Secessione dell'Aventino
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La secessione dell'Aventino, dal nome del colle Aventino su cui secondo la storia romana si ritiravano i plebei nei periodi di acuto conflitto con i patrizi, fu un atto di protesta attuato da alcuni deputati d'opposizione contro il governo fascista in seguito alla scomparsa di Giacomo Matteotti il 10 giugno 1924. L'iniziativa consisteva nell'astensione dai lavori parlamentari: gli autori della protesta si riunivano separatamente.
Indice
1 Storia
2 La decadenza dal mandato parlamentare
3 Note
4 Bibliografia
5 Voci correlate
6 Altri progetti
Storia |
Il 13 giugno Mussolini parlò alla Camera dei deputati affermando di non essere coinvolto nella scomparsa di Matteotti, ma anzi di essere addolorato; al termine il Presidente della Camera Alfredo Rocco aggiornò i lavori parlamentari sine die, annullando di fatto la possibilità di risposta da parte dell'opposizione all'interno del Parlamento.
Il 26 giugno 1924 i parlamentari dell'opposizione si riunirono nella sala della Lupa di Montecitorio, oggi nota anche come sala dell'Aventino, decidendo comunemente di abbandonare i lavori parlamentari finché il governo non avesse chiarito la propria posizione a proposito della scomparsa di Giacomo Matteotti.
Il 16 agosto dello stesso anno il cadavere di Matteotti fu ritrovato nel bosco della Quartarella: si aggravò così la già complessa crisi del governo.
Dopo accese discussioni all'interno dello stesso Partito Nazionale Fascista (PNF), che vedeva contrapposti gli intransigenti e la frangia accondiscendente, alla Camera dei deputati fu tenuto il discorso del 3 gennaio 1925, in cui il capo del fascismo si assunse la responsabilità politica, morale e storica dei fatti: ricordando l'articolo 47 dello Statuto della Camera, che prevedeva la possibilità d'accusa per i Ministri del Re da parte dei deputati, Mussolini chiese formalmente al Parlamento un atto d'accusa nei suoi confronti, senza che ciò avvenisse.
Il giudizio del Senato come Alta corte di giustizia su Emilio De Bono, sollecitato solo dalla denuncia di Luigi Albertini e dei cattolici[1], si concluse dopo sei mesi con l'archiviazione.
L'opposizione non riuscì a reagire, sia per la paura di ritorsioni sia per i forti frazionismi interni[2], attestandosi nella sterile testimonianza[3].
La decadenza dal mandato parlamentare |
Nel maggio del 1925, in occasione del dibattito sulla riforma della legge di pubblica sicurezza, rimasero dieci parlamentari d'opposizione (Bavaro, Alfredo Codacci-Pisanelli, Fazio, Orefice, Paratore, Pasqualino-Vassallo, Rubilli, Salandra, Savelli, Pivano)[4].
Il 16 gennaio 1926 alcuni popolari e demosociali entrarono a Montecitorio per assistere alle celebrazioni solenni per la morte della regina Margherita di Savoia, ma poco dopo la violenza repressiva di alcuni parlamentari fascisti li scacciò dall'aula[5] e lo stesso Mussolini il giorno dopo accusò il comportamento dei deputati aggrediti, accusandoli di indelicatezza nei confronti della sovrana[6].
Nei giorni successivi all'attentato contro Mussolini di fine ottobre 1926, le attività parlamentari furono definitivamente soppresse e ai prefetti venne imposto di sciogliere qualsiasi organizzazione contraria al fascismo, dando vita così al regime[7]. Il 5 novembre 1926 il Governo approvò la reintroduzione della pena di morte accompagnata da: soppressione di tutti i giornali e periodici antifascisti, istituzione del confino di polizia che comportava la perdita della libertà personale per semplice provvedimento amministrativo e sulla base del solo sospetto, creazione di un Tribunale speciale per la difesa dello Stato.
