Battaglia di Cassino
Coordinate: 41°29′24″N 13°48′50″E / 41.49°N 13.813889°E41.49; 13.813889
Battaglia di Cassino parte della campagna d'Italia della seconda guerra mondiale | |||
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Soldati polacchi all'interno delle rovine dell'abbazia di Montecassino | |||
Data | 17 gennaio - 18 maggio 1944 | ||
Luogo | Cassino, valle del Liri | ||
Esito | Vittoria alleata | ||
Schieramenti | |||
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Comandanti | |||
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Effettivi | |||
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Voci di battaglie presenti su Wikipedia |
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La battaglia di Cassino (in inglese Battle of Cassino, in tedesco Schlacht um Monte Cassino, comunemente conosciuta anche come "battaglia di Montecassino"), fu la serie di duri combattimenti svoltisi tra il gennaio e il maggio 1944 tra le forze alleate e quelle tedesche durante la campagna d'Italia nella seconda guerra mondiale.
Il teatro delle operazioni vide le truppe alleate raggruppate nella 5ª Armata americana del generale Mark Clark assaltare, dopo il vittorioso sbarco a Salerno, la linea Gustav a sud di Roma, difesa dalle esperte truppe tedesche della 10ª Armata comandata dal generale Heinrich von Vietinghoff. Il perno difensivo tedesco sulla Gustav era rappresentato dall'abitato di Cassino, che controllava l'accesso alla valle del Liri, e dall'abbazia di Montecassino che sovrastava la valle e permetteva ai difensori di controllare i movimenti delle truppe nemiche. La valle era considerata l'unica via d'accesso agevole per le colonne di uomini e mezzi alleati in avanzata verso la capitale, e divenne quindi un caposaldo difeso tenacemente dai tedeschi: essi impegnarono per oltre cento giorni le forze Alleate in un'accanita guerra di posizione che per lunghi momenti fu molto simile alla cruenta guerra di trincea che aveva contraddistinto la prima guerra mondiale[2][3][4].
La battaglia fu caratterizzata, oltre che dai violenti scontri, anche dal discusso bombardamento aereo alleato che distrusse la secolare abbazia di Montecassino. L'atto procurò non poche critiche ai comandi anglo-americani, a cui erano già rimproverati i fallimentari attacchi che continuavano a susseguirsi invano contro le tenaci linee difensive tedesche nel settore. Dopo un difficile inverno, in cui gli anglo-americani riuscirono a rinforzare e riorganizzare le proprie truppe, lo sfondamento della linea Gustav avvenne solo a metà maggio con l'imponente operazione Diadem, che permise alle forze Alleate di irrompere oltre le difese tedesche che difendevano il settore della Gustav dalla costa tirrenica a Cassino e contemporaneamente sfondare il perimetro difensivo tedesco contro la testa di sbarco ad Anzio. Dopo questa azione le forze Alleate poterono aprirsi la strada per l'occupazione di Roma, mentre le truppe tedesche in Italia, su ordine di Albert Kesselring, si ritirarono attestandosi sulla successiva linea difensiva, la famosa linea Gotica, lungo la quale avrebbero continuato a opporre una efficace resistenza fino alle ultime settimane della guerra.
Indice
1 Contesto strategico
2 Avvicinamento e preparazione
2.1 Gli Alleati raggiungono la Gustav
3 Le forze in campo
3.1 Gli Alleati
3.2 I tedeschi
4 L'assalto alla Gustav
4.1 La prima battaglia
4.1.1 L'attacco sul Garigliano
4.1.2 Il massacro del fiume Rapido
4.1.3 Il massiccio di Cassino
4.2 La seconda battaglia
4.2.1 Il bombardamento dell'abbazia
4.2.2 L'attacco del Corpo neozelandese
4.3 La terza battaglia
4.3.1 Il bombardamento di Cassino
4.3.2 L'offensiva attraverso la città
4.3.3 La collina del Castello
4.4 La sospensione dei combattimenti e le retrovie
4.4.1 Le retrovie alleate
4.4.2 Le retrovie tedesche
4.5 Riorganizzazione e preparazione
4.6 La quarta battaglia
4.6.1 L'attacco generale
4.6.2 La conquista di Montecassino
4.6.3 Lo sfondamento della Gustav
4.7 L'avanzata finale e la conquista di Roma
5 Analisi e critiche
6 Note
6.1 Esplicative
6.2 Bibliografiche
7 Bibliografia
8 Voci correlate
9 Altri progetti
10 Collegamenti esterni
Contesto strategico |
Fin dalla conferenza di Casablanca del gennaio 1943 erano sorte aspre divergenze tra gli Alleati sulla condotta della guerra in Europa: gli statunitensi, fedeli alla regola militare per cui chi attacca deve raggiungere il proprio obiettivo per la via più breve e con la massima forza, guardavano con estrema diffidenza la volontà britannica di procrastinare l'invasione della Francia e consideravano il teatro del Mediterraneo un salasso di uomini e risorse più utili altrove. All'opposto il primo ministro Winston Churchill, memore come tutti i britannici delle perdite e dei fallimenti del fronte occidentale della prima guerra mondiale e dalle debacle subìte in Norvegia, Francia e Grecia, era deciso a rinviare l'operazione Overlord finché la sua riuscita non fosse risultata certa[5].
