Manfredi di Sicilia
Manfredi di Sicilia | |
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Re di Sicilia | |
In carica | 1258 – 1266 (Reggente dal 1250) |
Incoronazione | 10 agosto 1258 |
Predecessore | Corradino di Svevia |
Successore | Carlo I d'Angiò |
Altri titoli | Principe di Taranto |
Nascita | Venosa, 1232 |
Morte | Benevento, 26 febbraio 1266 |
Casa reale | Hohenstaufen |
Padre | Federico II |
Madre | Bianca Lancia |
Consorte | Beatrice di Savoia, Elena Ducas |
Figli | Costanza, Beatrice, Federico, Enrico, Enzo (o Azzolino), Flordelis. |
Manfredi di Hohenstaufen, o Manfredi di Svevia o Manfredi di Sicilia (Venosa, 1232 – Benevento, 26 febbraio 1266), è stato l'ultimo sovrano svevo del regno di Sicilia. Figlio illegittimo dell'imperatore Federico II di Svevia e di Bianca Lancia, fu reggente per il nipote Corradino dal 1254, poi re di Sicilia dal 1258. Morì durante la battaglia di Benevento, sconfitto dalle truppe di Carlo I d'Angiò.
Il re è legato indissolubilmente alla città pugliese di Manfredonia, da lui fondata il giorno di San Giorgio nel 1256 e alla quale conferì il proprio nome in segno di prestigio e potenza.
Indice
1 Biografia
1.1 La reggenza in Sicilia
1.2 Lo scontro con il papato
1.3 L'avvento degli angioini e la fine
1.4 La vicenda delle spoglie e Dante
2 Matrimoni e figli
3 L'eredità culturale
4 Araldica
5 Note
6 Bibliografia
7 Voci correlate
8 Altri progetti
9 Collegamenti esterni
Biografia |
Manfredi nacque e visse la sua fanciullezza a Venosa[1]. Era figlio naturale di Federico II di Svevia e di Bianca dei conti Lancia e Signori di Longi dei Duchi di Baviera,[2] sposata dall'imperatore solo poco prima della sua morte e, quindi, pienamente legittimato, malgrado la Curia romana disconoscesse quel vincolo matrimoniale, mossa com'era dal suo profondo odio per la casa di Hohenstaufen.
Studiò a Parigi e a Bologna; dal padre apprese l'amore per la poesia e per la scienza, amore che mantenne da re. Si narra che l'imperatore avesse avuto una particolare predilezione fra tutti i suoi figli verso Manfredi ed Enzo, entrambi nati da relazioni extra-coniugali.
Alla fine del 1248 o all'inizio del 1249[3], la data è incerta, sposò Beatrice di Savoia, figlia del conte Amedeo IV di Savoia e di Margherita di Borgogna.
La reggenza in Sicilia |
Federico II morì il 13 dicembre 1250 e lasciò a Manfredi il Principato di Taranto con altri feudi minori; gli affidò inoltre la luogotenenza in Italia, in particolare quella del regno di Sicilia, finché non fosse giunto l'erede legittimo, il fratellastro di Manfredi, Corrado IV, che in quel momento era impegnato in Germania. Anche se fu incoronato a Palermo, Manfredi privilegiò come dimore i palazzi di Lucera e Foggia, in Capitanata in quanto di fatto centri operativi e amministrativi istituiti da Federico II[4]. Il giovane sovrano si trovò in una situazione assai difficile per le molte ribellioni scoppiate nel Regno e fomentate da papa Innocenzo IV, il quale secondo gli accordi di Melfi del 1059, era alto sovrano del Regno di Sicilia quindi sotto il vassallaggio dalla Santa Sede. Manfredi agì con energia per ristabilire il dominio svevo e riuscì a ricondurre all'obbedienza varie città ribelli, ma non Napoli; in questa impresa fu aiutato dallo zio, Galvano Lancia. Tentò anche di giungere a un accordo con Innocenzo IV, ma non arrivò a nulla (si pensa che volesse farsi investire del Regno dal papa).
