Luogotenenza del regno




Luogotenenza del regno è un istituto di affidamento del potere regio a un luogotenente (solitamente di rango principesco) che esercita l'autorità reale in caso di assenza o impedimento del re legittimo.




Indice






  • 1 In Francia


    • 1.1 Il conte di Artois


    • 1.2 Luigi Filippo d'Orleans




  • 2 In Italia


    • 2.1 Luogotenenze regionali nel Risorgimento


    • 2.2 Tommaso di Savoia-Genova


    • 2.3 Adalberto di Savoia-Genova


    • 2.4 Umberto II




  • 3 Nel Regno di Sicilia


  • 4 Note


  • 5 Bibliografia


  • 6 Voci correlate





In Francia |



Il conte di Artois |


Nel 1814 il conte di Artois, fratello del re di Francia, che aveva preceduto il ritorno di Luigi XVIII a Parigi dopo la caduta di Napoleone, prese il titolo di luogotenente generale del regno.



Luigi Filippo d'Orleans |


Dal 2 al 9 agosto 1830 il duca Luigi Filippo d'Orleans assunse il titolo di luogotenente generale del regno.



In Italia |


L'istituto della Luogotenenza generale, sotto la monarchia dei Savoia, non era contemplato dallo statuto, ma diventò, col tempo, una vera e propria consuetudine costituzionale[1], trovando applicazione nel Risorgimento e durante la prima e la seconda guerra mondiale.



Luogotenenze regionali nel Risorgimento |


Alle luogotenenze regionali, un organo costituzionale decentrato che delegata la funzione di reggere in nome del re i territori degli ex Stati subito dopo l'emanazione del decreto di annessione o alla vigilia di essa, si fece ricorso in Toscana, nelle province napoletane, in quelle siciliane, e a Roma e provincia.[1]


Nel dicembre 1860, al termine della dittatura di Garibaldi, re Vittorio Emanuele II nominò "Luogotenente generale del re nelle province siciliane" il senatore Massimo Cordero di Montezemolo e un Consiglio di luogotenenza. A Montezemolo seguì Alessandro Della Rovere e poi Ignazio De Genova di Pettinengo. La luogotenenza cessò nel 1862.



Tommaso di Savoia-Genova |


Nel 1915 il re Vittorio Emanuele III decise di partire per le retrovie del fronte e affidò parte delle sue funzioni allo zio Tommaso di Savoia-Genova con un apposito decreto del 25 maggio 1915, il n. 699, pubblicato sulla G.U. n. 131 Straord. del giorno successivo. Il luogotenente svolse a Roma solo funzioni formali e protocollari senza un'effettiva funzione. Tuttavia in quel periodo i regi decreti furono chiamati decreti luogotenenziali e portavano, anziché la firma del re, quella del principe Tommaso. La sua funzione si prolungò ben oltre la fine della guerra, fino al 7 luglio 1919, quando, con il decreto n. 1082 del 6 luglio 1919, pubblicato il giorno successivo sulla G.U. n. 160, egli ritornò alla vita privata.



Adalberto di Savoia-Genova |


Nel 1940, a seguito dell'occupazione italiana dell'Albania, per Adalberto di Savoia-Genova si parlò della nomina a luogotenente generale del re. La cosa, però, non ebbe alcun seguito.[2]



Umberto II |


Il 5 giugno del 1944, dopo la liberazione di Roma, Vittorio Emanuele III si ritira a vita privata, nominando il figlio Umberto II di Savoia Luogotenente generale del Regno in base agli accordi della Svolta di Salerno (primavera 1944) tra le varie forze politiche che formano il Comitato di Liberazione Nazionale, che prevedono di «congelare» la questione istituzionale fino al termine del conflitto. Umberto, dunque, esercita le prerogative di capo dello Stato senza tuttavia possedere la dignità di re, che resta in capo a Vittorio Emanuele III, rimasto in disparte a Salerno. In realtà si tratta di un compromesso caldeggiato dall'ex presidente della Camera Enrico De Nicola[3], poiché i capi dei partiti antifascisti avrebbero preferito l'abdicazione di Vittorio Emanuele III, la rinuncia al trono da parte di Umberto e la nomina immediata di un reggente civile. Il Luogotenente - del regno e non del Re, proprio a radicare il legame più con lo Stato che con la figura del Re - si guadagna ben presto la fiducia degli Alleati grazie alla scelta di mantenere la monarchia italiana su posizioni filostatunitensi.


Umberto firma il decreto-legge luogotenenziale n. 151/1944, che stabilisce che «dopo la liberazione del territorio nazionale le forme istituzionali» sarebbero state «scelte dal popolo italiano, che a tal fine» avrebbe eletto «a suffragio universale, diretto e segreto, un'Assemblea Costituente per deliberare la nuova costituzione dello Stato» dando per la prima volta il voto alle donne.
La luogotenenza dura fino al 9 maggio 1946, quando in vista delle elezioni il re Vittorio Emanuele III è indotto dai suoi consiglieri all'abdicazione per potere, in occasione del referendum del 2 giugno, tentare di separare le proprie responsabilità sull'avvento del fascismo rispetto alle sorti di casa Savoia.



Nel Regno di Sicilia |


Anche per il Regno di Sicilia si parla di Luogotenenza: con tale termine si indica il governo di Manfredi di Sicilia per conto del fratello Corrado IV.


Dopo la parentesi angioina gli Aragonesi presero l'impegno di tenere distinti i Regni di Sicilia e di Aragona: il Re nominava un luogotenente che in sua assenza avrebbe regnato in Sicilia. Così quando Pietro fu richiamato in Spagna lasciò la luogotenenza ad Alfonso III d'Aragona e dopo questo verrà investito dell'incarico Giacomo II d'Aragona.


Con il titolo di luogotenenti del re poi furono contraddistinti nei diversi secoli principi non di sangue reale che avevano funzioni vicarie in Sicilia.



Note |




  1. ^ ab Treccani.it. URL consultato il 20 aprile 2012.


  2. ^ Vignoli, p. 170.


  3. ^ U. Zanotti Bianco, La mia Roma, Piero Lacaita ed., Manduria-Bari-Roma, 2011, p. 241.



Bibliografia |


  • Giulio Vignoli, Il sovrano sconosciuto. Tomislavo II re di Croazia, Milano, Mursia, 2006, ISBN 88-425-3583-4.


Voci correlate |



  • Viceré

  • Reggenza



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