Alla fine Churchill e i britannici ebbero la meglio e si raggiunse un compromesso che prevedeva l'invasione della Sicilia e a seguire lo sbarco nell'Italia meridionale, seppur con forze molto esigue e ancora da concordare[6]. Dopo la vittoriosa campagna di Sicilia e la caduta del fascismo nell'estate 1943, i capi delle forze aeree alleate si espressero fortemente a favore dell'invasione dell'Italia continentale, che avrebbe permesso all'aviazione di utilizzare gli aeroporti attorno a Foggia come basi per bombardare obiettivi importanti nella Germania meridionale e nei Balcani, dando una spinta significativa alle intenzioni strategiche alleate. L'8 settembre 1943 l'Italia si arrese agli Alleati e, mentre i tedeschi procedevano all'occupazione della penisola, il giorno seguente gli anglo-statunitensi sbarcarono a Salerno[7]. Nonostante il contrattacco tedesco a Salerno arrivasse a un passo dal ributtare in mare gli Alleati, le truppe della 5ª Armata del tenente generale Mark Clark resistettero tenacemente e dopo dieci giorni di furiosi combattimenti poterono iniziare la loro avanzata verso nord. Dopo i combattimenti di Salerno il comandante tedesco del Gruppo d'armate C nell'Italia meridionale, feldmaresciallo Albert Kesselring, con il comandante della 10ª Armata tenente generale Heinrich von Vietinghoff, iniziò i preparativi per la difesa della penisola a sud di Roma, con il benestare dello stesso Adolf Hitler[8].
Dopo la resa dell'Italia Pietro Badoglio si recò a Malta dove il 29 settembre firmò il cosiddetto armistizio lungo a bordo della corazzata Nelson, nonostante le proteste della delegazione italiana perché esso comportava la resa incondizionata e perché i termini della resa stessa dovevano essere applicati da un governo italiano sotto la direzione di una commissione d'armistizio, pregiudicando quindi la possibilità a casa Savoia di tornare al potere[9]. Le condizioni per gli italiani sarebbero potute migliorare con il loro contributo nello sforzo bellico; per gli Alleati quindi, la cobelligeranza aveva un'importanza politica. Badoglio, tuttavia, si oppose inizialmente a questa eventualità, offrendo quale compromesso che truppe italiane combattessero a fianco degli Alleati. Era facile immaginare la ferocia con cui i tedeschi si sarebbero sfogati contro la popolazione civile nel caso in cui l'Italia avesse dichiarato guerra alla Germania, ma per gli Alleati era fondamentale avere un'alternativa politica che potesse contare sulla lealtà degli italiani dopo l'insediamento a Salò della Repubblica Sociale Italiana, nata per volere di Hitler. Dopo accese trattative l'11 ottobre il governo Badoglio dichiarò guerra ai tedeschi[10].
Gli Alleati presero Napoli il 1º ottobre, ma per proseguire l'avanzata dovettero affrontare la prima linea difensiva allestita dai tedeschi in Italia, la linea del Volturno; qui gli anglo-statunitensi furono immobilizzati il tempo necessario per consentire alla Wehrmacht di sistemare il grosso delle difese lungo la linea Bernhardt, dietro la quale il maggior generale Hans Bessel, capo del genio di Kesselring, stava ultimando i preparativi per una linea fortificata ancora più solida, la linea Gustav[11]. Il 2 ottobre il maresciallo Harold Alexander, comandante del 15º Gruppo d'armate in Italia, stabilì le operazioni future per l'8ª Armata britannica del tenente generale Bernard Law Montgomery e la 5ª Armata statunitense di Clark, da svolgersi in due fasi: la prima prevedeva un'avanzata per occupare sulla costa adriatica la linea che da Termoli attraversava Isernia e Venafro fino a Sessa Aurunca sul versante tirrenico; la seconda fase doveva consistere in un'avanzata su una linea molto più a nord di Roma. L'ordine per Clark era d'impadronirsi di una testa di ponte al di là del Volturno, procedere verso la valle del Liri e quindi verso Roma, mentre Montgomery sarebbe passato per Termoli verso Pescara da dove partiva la strada statale nº 5 non troppo impervia per la capitale. Sia Alexander che Montgomery pensavano che questa direttrice fosse la via più diretta per Roma dato che superata la Gustav nel settore di Pescara non avrebbero trovato altri ostacoli difensivi lungo la strada, mentre gli uomini di Clark avevano di fronte a loro un sistema difensivo ben più articolato in profondità lungo tutta la valle del Liri[12]. Questi ordini fecero nascere il presentimento nel generale statunitense che i britannici intendessero prendersi, se non completamente, almeno in parte i meriti per la futura conquista della capitale; ciò irritò lui e i comandi statunitensi, che avrebbero di gran lunga preferito assumersi gli onori di entrare nella capitale dopo gli enormi sforzi che la 5ª Armata aveva profuso a Salerno e nei combattimenti seguenti. Clark insistette con Alexander circa i problemi logistici creati da un'armata bi-nazionale, cercando di far rimuovere dall'organico della 5ª Armata il X Corpo britannico, ma Alexander non fece nulla a riguardo. La presenza di questo corpo britannico nella grande unità statunitense divenne quindi la prova per Clark che i britannici volevano "giocare sicuro", assicurandosi in qualunque caso la presenza di forze britanniche durante il trionfale ingresso a Roma[13].