Nell'ottobre 1251 Corrado scese in Italia e nel gennaio 1252 sbarcò a Siponto, proseguendo insieme al fratello nella pacificazione del regno. Nell'ottobre 1253 Napoli, infine, cadde nelle mani di Corrado. Questi ben presto era divenuto sospettoso e ostile verso Manfredi, il quale dovette rinunciare a tutti i feudi minori e accettare anche la diminuzione della sua autorità nel principato di Taranto. Il 21 maggio 1254 Corrado morì di malaria[5], lasciando il figlio Corradino (ancora bambino e rimasto in Germania) sotto la tutela del papa e nominando governatore del regno il marchese Bertoldo di Hohenburg. Il reggente inviò un'ambasciata di cui faceva parte anche Manfredi a trattare con il pontefice ad Anagni. Il tentativo di abboccamento fallì e Bertoldo rinunciò alla carica lasciando campo libero a Manfredi, che riprese il controllo del Regno di Sicilia.
Dichiarato dal Papa l'usurpatore di Napoli, Manfredi fu scomunicato nel luglio del 1254.
Lo scontro con il papato |
Il Papato, che continuava a non vedere di buon occhio l'insediamento della casa imperiale di Svevia nel regno di Sicilia, si accinse a occupare il regno con un esercito, essendo quel territorio proprio vassallo in quanto la casa di Svevia era erede degli Altavilla primi beneficiari della concessione del Regno. In questo contesto Manfredi si trovò subito in chiaro dissidio con il Pontefice; grazie però alla fine abilità diplomatica ereditata dal padre, concluse con il pontefice un accordo accettando l'occupazione pontificia con una semplice riserva dei diritti di Corradino e propri: fu assolto dalla scomunica, investito dal pontefice del principato di Taranto (27 settembre 1254) e degli altri suoi feudi e nominato vicario della Chiesa nella maggior parte del Regno. La Campania venne però occupata dalle truppe pontificie.
L'11 ottobre 1254, presso il ponte del fiume Verde (l'attuale Liri), a Ceprano, Manfredi prestò il servizio di stratore e il giuramento di fedeltà a Innocenzo IV.
La posizione di Manfredi divenne ancor più difficile in seguito all'uccisione, da parte dei suoi uomini, di un barone protetto dalla Curia pontificia. Manfredi, non ritenendosi sicuro di fronte al papa, si recò in Puglia, a Lucera, ove si trovava la truppa della colonia saracena ivi stanziata da Federico II. Una volta assicuratasi la loro fedeltà (Manfredi fu anche chiamato Sultano di Lucera (1258-1266)[6], poté arruolare un ingente esercito e muovere guerra all'esercito pontificio, che sconfisse presso Foggia.
Nel dicembre 1254 morì papa Innocenzo IV e il conflitto proseguì sotto il comando del suo successore Alessandro IV, papa assai meno energico del suo predecessore, che pronunciò una nuova scomunica nei confronti dello svevo. Al papa non riuscì l'intento di arruolare i re d'Inghilterra e di Norvegia in una Crociata contro gli Hohenstaufen, anzi la guerra procedette vantaggiosamente per Manfredi, che nel corso del 1257 sbaragliò l'esercito pontificio e domò le ribellioni interne, rimanendo in saldo possesso del regno, mentre dalla Germania il giovanissimo nipote Corradino gli conferiva ripetutamente i poteri vicariali. Roma stessa divenne ghibellina sotto il controllo del senatore bolognese Brancaleone degli Andalò e il Papa fu costretto (1257) a trasferire la sede pontificia a Viterbo, dove morì quattro anni dopo.
Nel 1256 Manfredi fondò Manfredonia, nei pressi dell'antica Siponto: nei progetti del regnante, Manfredonia era stata designata a fungere da capitale di Puglia ("Apuliae Caput", dove per Apuliae si intendeva in quel tempo tutto il meridione continentale) e importante centro per i traffici commerciali del Mediterraneo.
