Trasformazione lineare
In matematica, più precisamente in algebra lineare, una trasformazione lineare, detta anche applicazione lineare o mappa lineare, è una funzione lineare tra due spazi vettoriali sullo stesso campo, cioè una funzione che conserva le operazioni di somma di vettori e di moltiplicazione per uno scalare. In altre parole, una trasformazione lineare preserva le combinazioni lineari. Nel linguaggio dell'algebra astratta, una trasformazione lineare è un omomorfismo di spazi vettoriali, in quanto conserva le operazioni che caratterizzano gli spazi vettoriali.
In analisi funzionale una trasformazione lineare è spesso detta operatore lineare. In tale contesto, particolare importanza rivestono gli operatori lineari continui tra spazi vettoriali topologici, come ad esempio spazi di Banach.
Indice
1 Definizione
2 Esistenza ed unicità dell'applicazione lineare
3 Matrice associata
4 Struttura di spazio vettoriale
5 Nucleo e immagine
6 Endomorfismi e automorfismi
7 Pull-Back di funzioni ed applicazione trasposta
8 Esempi
9 Note
10 Bibliografia
11 Voci correlate
12 Altri progetti
13 Collegamenti esterni
Definizione |
Siano V{displaystyle V} e W{displaystyle W} due spazi vettoriali sullo stesso campo K{displaystyle K}. Una funzione f:V→W{displaystyle f:Vto W} è una trasformazione lineare se soddisfa le seguenti proprietà:[1][2]
- f(x+y)=f(x)+f(y) {displaystyle f(mathbf {x} +mathbf {y} )=f(mathbf {x} )+f(mathbf {y} ) }
- f(ax)=af(x) {displaystyle f(amathbf {x} )=af(mathbf {x} ) }
per ogni coppia di vettori x{displaystyle mathbf {x} } e y{displaystyle mathbf {y} } in V{displaystyle V} e per ogni scalare a{displaystyle a} in K{displaystyle K}. La prima proprietà è detta additività, la seconda omogeneità di grado 1.
Equivalentemente, f{displaystyle f} è lineare se "preserva le combinazioni lineari" (principio di sovrapposizione), ovvero se:
- f(a1x1+⋯+amxm)=a1f(x1)+⋯+amf(xm){displaystyle f(a_{1}mathbf {x} _{1}+cdots +a_{m}mathbf {x} _{m})=a_{1}f(mathbf {x} _{1})+cdots +a_{m}f(mathbf {x} _{m})}
per ogni intero positivo m e ogni scelta dei vettori x1,…,xm{displaystyle mathbf {x} _{1},ldots ,mathbf {x} _{m}} e degli scalari a1,…,am{displaystyle a_{1},ldots ,a_{m}}.
Se f:V→W{displaystyle f:Vto W} è una applicazione lineare e 0V{displaystyle mathbf {0} _{V}} e 0W{displaystyle mathbf {0} _{W}} sono i vettori nulli di V{displaystyle V} e W{displaystyle W} rispettivamente, allora:[3]
- f(0V)=f(0V+0V)=f(0V)+f(0V){displaystyle f(mathbf {0} _{V})=f(mathbf {0} _{V}+mathbf {0} _{V})=f(mathbf {0} _{V})+f(mathbf {0} _{V})}
e togliendo f(0V){displaystyle f(mathbf {0} _{V})} da ambo i membri si ottiene
- 0W=f(0V){displaystyle mathbf {0} _{W}=f(mathbf {0} _{V})}
Sostituendo allo zero una combinazione lineare di vettori linearmente dipendenti si dimostra che un'applicazione lineare non banale manda sottoinsiemi del dominio linearmente indipendenti in sottoinsiemi del codominio linearmente indipendenti.[4]
Un'applicazione lineare è descritta completamente attraverso la sua azione sui vettori di una base qualsiasi del dominio.[5] Poiché la scrittura di un vettore in una data base è unica, la linearità dell'applicazione determina l'unicità del vettore immagine.