Gli obiettivi iniziali stabiliti per il 15º Gruppo d'armate, ossia la conquista degli aeroporti di Foggia e del porto di Napoli, erano già stati raggiunti, ma l'euforia della vittoria di Salerno spinse i comandanti alleati a valutazioni strategiche troppo ottimistiche. Alexander credeva che dopo Salerno i tedeschi si sarebbero ritirati inesorabilmente al di là della pianura Padana, e la sua direttiva strategica prevedeva la conquista di Rimini e Firenze prima di Natale; ma l'8 ottobre le intercettazioni di Ultra costrinsero il generale a rivedere i piani. Quel giorno fu decodificato un messaggio del LXXVI Corpo corazzato tedesco che forniva dettagli circa l'allestimento di tre successive linee difensive a sud di Roma, l'ultima delle quali era indicata come "linea Gustav" o "linea d'inverno". Vi erano notizie e particolari topografici per far capire che questa era chiamata anche linea Bernhardt e, qualche giorno dopo, gli Alleati furono informati di una linea ancor più formidabile che doveva essere creata da costa a costa negli appennini a nord di Firenze. Relazioni precise riferirono inoltre che a sud di Roma sarebbero state impiegate le migliori divisioni tedesche della riserva strategica, cioè il Gruppo d'armate B, rendendo così chiaro ad Alexander che la conquista di Roma sarebbe avvenuta solamente dopo un violento combattimento intorno ai monti di Cassino. «Quello fu il momento della vera nascita della campagna d'Italia» scrisse il generale britannico nelle sue memorie[14].
Avvicinamento e preparazione |
Il maresciallo Alexander calcolò che nel 1943, in Italia, tredici divisioni alleate tenevano impegnate diciotto divisioni tedesche, agevolando in tal modo la futura operazione Overlord e allentando un poco la pressione militare tedesca sul fronte orientale. Se la campagna italiana da poco intrapresa fosse stata affiancata da altre offensive in tutta la regione del Mar Mediterraneo, costringendo la Germania a difendere anche la costa meridionale francese, i Balcani e la Grecia, l'equilibro sarebbe stato ancora più favorevole. Ma ciò non tranquillizzò i comandanti statunitensi, i quali capirono ben presto che questa regola valeva anche nel senso opposto: per ogni divisione alleata in Italia ce n'era una di meno disponibile in Francia e, in preparazione di Overlord, furono ritirate dalla penisola alcune delle migliori unità anglo-statunitensi. Tutto ciò che il capo di stato maggiore dell'esercito statunitense, generale George Marshall, e i comandi volevano in Italia era una posizione sicura per le basi di Foggia e tenere impegnati i tedeschi; Marshall però non immaginava che le truppe di Kesselring si sarebbero battute così tenacemente[15].
Le divisioni statunitensi si erano ben comportate in Nordafrica e in Sicilia, ma molti comandanti erano stati sostituiti per incompetenza e nelle discussioni con i britannici gli statunitensi avevano perciò poche argomentazioni valide per influire sulla conduzione della guerra nel Mediterraneo. Il massiccio impiego di forze da parte tedesca fornì inoltre una ragione in più per proseguire la campagna: adesso i generali alleati potevano far valere il principio di economia di forze, con poche divisioni alleate che tenevano impegnate grosse forze nemiche[15]. Ma questa visione della situazione non convinse il generale Dwight D. Eisenhower, il quale sapeva bene che una divisione tedesca era molto più piccola di una divisione alleata e che ogni divisione destinata all'Italia non era più disponibile per altri fronti: allarmato da questa disparità di forze, Eisenhower insistette con i capi di stato maggiore congiunti per ottenere rinforzi. Per trovare nuove divisioni furono presi in considerazione le forze armate degli Alleati minori, come il II Corpo polacco, i neozelandesi tornati dalla licenza dopo la vittoria in Africa e le forze coloniali della Francia Libera, oltre alle divisioni britanniche che avevano quasi completato il ri-addestramento e le nuove divisioni allestite negli Stati Uniti con personale di leva[16]. Alexander si trovò costretto a soppesare addirittura l'impiego delle truppe del Regno del Sud, delle quali però i comandi anglo-americani non si fidavano ancora pienamente[17].
Nonostante le enormi difficoltà poste dal terreno, dalle piogge e dalla metodica opera di demolizione delle infrastrutture compiuta dai tedeschi in ritirata, il 13 ottobre le truppe alleate attraversarono il Volturno, 65 chilometri a sud della linea Gustav. «Avevo piena fiducia in questa fortissima posizione difensiva naturale» scrisse Kesselring a proposito della linea d'Inverno «e speravo, tenendola per un certo periodo di tempo, magari fino a Capodanno, di poter rafforzare nella sua retrovia la linea Gustav tanto che gli inglesi e gli americani ci si sarebbero spezzati i denti»[18]. Imperniata sulla zona di Cassino, questa linea rappresentava uno straordinario esempio di ingegneria militare, un sistema difensivo che collegava la parte più stretta della penisola, tra Gaeta e Ortona, strutturato in modo tale da sfruttare ogni rilievo naturale per dominare dall'alto i numerosi fiumi che attraversano l'Italia centrale, in particolare le valli fluviali del Garigliano e del Rapido dinanzi a Cassino[19]. La città, il cui ingresso era dominato dall'abbazia di Montecassino, rappresentava la porta alla valle del Liri, lungo la quale si estendeva la statale n°6 Casilina che portava fino a Roma. I vantaggi difensivi naturali del terreno montagnoso attorno a Cassino erano stati migliorati dai tedeschi, che avevano rimosso edifici e alberi per creare campi di tiro, fortificato e ampliato grotte, creato ricoveri sotterranei collegati da gallerie. La Gustav non era in realtà un'unica linea, bensì un complesso di più strati difensivi con posizioni predisposte per contrattacchi immediati nel caso una o più postazioni fossero cadute in mano agli avversari. I tedeschi crearono quindi un sistema di campi minati antiuomo congiunti ai reticolati, in modo da coprire i tratti pianeggianti alle pendici dei colli per un'area di circa 400 metri dagli argini dei fiumi. Il corso del Rapido fu deviato facendo saltare una diga e inondando la pianura davanti a Cassino, trasformandola in un pantano[20].