Diffusasi nel 1258, probabilmente per opera stessa di Manfredi[7], la voce della morte di Corradino, i prelati e i baroni del regno invitarono Manfredi a salire sul trono ed egli fu incoronato il 10 agosto nella cattedrale di Palermo da Rinaldo Acquaviva, vescovo di Agrigento. Tale elezione non venne riconosciuta dal papa Alessandro IV che ritenne pertanto Manfredi un usurpatore.
Il 2 giugno 1259 Manfredi, da poco vedovo di Beatrice di Savoia, sposò nel castello di Trani, in virtù di una serie di accordi diplomatici, Elena Ducas, figlia del despota d'Epiro Michele II[8].
Fra il 1258 e il 1260 la potenza di Manfredi, diventato ovunque capo della fazione ghibellina, si estese in tutta Italia. Il comune romano strinse un'alleanza con lui. In Toscana il partito ghibellino, capitanato dalla città di Siena, guidata da Farinata degli Uberti, ottenne una netta vittoria nella battaglia di Montaperti (4 settembre 1260) e divenne così, con l'ausilio delle sue truppe, padrone assoluto di Firenze. Anche in Italia settentrionale, dopo la catastrofe di Ezzelino III da Romano (1259), i ghibellini, rimasti assai forti, fecero capo a lui. Poté nominare vicari imperiali in Toscana, nel ducato di Spoleto, nella Marca anconitana, in Romagna e in Lombardia. Il suo dominio si estese anche in Epiro (Grecia), sulle terre portategli in dote dalla seconda moglie Elena Ducas; la sua potenza fu aumentata anche dal matrimonio della figlia Costanza con Pietro III d'Aragona (1262).
L'avvento degli angioini e la fine |
Eletto al soglio pontificio nella sede di Viterbo papa Urbano IV nel 1261, questi scomunicò nuovamente Manfredi e cercò di assegnare il Regno di Sicilia a un sovrano più influenzabile dal papato. Quindi, in un primo tempo, Urbano IV tentò di vendere il regno a Riccardo di Cornovaglia, che vantava anche una discendenza normanna, e poi a suo nipote Edmondo di Lancaster, ma senza successo. Nel 1263 riuscì, invece, a convincere Carlo I d'Angiò, fratello del re Luigi IX di Francia e "senza terra" a prendere Sicilia e Piemonte. Lo stesso Papa avrebbe incoronato Carlo come Re di Sicilia l'anno successivo: i Francesi d'Angiò venivano ufficialmente chiamati in Italia per una sorta di Crociata nei confronti degli Svevi. Nello stesso anno 1264 moriva Urbano IV e a questi succedeva papa Clemente IV che proseguì la politica anti-sveva e favorì ulteriormente lo scontro per mezzo degli Angioini.
Carlo giunse a Roma per mare, nel giugno 1265, sfuggendo alla flotta siciliana. Vano riuscì l'appello rivolto da Manfredi ai Romani con un manifesto (24 maggio) in cui chiedeva di essere nominato Imperatore da loro, quali detentori dell'autorità imperiale. L'esercito di Carlo nel dicembre 1265 penetrò per la Savoia e il Piemonte in Lombardia, ove la parte ghibellina non riuscì ad opporre sufficiente resistenza, e di là per la Romagna giunse nell'Italia centrale e a Roma, ove Carlo fu incoronato re di Sicilia il 6 gennaio 1266. Mosse, quindi, verso il Mezzogiorno e poté entrare nel regno con poca difficoltà dopo che le truppe di Manfredi cedettero sul ponte sul Garigliano nei pressi di Ceprano.
La decisiva battaglia di Benevento, avvenne il 26 febbraio 1266; le milizie siciliane e saracene insieme alle tedesche difesero strenuamente il loro re, mentre quelle italiane abbandonarono Manfredi, che morì combattendo con disperato valore. Riconosciutone il corpo, fu seppellito sul campo di battaglia sotto un mucchio di pietre da parte degli stessi cavalieri francesi, che ne vollero così onorare il valore.