Un'applicazione lineare biunivoca (o invertibile) è inoltre un isomorfismo tra spazi vettoriali.[6]
Esistenza ed unicità dell'applicazione lineare |
Siano V{displaystyle V} e W{displaystyle W} due spazi vettoriali di dimensione finita. Sia BV=(v1,…,vn){displaystyle B_{V}=(mathbf {v} _{1},ldots ,mathbf {v} _{n})} una base di V{displaystyle V} e siano w1,…,wn{displaystyle mathbf {w} _{1},ldots ,mathbf {w} _{n}} vettori di W{displaystyle W}. Allora esiste un'unica applicazione lineare da V{displaystyle V} in W{displaystyle W} tale che:[7]
- f(vi)=wi∀i{displaystyle f(mathbf {v} _{i})=mathbf {w} _{i}quad forall i}
Nel caso non si conosca la forma esplicita dell'applicazione è comunque possibile stabilirne l'esistenza e l'unicità attraverso la conoscenza dell'azione dell'applicazione su un insieme di vettori dati {vi}{displaystyle {{mathbf {v} }_{i}}}, dei quali si conosce quindi l'immagine. Se l'insieme di vettori è una base del dominio allora l'applicazione è univocamente determinata, mentre se i vettori dati non costituiscono una base vi sono due casi:
- I vettori di cui si conosce l'immagine sono linearmente indipendenti: in tal caso l'applicazione esiste ma non è unica.
- I vettori di cui si conosce l'immagine non sono linearmente indipendenti: in tal caso uno o più vettori sono combinazione lineare dei restanti. Si ha:
- vj=∑i=1naivi{displaystyle mathbf {v} _{j}=sum _{i=1}^{n}a_{i}mathbf {v} _{i}}
L'applicazione esiste (ma non è unica) se e solo se:
- f(vj)=∑i=1naif(vi){displaystyle f(mathbf {v} _{j})=sum _{i=1}^{n}a_{i}f(mathbf {v} _{i})}
Matrice associata |
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Siano V{displaystyle V} e W{displaystyle W} due spazi vettoriali di dimensione finita. Scelte due basi BV{displaystyle B_{V}} e BW{displaystyle B_{W}} per V{displaystyle V} e W{displaystyle W}, ogni trasformazione lineare da V{displaystyle V} a W{displaystyle W} è rappresentabile come una matrice. Si ponga:
- BV=(v1,…,vn){displaystyle B_{V}=(mathbf {v} _{1},ldots ,mathbf {v} _{n})}
- BW=(w1,…,wm){displaystyle B_{W}=(mathbf {w} _{1},ldots ,mathbf {w} _{m})}
Ogni vettore v{displaystyle mathbf {v} } in V{displaystyle V} è univocamente determinato dalle sue coordinate c1,…,cn{displaystyle c_{1},ldots ,c_{n}}, definite in modo che:
- v=c1v1+⋯+cnvn{displaystyle mathbf {v} =c_{1}mathbf {v} _{1}+cdots +c_{n}mathbf {v} _{n}}
Se f:V→W{displaystyle f:Vto W} è una trasformazione lineare si ha:
- f(v)=f(c1v1+⋯+cnvn)=c1f(v1)+⋯+cnf(vn){displaystyle f(mathbf {v} )=f(c_{1}mathbf {v} _{1}+cdots +c_{n}mathbf {v} _{n})=c_{1}f(mathbf {v} _{1})+cdots +c_{n}f(mathbf {v} _{n})}
Quindi la funzione f{displaystyle f} è determinata dai vettori f(v1),…,f(vn){displaystyle f(mathbf {v} _{1}),ldots ,f(mathbf {v} _{n})}. Ciascuno di questi è scrivibile come:
- f(vj)=a1jw1+⋯+amjwm{displaystyle f(mathbf {v} _{j})=a_{1j}mathbf {w} _{1}+cdots +a_{mj}mathbf {w} _{m}}
La funzione f{displaystyle f} è dunque interamente determinata dai valori di ai,j{displaystyle a_{i,j}}, che formano la matrice associata a f{displaystyle f} nelle basi BV{displaystyle B_{V}} e BW{displaystyle B_{W}}.[8]
La matrice associata A{displaystyle A} è di tipo m×n{displaystyle mtimes n}, e può essere usata agevolmente per calcolare l'immagine f(v){displaystyle f(mathbf {v} )} di ogni vettore di V{displaystyle V} grazie alla relazione seguente:
- A[v]BV=[w]BW{displaystyle A[mathbf {v} ]_{B_{V}}=[mathbf {w} ]_{B_{W}}}
dove [v]BV{displaystyle [mathbf {v} ]_{B_{V}}} e [w]BW{displaystyle [mathbf {w} ]_{B_{W}}} sono le coordinate di v{displaystyle mathbf {v} } e w{displaystyle mathbf {w} } nelle rispettive basi.