Alla fine di novembre, dopo un mese di lotta, la linea Bernhardt aveva ceduto al centro e a nord di Venafro, ma i tedeschi controllavano ancora in parte Mignano e monte Camino, mentre la penetrazione avversaria era stata arrestata a tergo della principale linea di resistenza nonostante la perdita di alcune posizioni dominanti. Soprattutto i possenti capisaldi di monte Sambucaro e monte Camino a nord e a sud della Casilina erano ancora in possesso delle forze di Kesselring e l'arrivo della 26ª Divisione corazzata e della 29ª Divisione granatieri corazzati, subito spiegate per puntellare il corpo corazzato, rialzarono il morale delle truppe di tutto il corpo[21]. Lentamente però tra fine novembre e inizio dicembre gli Alleati attaccarono e conquistarono monte Camino e monte Sambucaro, mentre a cavallo della Casilina continuavano aspri combattimenti nei pressi di monte Lungo e San Pietro Infine. A metà mese arrivò l'autorizzazione da Berlino di iniziare il ripiegamento generale sulla linea Gustav; la 29ª Divisione granatieri corazzati continuò a contendere all'avversario ogni metro di terreno, scandendo così i ritmi di ripiegamento dei tedeschi[22].
Altro vantaggio per Kesselring era costituito dalla presenza degli Appennini che obbligavano gli Alleati a combattere in due settori, gli statunitensi a ovest e i britannici a est delle montagne. Le loro azioni non potevano integrarsi a vicenda e pertanto i tedeschi potevano affrontare gli attacchi su un lato e poi trasferire le truppe sull'altro. Kesselring aveva inoltre tenuto molte forze di riserva a nord, per gran parte riunite nella 14ª Armata del generale Eberhard von Mackensen che ancora non era entrata in azione. Infine, mentre gli Alleati dovevano accontentarsi delle strette strade di montagna, i tedeschi potevano usufruire della ben superiore rete stradale che passava per Roma. Le riserve e le migliori linee di comunicazione permettevano a Kesselring e von Vietinghoff di trasferire le loro truppe rapidamente dove richiesto.[23]
Dopo aver superato il Volturno l'avanzata degli Alleati si rivelò lenta e penosa; il 26 dicembre il generale statunitense John Lucas scrisse sul suo diario: «L'offensiva è di una lentezza spaventosa, [...] non abbiamo truppe sufficienti per andare più veloci e temo che con il passare del tempo diventeremo più deboli, non più forti: sono convinto che questo stia diventando un teatro secondario». La 5ª Armata, forte di circa 200 000 uomini a ottobre, nel solo mese di dicembre perse circa 23 000 soldati per malattie e infortuni causati dal freddo e dal terreno fangoso; complessivamente, dallo sbarco a Salerno, i combattimenti erano costati più del 10% degli effettivi. Il 31 dicembre il comando tedesco osservò con soddisfazione che l'avanzata verso Roma degli Alleati si rivelava molto lenta, di appena «dieci chilometri al mese». Il fango, il terreno impervio, la mancanza di strade adatte agli enormi convogli di rifornimenti, il maltempo e la sistematica distruzione messa in atto dai tedeschi avevano quasi completamente bloccato le armate alleate in Italia, e la resistenza tedesca lungo i vari capisaldi che anticipavano la Gustav crearono un teatro di combattimento molto simile alla guerra di posizione del primo conflitto mondiale. «La mente correva a Passchendaele» scrisse il capo di stato maggiore dell'8ª Armata Francis Wilfred de Guingand[24].
Gli Alleati raggiungono la Gustav |
A seguito degli aspri combattimenti per conquistare il paese di San Pietro Infine, dopo Natale la 36ª Divisione "Texas" statunitense ricevette il cambio dalla 34ª Divisione "Red Bull"[25] che, il 3 gennaio 1944, iniziò i combattimenti davanti alla Gustav per liberare i paesi e le alture rimanenti. Il 6 gennaio fu presa San Vittore e il 12 Cervaro, l'ultimo paese antecedente Cassino, mentre l'ultima altura che si ergeva di fronte al monastero, il monte Trocchio, fu raggiunta il 15 dal 3º Battaglione del 168º Reggimento dei "Red Bull": durante la scalata gli uomini trovarono solo postazioni tedesche vuote. Dal Trocchio la divisione avanzò ancora attestandosi poco a nord della città di Cassino[26], facilitata dalla tattica tedesca che imponeva il risparmio degli uomini. I soldati di Kesselring, infatti, si ritirarono nelle postazioni predisposte sulla Gustav, lasciando sguarnito il terreno davanti al Garigliano e al Rapido. Per la 5ª Armata spezzare la Gustav era diventato ora l'obiettivo più urgente; dal novembre 1943 era in corso di definizione uno sbarco anfibio dietro le linee tedesche ad Anzio, poco a sud di Roma. La logica era impeccabile: gli Alleati avevano il controllo del cielo e del mare e le linee di comunicazione tedesche erano lunghe e vulnerabili. Con il rallentamento dell'avanzata tra novembre e dicembre il piano era stato accantonato, ma alla fine dell'anno Churchill lo rese di nuovo attuale, persuadendo gli statunitensi a concedere una considerevole quantità di mezzi da sbarco che determinò il rinvio dell'invasione della Normandia, spostata al giugno 1944. Lo sbarco ad Anzio (operazione Shingle) era previsto per il 22 gennaio, l'ultima data disponibile prima di dover spedire i mezzi da sbarco in Gran Bretagna[27]. In concomitanza a questo attacco la 5ª Armata progettò un'offensiva contro la valle del Liri, che avrebbe permesso alle forze di Clark di congiungersi con le unità sbarcate a nord[28].