Successivamente, i popoli oppressi dal dominio angioino, scrive Saba Malaspina, con le lacrime agli occhi lo ricordavano così:
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«O re Manfredi, non ti abbiamo conosciuto vivo; ora ti piangiamo estinto. Tu ci sembravi un lupo rapace fra le pecorelle di questo regno; ma da che per la nostra volubilità ed incostanza siamo caduti sotto il presente dominio, tanto da noi desiderato, ci accorgiamo infine, che tu eri un agnello mansueto. Ora sì che conosciamo quanto fosse dolce il governo tuo, posto in confronto dell'amarezza presente. Riusciva a noi grave in addietro che una parte delle nostre sostanze pervenisse alle tue mani, troviamo adesso che tutti i nostri beni, e quel che è peggio, anche le persone vanno in preda a gente straniera!» |
([9]) |
La vicenda delle spoglie e Dante |
Sette mesi dopo la morte di Manfredi, la tomba fu violata da Bartolomeo Pignatelli, vescovo di Cosenza, con il consenso di papa Clemente IV. Gli storici sono concordi nel ritenere il fatto derivante da un'iniziativa autonoma dell'arcivescovo che nutriva per Manfredi un profondo odio personale; Clemente IV diede in realtà soltanto il proprio consenso, da Viterbo, a questa iniziativa[10] e il corpo riesumato fu deposto o disperso, quale scomunicato, fuori dai confini del regno angioino, nei pressi del fiume Garigliano, in un luogo tuttora sconosciuto.
Dante Alighieri, nel Purgatorio (canto III, vv. 103-145), lo pone tra coloro che si sono pentiti solo in fin di vita e sono stati accolti dalla "bontà infinita", ed è ricordato particolarmente per il verso 130: Or le bagna la pioggia e move il vento.
«[...] Io mi volsi ver lui e guardail fiso: |
(Dante Alighieri, Divina Commedia, Purg. c. III, v. 106-132) |
Matrimoni e figli |
Manfredi ebbe due mogli.
Alla fine del 1248 sposò Beatrice di Savoia, figlia del conte Amedeo IV di Savoia e di Margherita di Borgogna, da cui ebbe una figlia:
Costanza (1249-1302), che fu poi regina d'Aragona (1262-1285), in quanto sposa di Pietro III d'Aragona, e regina di Sicilia (1282-85), ultima della dinastia.
Il 2 giugno 1259 Manfredi, da poco vedovo di Beatrice di Savoia, sposò nel castello di Trani, Elena Ducas, figlia del despota d'Epiro Michele II. Dall'unione nacquero cinque figli:
Beatrice (1260 - 1307);
Federico (1261 - 1312);
Enrico (1262 - 31 ottobre 1318);
Enzo (o Azzolino) (1265 - 1301);
Flordelis (1266 - 1297).
L'eredità culturale |
Alla corte di Federico, ebbe probabilmente occasione di frequentare i cantori della scuola poetica siciliana e di scrivere composizioni.
Pur non potendosi paragonare al padre nel mecenatismo delle arti, Manfredi ha lasciato segni e documenti della sua liberale predisposizione nei confronti delle arti e della cultura.
La Bibbia di Manfredi è un codice miniato duecentesco scritto dall'amanuense Johensis: questa bellissima Bibbia - che presenta notevoli influssi dell'arte gotica francese e inglese - fu realizzata a Napoli per lo stesso Manfredi tra il 1250 e il 1258, come attesta la dedica al principe[11]: essa fu di prototipo per altri codici, che si pensa siano usciti da una bottega miniatoria di Napoli attiva per la corte e per l'ambiente universitario. A questa bottega si fa riferire anche il famoso esemplare del De arte venandi cum avibus della Biblioteca Vaticana che è una copia parziale ma splendidamente illustrata del famoso trattato di Federico II, certamente commissionata da Manfredi.
Araldica |
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A Manfredi, secondo una tesi consolidata, sarebbe da attribuire l'iniziativa dell'adozione, quale stemma del Regno di Sicilia, della cosiddetta arme di Svevia-Sicilia, ovvero l'insegna d'argento all'aquila con il volo abbassato di nero[12], derivata dallo stemma imperiale[13].