Si nota che la scelta delle basi è essenziale: la stessa matrice, usata su basi diverse, può rappresentare applicazioni lineari diverse.
Struttura di spazio vettoriale |
L'insieme Hom(V,W){displaystyle mathrm {Hom} (V,W)} delle applicazioni lineari da V{displaystyle V} in W{displaystyle W} è un sottospazio vettoriale dello spazio vettoriale sul campo K{displaystyle K} formato da tutte le funzioni da V{displaystyle V} in W{displaystyle W}, infatti:[9]
- se f:V→W{displaystyle f:Vto W} e g:V→W{displaystyle g:Vto W} sono lineari, allora è lineare la loro somma f+g{displaystyle f+g}, definita dalla relazione
- (f+g)(v)=f(v)+g(v);{displaystyle (f+g)(mathbf {v} )=f(mathbf {v} )+g(mathbf {v} );}
- se f:V→W{displaystyle f:Vto W} è lineare e a{displaystyle a} è un elemento del campo K{displaystyle K}, allora la funzione af{displaystyle af}, definita da (af)(v)=a(f(v)){displaystyle (af)(mathbf {v} )=a(f(mathbf {v} ))}, è anch'essa lineare.
Nel caso finito-dimensionale, dopo aver fissato delle basi, le operazioni di somma e prodotto di una funzione per uno scalare di applicazioni lineari corrispondono rispettivamente a somma di matrici e moltiplicazione di matrici per uno scalare. Le basi definiscono quindi un isomorfismo Hom(V,W)→M(n,m){displaystyle mathrm {Hom} (V,W)to M(n,m)} tra gli spazi vettoriali delle applicazioni lineari e delle matrici n×m{displaystyle ntimes m}, dove m{displaystyle m} e n{displaystyle n} sono le dimensioni rispettivamente di V{displaystyle V} e W{displaystyle W}.
Nucleo e immagine |
Se f:V→W{displaystyle f:Vto W} è lineare, il nucleo di f{displaystyle f} è l'insieme:[10]
- Ker(f)={x∈V:f(x)=0}{displaystyle mathrm {Ker} (f)={,mathbf {x} in V:f(mathbf {x} )=0,}}
mentre l'immagine di f{displaystyle f} è l'insieme:[11]
- Im(f)={f(x)∈W:x∈V}{displaystyle operatorname {Im} (f)={,f(mathbf {x} )in W:mathbf {x} in V,}}
L'insieme Ker(f){displaystyle mathrm {Ker} (f)} è un sottospazio di V{displaystyle V}, mentre Im(f){displaystyle operatorname {Im} (f)} è un sottospazio di W{displaystyle W}. Se V{displaystyle V} e W{displaystyle W} hanno dimensione finita, il teorema della dimensione asserisce che:[12]
- dim(Ker(f))+dim(Im(f))=dim(V){displaystyle dim(mathrm {Ker} (f))+dim(operatorname {Im} (f))=dim(V)}
Questo teorema fornisce un criterio necessario e sufficiente al fine di stabilire l'esistenza di una trasformazione lineare.
Endomorfismi e automorfismi |
Una trasformazione lineare f:V→V{displaystyle f:Vto V} è un endomorfismo di V{displaystyle V}. L'insieme di tutti gli endomorfismi End(V{displaystyle V}) insieme a addizione, composizione e moltiplicazione per uno scalare come descritti sopra formano un'algebra associativa con unità sul campo K{displaystyle K}: in particolare formano un anello e uno spazio vettoriale su K{displaystyle K}. L'elemento identità di questa algebra è la trasformazione identità di V{displaystyle V}.