Churchill tuttavia accelerò la campagna d'Italia proprio in un momento i cui gli Alleati invece avvrebbero dovuto analizzare più dettagliatamente la propria situazione militare e aspettare che il maltempo invernale si placasse[29]. Clark ebbe così solo due settimane per portare la 5ª Armata oltre il Rapido e il Garigliano e fissò l'inizio dell'offensiva principale al 17 gennaio, con un attacco del X Corpo britannico ora rinforzato dalla 5ª Divisione proveniente dal fronte dell'8ª Armata: esso avrebbe passato il basso corso del Garigliano nei pressi di Minturno e Castelforte, creato una testa di ponte e minacciato i tedeschi di un aggiramento dalle alture poste sul lato sinistro della valle del Liri. Dal 20 febbraio gli statunitensi della 36ª Divisione avrebbero superato il Garigliano nei pressi dell'abitato di Sant'Angelo con un attacco frontale alle difese tedesche, appoggiati a nord di Cassino dalla 34ª Divisione "Red Bull" e dai coloniali francesi del generale di corpo d'armata Alphonse Juin, che avrebbero tentato un aggiramento da destra lungo le alture a nord di Cassino per emergere nella valle del Liri cinque o sei chilometri dietro le linee tedesche[30]. Gli strateghi della 5ª Armata pensavano così di distogliere forze tedesche dal fronte principale e, allo stesso tempo, contavano di spezzare la Gustav ricongiungendosi con il VI Corpo d'armata di John Lucas sbarcato tra Anzio e Nettuno. L'azione anfibia avrebbe dovuto minacciare le linee di comunicazione nel Lazio meridionale e i tedeschi, di fronte a un attacco ad ampio raggio, non avrebbero avuto altra scelta che ritirarsi a nord di Roma[31].
Il movimento di aggiramento a destra iniziò con alcuni attacchi a nord di Cassino effettuati dal Corpo di spedizione francese; l'obiettivo sarebbe stato quello di dirigersi verso Sant'Elia e Atina e impadronirsi delle alture immediatamente a nord e nord-ovest di Cassino, tastando in questo modo i primi approntamenti difensivi tedeschi della Gustav[31]. Il 16 dicembre, dopo aver dato il cambio alla 34ª Divisione, la 2ª Divisione di fanteria marocchina sferrò il primo attacco e, insieme alla 45ª Divisione statunitense avanzò di circa 11 chilometri incontrando nuovamente i tedeschi il 21 dicembre. A quel punto la 3ª Divisione algerina del maggior generale Joseph de Monsabert diede il cambio alla divisione statunitense e, dopo un periodo di studio delle alture a nord di Cassino, il 12 gennaio sferrò l'assalto sul fianco destro ordinato da Clark[32]. Nonostante fosse composto da formazioni che non avevano ancora sperimentato il combattimento, come il 7º Reggimento algerino incaricato del difficile attacco a monte Monna Casale, per il 15 il Corpo francese era avanzato di circa sei chilometri e aveva preso contatto con opere difensive della Gustav, che si apprestava ad attaccare[33].
Le forze del generale di corpo d'armata Fridolin von Senger und Etterlin in quel settore erano particolarmente vulnerabili: la 5ª Divisione da montagna proveniente dal fronte russo, che aveva appena dato il cambio alla 305ª, non si era ancora ambientata all'aspro terreno montagnoso del centro Italia e le divisioni di Juin si rivelarono più combattive del previsto. Le forze di von Senger con grande difficoltà riuscirono a reggere il primo urto e a ripiegare ordinatamente, consentendo di portare a termine gli ultimi apprestamenti difensivi sulla Gustav nel settore a nord di Cassino, ma la situazione tedesca non era stabile. Von Senger era consapevole che la battaglia decisiva non era ancora iniziata e non disponeva più, all'infuori della 15ª Divisione granatieri corazzati peraltro bisognosa di riposo, delle vecchie divisioni che fino ad allora avevano dato ottima prova in Italia. La 94ª Divisione sulla costa era di per sé in una situazione tattica critica, al centro dello schieramento, e sulla sinistra la 44ª Divisione e la 5ª Divisione fino ad allora «non avevano dimostrato di poter fare grandi cose»: pertanto von Senger non poté far altro che appigliarsi alla speranza che l'organizzazione delle disposizioni difensive, che i capi militari avevano derivato dai ricordi della prima guerra mondiale, fosse realmente efficace[34]. Anche Kesselring era ben consapevole della situazione tedesca lungo la Gustav e del rischio concreto di dover affrontare anche uno sbarco dietro le linee. Nelle sue memorie il feldmaresciallo scrisse di aver maturato la convinzione che l'impegno con cui combattevano gli Alleati palesava l'esistenza di un vasto piano strategico e che la lentezza dell'avanzata avrebbe presto indotto Alexander a rivolgersi a uno sbarco nelle retrovie nemiche che, «dato il metodo seguito dagli Alleati, si poteva prevedere sarebbe avvenuto nei dintorni di Roma»[35]. Secondo Kesselring era inoltre chiaro che lo sbarco sarebbe stato simultaneo a un'offensiva proveniente dal fronte della Gustav e, per questo, predispose l'arrivo di quattro divisioni di riserva con le quali contava di poter agire in tempo contro le previste offensive alleate (due delle quali però non arrivarono in tempo). Kesselring disponeva quindi a nord di Roma della 92ª Divisione fanteria e a sud della 4ª Divisione paracadutisti, mentre la 29ª e la 90ª Divisione granatieri corazzati furono messe in riserva mobile[36].