Il 9 novembre 1926 la Camera dei deputati, riaperta per approvare le leggi eccezionali, deliberava anche la decadenza dei 123 deputati aventiniani: Gregorio Agnini, Giuseppe Albanese, Salvatore Aldisio, Gino Alfani, Filippo Amedeo, Giovanni Bacci, Gino Baldesi, Arturo Baranzini, Pietro Bellotti, Roberto Bencivenga, Arturo Bendini, Guido Bergamo, Mario Bergamo, Mario Berlinguer, Alessandro Bocconi, Antonio Boggiano Pico, Igino Borin, Giambattista Bosco Lucarelli, Roberto Bracco, Giovanni Braschi, Alessandro Brenci, Carlo Bresciani, Bruno Buozzi, Vittorio Buratti, Emilio Caldara, Romeo Campanini, Giuseppe Canepa, Russardo Capocchi, Paolo Cappa, Luigi Capra, Luigi Carbonari, Giulio Cavina, Eugenio Chiesa, Mario Cingolani, Giovanni Antonio Colonna di Cesarò, Paolo Conca, Giovanni Conti, Felice Corini, Giovanni Cosattini, Mariano Costa, Onorato Damen, Raffaele De Caro, Alcide De Gasperi, Diego Del Bello, Palmerio Delitala, Marziale Ducos, Luigi Fabbri, Cipriano Facchinetti, Luciano Fantoni, Giuseppe Faranda, Enrico Ferrari, Bruno Fortichiari, Luigi Fulci, Angelo Galeno, Tito Galla, Dante Gallani, Egidio Gennari, Annibale Gilardoni, Vincenzo Giuffrida, Enrico Gonzales, Antonio Gramsci, Achille Grandi, Antonio Graziadei, Ruggero Grieco, Giovanni Gronchi, Leonello Grossi, Ugo Guarienti, Giovanni Guarino Amella, Ferdinando Innamorati, Stefano Jacini, Arturo Labriola, Costantino Lazzari, Nicola Lombardi, Ettore Lombardo Pellegrino, Giovanni Maria Longinotti, Francesco Lo Sardo, Arnaldo Lucci, Emilio Lussu, Luigi Macchi, Cino Macrelli, Fabrizio Maffi, Pietro Mancini, Federico Marconcini, Mario Augusto Martini, Pietro Mastino, Angelo Mauri, Nino Mazzoni, Giovanni Merizzi, Umberto Merlin, Giuseppe Micheli, Fulvio Milani, Giuseppe Emanuele Modigliani, Enrico Molè, Guido Molinelli, Riccardo Momigliano, Giorgio Montini, Alfredo Morea, Oddino Morgari, Elia Musatti, Nunzio Nasi, Tito Oro Nobili, Angelo Noseda, Giovanni Persico, Guido Picelli, Camillo Prampolini, Enrico Presutti, Antonio Priolo, Luigi Repossi, Ezio Riboldi, Giulio Rodinò, Giuseppe Romita, Francesco Rossi, Giuseppe Srebrnic, Mario Todeschini, Claudio Treves, Domenico Tripepi, Filippo Turati, Umberto Tupini, Giovanni Uberti, Arturo Vella, Domenico Viotto, Giulio Volpi.[8] A questi fu aggiunto anche il fascista dissidente Massimo Rocca.[8]
In un primo momento la mozione, presentata da Farinacci, aveva parlato solo di aventiniani ed era stata motivata proprio con il fatto della secessione parlamentare: ne restavano perciò esclusi i comunisti che da lunghissimo tempo erano presenti in aula. Poi la mozione fu emendata da Augusto Turati ed estesa anche ai comunisti: contro l'ordine del giorno presentato votavano solo i deputati Pivano, Bavaro, Fazio, Gasparotto, Giovannini, Lanza di Trabia, Musotto, Pasqualino-Vassallo, Poggi, Scotti e Soleri.
Come effetto dell'ordine del giorno gli unici rappresentanti dell'opposizione a Montecitorio rimanevano i 6 deputati appartenenti alla fazione giolittiana; già la sera prima Antonio Gramsci, in violazione dell'immunità parlamentare ancora vigente[9], era stato arrestato.