«d'argento, all'aquila col volo abbassato di nero[12]» |
(Blasonatura) |
Al riguardo, lo storico napolitano Giovanni Antonio Summonte, nella sua monumentale opera, Historia della Città e Regno di Napoli, nel descrivere l'arme adottata dal figlio dello stupor mundi, specifica:
«L'arme, ò insegne ch'egli portò fur quelle dell'Impero, salvo che dove il padre portò il Campo d'oro, e l'Aquila nera, egli portò il Campo d'argento, e l'Aquila nera [...][14].» |
(Giovanni Antonio Summonte, Historia della Città e Regno di Napoli, Tomo II) |
Dalle eloquenti parole del Summonte, appare chiaro, dunque, come costui attribuisca a Manfredi il mutamento di smalto e, dunque, l'introduzione del campo d'argento, in luogo dell'oro, ritenendo, di conseguenza, riconducibile a quest'ultimo (e non a lui precedente) il primato dell'adozione dell'arme di Svevia-Sicilia[14].
Allo stesso tempo, inoltre, il Summonte riferisce di taluni autori che, erroneamente, riportano, per il sovrano, un'insegna d'argento all'aquila di rosso, anziché di nero:
«[...] dal che si rendono poco accorti alcuni c'han detto la portasse Rossa in Campo d'Argento[14].» |
(Giovanni Antonio Summonte, Historia della Città e Regno di Napoli, Tomo II) |
L'araldista italiano Goffredo di Crollalanza, invece, attribuisce a Manfredi un vessillo azzurro all'aquila d'argento. Tale insegna, se realmente adottata, potrebbe essere spiegata supponendo che essa sia stata adoperata prima della legittimazione: per cui il figlio dello stupor mundi avrebbe scelto di portare «l'aquila Staufica, ma "brisata" dalla sostituzione di nero e oro con gli smalti dell'arma materna [...]»[15].
Arme di Svevia-Sicilia, introdotta o, comunque, adottata da Manfredi come Re di Sicilia
Errata blasonatura dello stemma di Manfredi di Sicilia
Stemma di Manfredi di Sicilia, secondo Goffredo di Crollalanza
Che l'iniziativa di fissare l'argento, in sostituzione dell'oro, per il campo dello stemma siciliano sia attribuibile a Manfredi o, invece, sia a lui precedente, appare plausibile, comunque, convenire che fu certo l'utilizzo di tale smalto, per le proprie insegne, da parte del sovrano siciliano. A tal proposito, infatti, l'araldista tedesco Erich Gritzner sostenne che «nel 1261, le bandiere di guerra di Manfredi erano di zendale bianco caricato di un'aquila nera». Ulteriori conferme, con tutti i limiti e le cautele proprie di questo genere di riscontri a fini probatori, potrebbero arrivare, inoltre, dall'iconografia legata al sovrano siciliano e, nello specifico, dalle diverse miniature della Nova Cronica, nelle quali l'arme associata a Manfredi è, a ogni sua occorrenza, d'argento all'aquila di nero[13].
Ancora nell'Historia della Città e Regno di Napoli, alla base della tavola a corredo della biografia di Manfredi, è riportata un'ulteriore e particolare arme, che, nelle pagine precedenti dell'opera, è ricondotta anche a Federico II[16]: si tratta di uno stemma con aquila bicipite, che reca, caricato in cuore, uno scudetto, il quale, con capo troncato cuneato da parte a parte, è interzato in palo, con, nel primo terziere, tre pini o pigne male ordinate, nel secondo, tre leoni passanti, posti l'uno sull'altro, ovvero l'arme di Svevia, e, nell'ultimo, la croce di Gerusalemme[17].