Le forze in campo |
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Gli Alleati |
Il malcontento regnava in tutta la catena di comando alleata in Italia. Il corrispondente di guerra Alan Moorehead espresse riserve sia sulla confusionaria pianificazione per le future avanzate, sia sulle capacità di comando del maresciallo Alexander, opinione condivisa peraltro dal capo di stato maggiore dello stesso Alexander che meglio di Moorehead era cosciente della situazione. Il generale Eisenhower, comandante supremo nel teatro del Mediterraneo, si augurava in privato che Clark fosse sostituito dal tenente generale George Smith Patton alla testa della 5ª Armata; lo stesso Clark si lamentava del maggior generale Lucas e minacciava inoltre di destituire il comandante della 34ª Divisione, maggior generale Charles Ryder; Lucas dal canto suo rivolgeva aspre critiche al maggior generale Troy Middleton della 45ª Divisione, il quale non risparmiava reprimende ai propri subordinati[37]. L'avvento del nuovo anno portò comunque grossi cambiamenti nella gerarchia alleata del teatro italiano. Montgomery fu richiamato in Gran Bretagna per partecipare allo sbarco in Francia e fu sostituito alla guida dell'8ª Armata dal tenente generale Oliver Leese; Eisenhower cedette al generale Henry Maitland Wilson il posto di comandante supremo nel Mediterraneo per assumere la guida dello SHAEF[38].
Nel frattempo le forze alleate in Italia erano state rinforzate da nuove divisioni. Sul versante tirrenico la 5ª Armata integrò il Corps expéditionnaire français en Italie (CEF) agli ordini del generale Alphonse Juin che, a novembre, arrivò in Italia con le prime due divisioni: la 2ª Divisione di fanteria marocchina (Division d'Infanterie Marocaine - DIM) e la 3ª Divisione di fanteria algerina (Division d'Infanterie Algérienne - DIA), che in gennaio ebbero occasione di dimostrare le loro capacità combattive durante gli scontri su monte Belvedere[39]. A metà mese arrivò anche la 1ª Divisione corazzata statunitense del maggior generale Ernest Harmon, alcuni elementi della quale avevano combattuto a Salerno, e la First Special Service Force del generale di brigata Robert Frederick, formata da un contingente di cinque battaglioni misti canadesi e statunitensi. Ben presto questo reparto fu collettivamente indicato dai tedeschi come schwarze Teufels ("Diavoli neri") per la propensione ad attaccare di notte con le facce annerite[39]. Nel settore orientale l'8ª Armata fu rinforzata dal II Corpo polacco, forte di circa 25 000 uomini al comando del maggior generale Władysław Anders; si articolava sulla 3ª Divisione fucilieri Karpackich ("dei Carpazi") e sulla 5ª Divisione Kresowa. Altre due formazioni si unirono all'armata britannica entro la fine dell'anno: la 2ª Divisione neozelandese arrivò in linea i primi giorni di novembre dopo un lungo periodo di riposo a seguito della vittoria in Nordafrica; a dicembre fu seguita dalla veterana 4ª Divisione indiana, ripresasi dai combattimenti a El Alamein e in Tunisia[40]. Infine, anche agli italiani fu concesso di mettere insieme un contingente attingendo dalle poche unità al momento disponibili e il Regio Esercito creò il Primo Raggruppamento Motorizzato; a metà novembre fu inviato ad Avellino sotto il comando della 5ª Armata[41]. Il disastroso battesimo del fuoco della formazione cobelligerante avvenne a dicembre 1943 con la battaglia di Montelungo e, pertanto, i comandi alleati decisero di concentrare le proprie risorse nell'equipaggiare prima di tutto le undici divisioni francesi in Africa settentrionale e poi i partigiani jugoslavi, le cui operazioni avevano imposto ai tedeschi di schierare forze crescenti nei Balcani. Una seconda divisione italiana sarebbe stata equipaggiata solo successivamente: nel frattempo le rimanenti forze del regno del Sud sarebbero state impiegate per l'ordine pubblico e avrebbero fornito battaglioni di lavoro e di servizi nelle retrovie del fronte[42].
Quando si presentò dinanzi alla Gustav la 5ª Armata era dunque un assembramento multinazionale, essendo formata dal II Corpo statunitense del maggior generale Geoffrey Keyes comprendente la 34ª Divisione del maggior generale Ryder, la 36ª Divisione del maggior generale Fred Walker, l'85ª Divisione del maggior generale John Coulter, l'88ª Divisione del maggior generale John Sloan, la 1ª Divisione corazzata del maggior generale Harmon; e dal X Corpo britannico del tenente generale Richard McCreery, composto dalla 5ª Divisione di fanteria del maggior generale Gerard Bucknall, dalla 46ª Divisione del maggior generale John Hawkesworth e dalla 56ª Divisione del maggior generale Gerald Templer. Clark poteva poi contare sul VI Corpo d'armata del maggior generale Lucas (designato per lo sbarco di Anzio), sul II Corpo d'armata neozelandese e sul Corpo di spedizione francese. In ultimo, nel corso della battaglia, si sarebbero aggiunte parte delle forze dell'8ª Armata britannica[43].