Caduto il regime fascista l'Assemblea Costituente della neonata Repubblica Italiana promulgò il 1º gennaio 1948 la Costituzione: nella cui III disposizione transitoria e finale la seduta del 9/11/1926 veniva ricordata in quanto tra i criteri di nomina dei "senatori di diritto" della I legislatura, oltre a quelli eletti nel suddetto organo costituzionale prima delle elezioni, vi era anche "essere stati dichiarati decaduti nella seduta della Camera dei deputati del 9 novembre 1926". Risultarono quindi nominati 106 senatori, in aggiunta ai 237 usciti dalle urne del 18 aprile 1948.
Note |
^ Grasso, Giovanni, I Cattolici e l'Aventino, presentazione di Fausto Fonzi. n.p.: Roma : Studium, 1994.
^ Ariane Landuyt, Le sinistre e l'Aventino. n.p.: Milano, F. Angeli, 1973.
^ Sull'eccessiva fiducia nel potere di ribellione morale della società, v. Tranfaglia, Nicola, "Rosselli E L'aventino: L'eredità Di Matteotti.", in Movimento di Liberazione in Italia, (1968): 3-34.
^ http://www.storia900bivc.it/pagine/editoria/Neiretti284.html
^ Luigi Giorgi, I popolari, l'Aventino e il rientro nell'Aula di Montecitorio del 16 gennaio 1926, Rivista annuale di storia, anno 21, 2017, Fabrizio Serra editore, Pisa - Roma, DOI: 10.19272/201706601013.
^ Giampiero Buonomo, La decadenza dei deputati nella Camera del regno d'Italia del 9 novembre 1926, in Historia Constitucional, n. 13, 2012, pag. 701, nota 17.
^ Ruggero Giacomini, Il giudice e il prigioniero: Il carcere di Antonio Gramsci, Castelvecchi ed., pag. 32, cita la circolare del Ministero dell'interno n. 27939 dell'8 novembre 1926.
^ ab Tornata di martedì 9 novembre 1926 (PDF), Camera dei deputati, p. 6389-6394. URL consultato il 23 marzo 2015.
^ Giampiero Buonomo, La decadenza dei deputati nella Camera del regno d'Italia del 9 novembre 1926, in Historia Constitucional, n. 13, 2012, pagg. 697-715.
Bibliografia |
Alberto Giovannini, Il rifiuto dell'Aventino. Opposizione al fascismo in Parlamento nelle memorie di un deputato liberale, Bologna, Il mulino, 1966.- Giuseppe Rossini (a cura di), Il delitto Matteotti tra il Viminale e l'Aventino. Dagli atti del processo De Bono davanti all'alta Corte di Giustizia, Bologna, Il mulino, 1966.
- Claudio Giovannini, L'Italia da Vittorio Veneto all'Aventino. Storia politica delle origini del fascismo. 1918-1925, Bologna, Patron, 1972.
- Ariane Landuyt, Le sinistre e l'Aventino, Milano, FrancoAngeli, 1973.
Ivo Ulisse Camerini, Il Partito popolare italiano dall'Aventino alla discesa nelle catacombe (1924-1926), Roma, Cinque lune, 1975.
Giovanni Amendola, L'Aventino contro il fascismo. Scritti politici. (1924-1926), Milano-Napoli, Ricciardi, 1976.- Sandro Rogari, Santa sede e fascismo. Dall'Aventino ai Patti lateranensi. Con documenti inediti, Bologna, Forni, 1977.
- Pierangelo Lombardi, Per le patrie libertà. La dissidenza fascista tra mussolinismo e Aventino, 1923-1925, Milano, FrancoAngeli, 1990. ISBN 88-204-3887-9
Giovanni Grasso, I cattolici e l'Aventino, Roma, Studium, 1994. ISBN 88-382-3698-4
Indro Montanelli, con Mario Cervi, L'Italia del Novecento, Milano, Rizzoli, 1998. ISBN 88-17-86014-X
Voci correlate |
- Antonio Gramsci
- Discorso di Benito Mussolini del 3 gennaio 1925
- Fascismo
- Giacomo Matteotti
- Governo Mussolini
Altri progetti |
Altri progetti
- Wikiquote
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