atto del Terzo Reich, traduzione di D. Panzieri, Collezione Le Scie, Mondadori, 1995, pp. 689.


  • (EN) Antony Beevor, Berlin: the Downfall, 1945, London, Viking Press, 2002, ISBN 978-0-14-103239-9.
    • Antony Beevor, Berlino 1945. La caduta, traduzione di Enzo Peru, a cura di Maurizio Pagliano, Collana Storica, Milano, Rizzoli, 2002.


  • Joachim Fest, La disfatta. Gli ultimi giorni di Hitler e la fine del Terzo Reich, traduzione di Umberto Gandini, Collezione Storica, Milano, Garzanti, 2003, pp. 167, ISBN 978-88-11-69292-8.


  • A Woman in Berlin: Six Weeks in the Conquered City[1] Translated by Anthes Bell ISBN 0-8050-7540-2. Il testo, nella traduzione italiana, è stato pubblicato da Einaudi con il titolo Una donna a Berlino. Diario aprile-giugno 1945.

  • Marco Serena, Fortezza Berlino. La caduta della capitale del Terzo Reich, Collana La Storia, Bacchilega Editore, 2008, pp. 160, ISBN 978-88-88775-66-1.

  • Adolf Hitler, La Battaglia di Berlino. Ultime conferenze militari, Edizioni di Ar, Padova, 1971-2008.


  • Adriano Romualdi, Le ultime ore dell'Europa, Ciarrapico, 1976; nuova ed. Settimo Sigillo, 2004.

  • James Lucas, La caduta della Germania nazista. Maggio 1945: gli ultimi giorni del Terzo Reich, Hobby & Work, ISBN 978-88-7851-918-3.



Voci correlate |



  • Cronologia della seconda guerra mondiale sul fronte orientale

  • 11. SS-Freiwilligen-Panzergrenadier-Division Nordland

  • 33. Waffen-Grenadier-Division der SS Charlemagne

  • 203 mm B-4

  • Dmitrij Baltermants



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Collegamenti esterni |






  • Battaglia di Berlino, su thes.bncf.firenze.sbn.it, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. Modifica su Wikidata


  • (EN) Battaglia di Berlino, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata

  • BBC articolo, su bbc.co.uk.

  • Mappa della battaglia, su onwar.com. URL consultato il 21 giugno 2007 (archiviato dall'url originale il 21 giugno 2007).

  • La battaglia e i preparativi, su worldwar2database.com. URL consultato il 17 marzo 2006 (archiviato dall'url originale il 17 marzo 2006).

  • "They raped every German female from eight to 80" Antony Beevor, su guardian.co.uk.













































































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