I tedeschi |
Nell'assetto del teatro di guerra italiano, ovvero nella gestione della difesa della penisola, i tedeschi si confrontarono inizialmente su due alternative, di cui i feldmarescialli Kesselring e Rommel erano i principali sostenitori. Secondo Rommel l'Italia avrebbe dovuto essere difesa sugli Appennini lungo quella che sarebbe divenuta la Linea Gotica; Kesselring invece intendeva resistere ovunque se ne fosse presentata l'occasione, una posizione preferita da Adolf Hitler in quanto a lui più congeniale secondo alcuni voci imprecise arrivate dall'Oberkommando der Wehrmacht[44]. Il 21 novembre 1943, infatti, il Führer esaudì le richieste di Kesselring e lo nominò "comandante supremo del settore sudoccidentale - gruppo d'armate C" (Oberbefehlshabers Süd - Heeresgruppe C), mentre Rommel fu inviato in Francia quale supervisore del Vallo Atlantico[45]. Dopo esser riuscito a trasportare le forze d'occupazione di Sardegna e Corsica (circa 40 000 uomini) verso l'isola d'Elba, Livorno e Piombino[45], il generale von Senger und Etterlin fu promosso l'8 ottobre a comandante del XIV Corpo corazzato e perciò divenne il responsabile principale del cruciale settore occidentale della Linea Gustav, coincidente per estensione a quello della 5ª Armata statunitense. Von Senger venne dunque a dipendere dalla 10ª Armata, che riuniva tutte le divisioni tedesche schierate dietro la linea e che era sotto il comando del colonnello generale Heinrich von Vietinghoff, ufficiale colto e capace di adattarsi a ogni situazione, sebbene non godesse di fama particolarmente eccellente presso i soldati. Il suo capo di stato maggiore era il colonnello e poi maggior generale Fritz Wentzell, un tecnico di lunga esperienza che assieme al capo di stato maggiore di Kesselring, il maggior generale Siegfried Westphal, andava a completare una schiera di comandanti abili e con esperienza su molti fronti[46].
La 10ª Armata era composta da due corpi: il XIV Corpo corazzato (generale von Senger) teneva la Gustav dal mare fino alle montagne della catena appenninica, ove si saldava al LXXVI Corpo corazzato del tenente generale Traugott Herr di presidio fino al mare Adriatico. Inoltre von Vietinghoff disponeva di una riserva mobile a sud di Roma, composta dalla 29ª Divisione granatieri corazzati del maggior generale Walter Fries, dalla 90ª Divisione granatieri corazzati del maggior generale Ernst-Günther Baade e dalla Fallschirm-Panzer-Division 1 "Hermann Göring" del maggior generale Paul Conrath[47]. Sull'ala destra del XIV Corpo vi era la 94ª Divisione di fanteria agli ordini del maggior generale Georg Pfeiffer (sostituito il 2 gennaio 1944 dal tenente generale Bernhard Steinmetz), che abbracciava anche un buon tratto di costa fino a Terracina per prevenire potenziali sbarchi dietro le linee tedesche. Sulla sinistra della 94ª era schierata la 15ª Divisione granatieri corazzati del maggior generale Eberhard Rodt con al fianco la 3ª Divisione granatieri corazzati, comandata dal maggior generale Fritz-Hubert Gräser e formata da Volksdeutsche, che durante il ripiegamento da Salerno aveva subito pesanti perdite[48].
La 305ª Divisione di fanteria, schierata a nord della 3ª, era una grande unità formata da elementi del Baden-Württemberg sotto il comando del maggior generale Friedrich-Wilhelm Hauck; seppur di grande esperienza e combattività, era una divisione che lamentava deficienze nella mobilità, nella difesa anticarro e nell'esperienza di cooperazione con unità corazzate[49]. Questa divisione era stata presa alla sprovvista dall'offensiva alleata contro la Linea Bernhardt e aveva consentito una prima penetrazione al centro dello schieramento tedesco: pertanto, fra la 3ª e la 305ª Divisione, fu inserita la ben più efficiente 26ª Divisione corazzata del maggior generale Smilo von Lüttwitz. Essa però, come tutte le unità corazzate, non disponeva di consistenti forze di fanteria e poteva quindi controllare un settore non molto ampio; nonostante il suo grosso contributo nel rafforzamento del fronte, tra novembre e dicembre fu sostituita con la 29ª Divisione granatieri corazzati del generale Fries che assunse quindi la funzione di riserva mobile, mentre la 26ª Divisione corazzata fu inviata nei dintorni di Roma. Lentamente i tedeschi operarono la sostituzione della 3ª Divisione granatieri corazzati con la 44ª Divisione fanteria del maggior generale di Fritz Franek; soprannominata "Vienna", era stata ricostituita dopo Stalingrado e si trovava al battesimo del fuoco[50]. Dopo i duri scontri necessari a coprire il ripiegamento sulla Gustav anche la 305ª fu lentamente sostituita con la 5ª Divisione da montagna del maggior generale Julius Ringel: teoricamente adatta al terreno ma abituata alla pianura del fronte russo e a grandi manovre tattiche, trovò non poche difficoltà nelle aspre e scoscese zone di montagna e nel massiccio fuoco concentrato che caratterizzava i combattimenti in Italia[51]. In totale, all'inizio delle battaglie di Cassino, von Senger poteva contare su otto divisioni, tre di fanteria (44ª, 71ª, 94ª), due di granatieri corazzati (3ª, 15ª) e una da montagna (5ª), mentre il LXXVI Corpo sul lato adriatico annoverava due divisioni di fanteria (305ª, 334ª), la 1ª Divisione paracadutisti e la 26ª Divisione corazzata[52].