Un endomorfismo biiettivo di V{displaystyle V} viene chiamato automorfismo di V{displaystyle V}. La composizione di due automorfismi è di nuovo un automorfismo, e l'insieme di tutti gli automorfismi di V{displaystyle V} forma un gruppo, il gruppo generale lineare di V{displaystyle V}, chiamato Aut(V){displaystyle mathrm {Aut} (V)} o GL(V){displaystyle mathrm {GL} (V)}.
Se la dimensione di V{displaystyle V} è finita basterà che f sia iniettiva per poter affermare che sia anche suriettiva (per il teorema della dimensione). Inoltre l'isomorfismo
- End(V)→M(n){displaystyle {textrm {End}}(V)to M(n)}
fra gli endomorfismi e le matrici quadrate n×n{displaystyle ntimes n} descritto sopra è un isomorfismo di algebre. Il gruppo degli automorfismi di V{displaystyle V} è isomorfo al gruppo lineare generale GL(n,K){displaystyle mathrm {GL} (n,K)} di tutte le matrici n×n{displaystyle ntimes n} invertibili a valori in K{displaystyle K}.
Pull-Back di funzioni ed applicazione trasposta |
Siano A{displaystyle A}, B{displaystyle B} e C{displaystyle C} insiemi e siano F(A,C){displaystyle F(A,C)} e F(B,C){displaystyle F(B,C)} le famiglie di funzioni da A{displaystyle A} in C{displaystyle C} e da B{displaystyle B} in C{displaystyle C} rispettivamente. Ogni ϕ:A→B{displaystyle phi :Ato B} determina univocamente una corrispondenza ϕ∗:F(B,C)→F(A,C){displaystyle phi ^{*}:F(B,C)to F(A,C)} chiamata pull-back tramite ϕ{displaystyle phi }, che manda F{displaystyle F} in F∘ϕ{displaystyle Fcirc phi }.
Se nello specifico si considerano A=V{displaystyle A=V} e B=W{displaystyle B=W} due spazi vettoriali su un campo K=C{displaystyle K=C} e anziché prendere interamente F(V,K){displaystyle F(V,K)} e F(W,K){displaystyle F(W,K)} si considerano gli spazi duali V∗{displaystyle V^{*}} e W∗{displaystyle W^{*}} si ha che ad ogni trasformazione lineare ϕ:V→W{displaystyle phi :Vto W} si può associare l'opportuna restrizione del pull-back tramite ϕ{displaystyle phi }, ovvero la funzione ϕ∗:W∗→V∗{displaystyle phi ^{*}:W^{*}to V^{*}} che prende il nome di trasposta di ϕ{displaystyle phi }.
Segue direttamente da come sono definite le operazioni in V∗{displaystyle V^{*}} e W∗{displaystyle W^{*}} che ϕ∗{displaystyle phi ^{*}} è a sua volta lineare. Con un semplice calcolo si vede che fissate delle basi per V{displaystyle V} e W{displaystyle W} e le rispettive duali in V∗{displaystyle V^{*}} e W∗{displaystyle W^{*}}, la matrice di trasformazione associata a ϕ∗{displaystyle phi ^{*}} è la trasposta di quella di ϕ{displaystyle phi }.
Segue dalla definizione che un funzionale λ∈W∗{displaystyle lambda in W^{*}} viene mandato in zero da ϕ∗{displaystyle phi ^{*}} solo se l'immagine di ϕ{displaystyle phi } è contenuta nel nucleo di λ{displaystyle lambda } cioè, indicando con U⊥{displaystyle U^{perp }} il sottospazio dei funzionali che annullano U⊂W{displaystyle Usubset W}, si ha Ker(ϕ∗)⊆(ℑϕ)⊥{displaystyle mathrm {Ker} (phi ^{*})subseteq (Im phi )^{perp }}. Inoltre dalla stessa definizione si deduce che un funzionale μ∈V∗{displaystyle mu in V^{*}} è immagine di un funzionale η∈W∗{displaystyle eta in W^{*}} (vale a dire μ=ϕ∗(η){displaystyle mu =phi ^{*}(eta )} solo se η{displaystyle eta } annulla il nucleo di ϕ{displaystyle phi }, ossia ℑ(ϕ∗)⊆(Kerϕ)⊥{displaystyle Im (phi ^{*})subseteq (mathrm {Ker} phi )^{perp }} . Nel caso in cui V{displaystyle V} e W{displaystyle W} siano di dimensione finita si deduce dal teorema della dimensione e dalle relazioni dim V=Kerϕ+(Kerϕ)⊥{displaystyle dim ~V=mathrm {Ker} phi +(mathrm {Ker} phi )^{perp }} e dim W∗=dim W=ℑϕ+(ℑϕ)⊥{displaystyle dim ~W^{*}=dim ~W=Im phi +(Im phi )^{perp }} che le due inclusioni precedenti sono a tutti gli effetti uguaglianze.