Un'ultima insegna attribuita a Manfredi è riprodotta in una delle miniature della Chronica Majora, importante manoscritto medievale del monaco benedettino e cronista inglese Matthew Paris. Anche in questo caso, lo stemma è caratterizzato da un'aquila bicipite in campo d'oro, ma, caricata sul tutto, è posta una fascia d'argento. La presenza di quest'ultima pezza onorevole, commenta Angelo Scordo, è «a dir poco misteriosa»[18], sebbene, sulla scorta del fatto storico descritto dal Paris[19], potrebbe essere ipotizzabile che tale brisura stia a ricordare l'atto d'omaggio di cui fu tributato Manfredi dai nobili di Puglia nel 1254 e il sostegno ricevuto nella lotta contro il Papato[20].
«d'oro, all'aquila bicipite col volo abbassato di nero, colla fascia d'argento attraversante sul tutto[21]» |
(Blasonatura) |
Stemma associato a Manfredi, nella tavola raffigurante il sovrano, nell'Historia della Città e Regno di Napoli
Stemma attribuito a Manfredi, nella Chronica Majora
Note |
^ Mario Bernabò Silorata, Federico II di Svevia: saggezza di un imperatore Convivio, 1993, p. 17
^ la maternità di Bianca appare non unanimemente accettata; Federico potrebbe aver concepito Manfredi con un'altra donna, e poi aver legittimato l'erede sposando la Lancia - probabilmente nel 1248- in articulo mortis, anche se la Curia non riconobbe mai questa legittimazione
^ Walter Koller, MANFREDI, re di Sicilia, Dizionario Biografico degli Italiani, Vol. LXVIII, Istituto dell'Enciclopedia Italiana Treccani
^ AA. VV., Die Zeit der Staufer, Karte der Aufenthaltstorte, König Manfred, 1977.
^ Corse voce che Manfredi avesse fatto avvelenare il fratello, ma al riguardo non si hanno prove.
^ Raffaele Licinio, «Lucera», Enciclopedia Federiciana
^ Hubert Houben, Federico II. Imperatore, uomo, mito, 2009 p. 78.
^ Attualmente, ogni anno, nella città di Trani, a cui il re era molto legato, viene rievocato il matrimonio avvenuto nel 1259.
^ E. Merra, Castel del Monte presso Andria, Molfetta, 1964, Scuola Tipografica Istituto Apicella per Sordomuti, pp 84, 85
^ Ferdinand Gregorovius, Storia della Città di Roma nel Medioevo, Torino 1973, pag. 1333; Cesare Pinzi,Storia della Città di Viterbo, Roma, 1667-89, VI, pag.178).
^ «Princeps Mainfride regali stirpe create / accipe quod scripsit Iohensis scriptor et ipsum / digneris solita letificare manu».
^ ab Angelo Scordo, p. 113
^ ab Gianantonio Tassinari, p. 321
^ abc Giovanni Antonio Summonte, p. 195
^ Angelo Scordo, pp. 126-127
^ Giovanni Antonio Summonte, p. 124
^ Angelo Scordo, pp. 105-111
^ Angelo Scordo, p. 129
^ Suzanne Lewis, pp. 457 e 469
^ Hubert de Vries
^ Angelo Scordo, p. 115
Bibliografia |
- Karl Hampe, Urban IV und Manfred: 1261-1264, (Heidelberger Abhandlungen zur mittleren und neueren Geschichte, 11), Carl Winter's Universitätsbuchhandlung, Heidelberg 1905.
- Arnold Bergmann, König Manfred von Sizilien: Seine Geschichte vom Tode Urbans IV bis zur Schlacht bei Benevent 1264-1266, (Heidelberger Abhandlungen zur mittleren und neueren Geschichte, 23), Carl Winter's Universitätsbuchhandlung, Heidelberg 1909.
- Adalbert Graf zu Erbach-Fürstenau, Die Manfredbibel, Leipzig 1910.
- Helene Arndt, Studien zur inneren Regierungsgeschichte Manfreds: Mit einem Regestenanhang als Ergänzung zu Regesta Imperii V, (Heidelberger Abhandlungen zur mittleren und neueren Geschichte, 31), C. Winter's, Heidelberg 1911.
- P.F. Palumbo, Contributi alla storia dell'età di Manfredi, Roma 1959.
Eucardio Momigliano, Manfredi, Dall'Oglio, Milano 1963.