Esempi |
- La moltiplicazione f(v)=av{displaystyle f(v)=av}, in qualsiasi spazio vettoriale su K{displaystyle K}, per una costante fissata a∈K{displaystyle ain K}.
- Una rotazione del piano euclideo rispetto all'origine di un angolo fissato.
- Una riflessione del piano euclideo rispetto ad una retta passante per l'origine.
- La proiezione di uno spazio vettoriale V{displaystyle V} decomposto in somma diretta:
- V=U⊕W{displaystyle V=Uoplus W}
su uno dei due sottospazi U{displaystyle U} o W{displaystyle W}.
- Una matrice A{displaystyle A} di tipo m×n{displaystyle mtimes n} con valori reali definisce una trasformazione lineare:
- LA:Rn→RmLA(v)=Av{displaystyle L_{A}:mathbb {R} ^{n}to mathbb {R} ^{m}qquad L_{A}(v)=Av}
dove Av{displaystyle Av} è il prodotto di A{displaystyle A} e v{displaystyle v}. Ogni trasformazione lineare tra spazi vettoriali di dimensione finita è essenzialmente di questo tipo: si veda la sezione seguente.
- L'integrale di una funzione reale su un intervallo definisce una mappa lineare dallo spazio vettoriale delle funzioni continue definite sull'intervallo nello spazio vettoriale R{displaystyle mathbb {R} }.
- La derivata definisce una mappa lineare dallo spazio vettoriale di tutte le funzioni derivabili in qualche intervallo aperto di R{displaystyle mathbb {R} } nello spazio di tutte le funzioni.
- Lo spazio C{displaystyle mathbb {C} } dei numeri complessi ha una struttura di spazio vettoriale complesso di dimensione 1, e anche di spazio vettoriale reale di dimensione 2. La coniugazione
- f:C→Cf(z)=z¯{displaystyle f:mathbb {C} to mathbb {C} qquad f(z)={bar {z}}}
è una mappa R{displaystyle mathbb {R} }-lineare ma non C{displaystyle mathbb {C} }-lineare: infatti la proprietà di omogeneità vale solo per scalari reali.
Note |
^ S. Lang, Pag. 82
^ Hoffman, Kunze, Pag. 67
^ Hoffman, Kunze, Pag. 68
^ Hoffman, Kunze, Pag. 80
^ S. Lang, Pag. 86
^ S. Lang, Pag. 96
^ Hoffman, Kunze, Pag. 69
^ S. Lang, Pag. 84
^ S. Lang, Pag. 85
^ S. Lang, Pag. 90
^ S. Lang, Pag. 91
^ S. Lang, Pag. 92
Bibliografia |
- Serge Lang, Algebra lineare, Torino, Bollati Boringhieri, 1992, ISBN 88-339-5035-2.
- Kenneth Hoffman, Ray Kunze, Linear Algebra, 2ª ed., Englewood Cliffs, New Jersey, Prentice - Hall, inc., 1971, ISBN 0-13-536821-9.
Voci correlate |
- Autovettore e autovalore
- Combinazione lineare
- Funzionale lineare
- Funzione lineare
- Linearità (matematica)
- Matrice di trasformazione
- Operatore lineare continuo
- Pull-back
- Teorema della dimensione
- Trasformazione affine
- Spazio duale
Altri progetti |
Collegamenti esterni |
- (EN) L.D. Kudryavtsev, Linear function, in Encyclopaedia of Mathematics, Springer e European Mathematical Society, 2002.
- (EN) http://www.falstad.com/matrix/
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