Ferdinand Gregorovius, Geschichte der Stadt Rom in Mittelalter, Stuttgart 1859-1872 (ed. it. Storia della città di Roma nel Medioevo, Einaudi, Torino 1973).- Enrico Pispisa, Nicolò di Jamsilla: un intellettuale alla corte di Manfredi, Rubbettino, Soveria Mannelli 1984.
- Enrico Pispisa, Manfredi nella storiografia dell'Otto e Novecento, in Mediterraneo medievale: scritti in onore di Francesco Giunta, vol. 3, pp. 1015–1044, Rubbettino, Soveria Mannelli 1989.
- Enrico Pispisa, Il regno di Manfredi, Messina 1991.
- Enrico Pispisa, I Lancia, gli Agliano e il sistema di potere organizzato nell'Italia meridionale ai tempi di Manfredi, in Bianca Lancia d'Agliano. Fra il Piemonte e il Regno di Sicilia, atti del Convegno (1990) a cura di Renato Bordone, Alessandria 1992, pp. 165–181.
- H. Bresc, Manfredi (1232-1266), in Dizionario enciclopedico del Medioevo, II, 2, Roma 1998, pp. 1118 e segg.
- Walter Koller, «MANFREDI, re di Sicilia», Dizionario Biografico degli Italiani, Vol. LXVIII, Istituto dell'Enciclopedia Italiana Treccani.
- Walter Koller, «Manfredi, Re di Sicilia», Enciclopedia Federiciana, Vol. II, Istituto dell'Enciclopedia Italiana Treccani.
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Arsenio Frugoni, Scritti su Manfredi, con una presentazione di Enrico Pispisa, Istituto storico italiano per il Medio evo, Roma 2006.- Alessandra Rullo, Alcune novità sulla Bibbia di Manfredi della Biblioteca Apostolica Vaticana (Ms. Vat. Lat. 36), in "Arte Medievale", n.s., VI, 2007, 2, pp. 133–140.
- Angelo Scordo, Società Italiana di Studi Araldici, Note di araldica medievale – Una "strana" arma di "stupor mundi", Atti della Società Italiana di Studi Araldici, 11° Convivio, Pienerolo, 17 settembre 1994, Torino, Società Italiana di Studi Araldici, 1995, pp. 105-145.
- Giovanni Antonio Summonte, Dell'historia della città, e regno di Napoli, a cura di Antonio Bulifon, Tomo II, Napoli, Antonio Bulifon – Libraro all'insegna della Sirena, 1675, ISBN non esistente.
- Gianantonio Tassinari, Cenni e riflessioni sulle insegne degli Hohenstaufen, in Nobiltà, anno XIV, nn. 78-79, Milano, Federazione delle Associazioni Italiane di Genealogia, Storia di Famiglia, Araldica e Scienze Documentarie, maggio-agosto 2007, pp. 283-330.
- (EN) Suzanne Lewis, The Art of Matthew Paris in the Chronica Majora, Berkeley e Los Angeles, University of California Press, 1987, ISBN 978-0-520-04981-9.
- (DE, LA) Christian Friedl, Die Urkunden Manfreds, in Die Urkunden der deutschen Könige und Kaiser, vol. 17, Harrassowitz Verlag, 2013, ISBN 978-3-447-06995-3.
Voci correlate |
- Elenco dei conti e dei re di Sicilia
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Collegamenti esterni |
Manfredi di Sicilia, su Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
(EN) Manfredi di Sicilia, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
- Biografia, su stupormundi.it. URL consultato l'8 giugno 2005 (archiviato dall'url originale il 5 aprile 2005).
- Manfredi e Corrado, su stupormundi.it.
- Markus Brantl, Regesten und Itinerar König Manfreds von Sizilien (Itinerario e regesti di Manfredi, re di Sicilia), 2005 in tedesco
- (EN) Hubert de Vries, Sicily – Part II, su hubert-herald.nl, Amsterdam, National Arms and Emblems – Past and Present, 22 novembre 2012. URL consultato il 3 settembre 2017.
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