L'assalto alla Gustav |
La prima battaglia |
L'attacco sul Garigliano |
La fase iniziale della prima battaglia di Cassino, collegata con l'attraversamento del Garigliano, prevedeva secondo i piani di Clark diversi attacchi coordinati: un assalto lungo il basso corso del fiume Rapido da parte della 36ª Divisione, che avrebbe tentato di forzare frontalmente il passaggio nella valle del Liri nei pressi di Sant'Angelo a sud di Cassino, e l'attacco sferrato dalla 34ª Divisione e dal Corpo di spedizione francese a nord di Cassino, per aggirare da destra lo schieramento tedesco[53]. Il piano autorizzava puntate offensive anche sul basso corso del Garigliano, nella notte del 17-18 gennaio, con l'inclusione del X Corpo britannico nel settore costiero nel tentativo di creare una testa di ponte su più punti con la 5ª Divisione e la 56ª Divisione, che avrebbero anticipato l'attacco principale del 20 gennaio. Il piano del generale McCreery prevedeva che la 5ª Divisione conquistasse Minturno e prendesse posizione alla base della direttrice della valle dell'Ausente che conduceva ad Ausonia, una gola che minacciava l'accesso alla valle del Liri alle spalle delle principali difese tedesche. Al centro dello schieramento la 56ª Divisione doveva conquistare il caposaldo di Castelforte e la 46ª Divisione si sarebbe assicurata una testa di ponte sulla riva opposta del Garigliano, in direzione di Sant'Ambrogio, con l'ulteriore compito di proteggere il fianco sinistro della 36ª Divisione "Texas" (che sarebbe passata all'attacco il 20)[54].
Dal 15 gennaio il II Corpo statunitense era ormai sul fiume Rapido e stava preparandosi a irrompere nella valle del Liri, mentre le divisioni francesi stavano causando non pochi problemi sul fianco settentrionale tedesco. La situazione delle truppe tedesche di fronte al X Corpo non era brillante: la 94ª Divisione di fanteria del generale Steinmetz adottò l'ortodosso criterio di stabilire la linea di resistenza sul fiume, disponendo il grosso delle sue truppe sul terreno sopraelevato a poca distanza dalle rive del Garigliano e installando una forte linea di avamposti sul fiume stesso. Un reggimento fu posto sulle alture del Minturno e un altro sulle colline di Castelforte che, dalla valle dell'Ausente, si estendevano a nord fino alla linea di demarcazione con la 15ª granatieri corazzati, sul bordo meridionale della valle del Liri; infine un terzo reggimento fu piazzato lungo la costa[55]. Tutti i punti più evidenti per l'attraversamento del fiume furono pesantemente minati e presidiati da solidi avamposti protetti da reticolati, ma a preoccupare i comandi tedeschi fu soprattutto la precaria situazione strategica della 94ª Divisione la quale, priva di carri armati e artiglierie da montagna, era stata costretta a posizionare le sue batterie nella piana tra il Minturno e Gaeta oppure nella valle dell'Ausente: dato che la fanteria tende sempre a ripiegare verso le postazioni di artiglieria, una ritirata avrebbe assunto direzioni divergenti causando la rottura della divisione e del fronte[56].
L'attacco britannico iniziò senza particolari intoppi e colse di sorpresa la 94ª Divisione tedesca; nonostante duri combattimenti e le difficoltà incontrate a causa della forte corrente, il mattino seguente il X Corpo aveva portato dieci battaglioni sulla sponda opposta e i genieri si stavano adoperando per consentire il transito anche ad armi controcarro e mezzi pesanti[57]. Durante il 18 gennaio entrambe le divisioni ampliarono la loro testa di ponte, nonostante la 5ª Divisione venisse in parte rallentata da vasti campi minati ai lati della strada statale nº 7 e sulla spiaggia, i quali causarono gravi perdite. Al termine del secondo giorno di combattimenti la 56ª si attestò sul terreno sopraelevato ai due lati di Castelforte mentre il 19 la 5ª riuscì a entrare a Minturno (ricorrendo però prima del previsto alla 15ª Brigata di riserva[58]). Tuttavia il consolidamento della testa di ponte si rivelò lento a causa delle difficoltà di far superare il Garigliano ai mezzi corazzati e ai veicoli, dato inoltre che l'artiglieria tedesca frustrava ogni tentativo dei genieri di rendere operativi i ponti Bailey. Potevano essere utilizzati solo di notte, perché di giorno le strade di accesso alle rive del fiume erano costantemente bersagliate dall'artiglieria tedesca; una situazione che perdurò sino al maggio 1944, giacché l'osservazione tedesca sul Garigliano fu eliminata solo con il crollo della Gustav. Pertanto non si verificò un incisivo sfondamento della 94ª Divisione che, al contrario, resse bene all'urto e poté contare dopo pochi giorni sull'arrivo di riserve inviate dal feldmaresciallo Kesselring[59].
Quest'ultimo era stato sollecitato direttamente dal generale von Senger che il 18 gennaio, dopo aver visitato personalmente il fronte minacciato, aveva notato la precaria situazione della 94ª Divisione e garantito una certa probabilità di successo con l'impiego delle riserve mobili. Kesselring, deciso a resistere a oltranza e consapevole che la "linea Senger" che correva qualche chilometro dietro Cassino e bloccava l'accesso alla valle dell'Ausente non era ancora pronta[60], aveva approvato la richiesta e inviato la 29ª e la 90ª granatieri corazzati a sostegno del XIV Panzerkorps[61]. Grazie ai rinforzi i tedeschi imbastirono alcuni contrattacchi: il 21 fu ripreso Castelforte e il 23 colle Damiano (un'altura a metà strada fra Minturo e Castelforte, occupata la prima notte di combattimenti); allo stesso tempo i britannici reagirono con decisione e si verificò un susseguirsi di scontri, continuato in modo altalenante fino al 9 febbraio. Quel giorno McCreery decise di passare sulla difensiva perché, nonostante le sue truppe tenessero saldamente le colline appena oltre il Garigliano, comprese che la testa di ponte era ormai isolata dai tedeschi, che potevano martellare impunemente le linee di comunicazioni del X Corpo[62].
I comandi alleati furono soddisfatti di aver attraversato in forze il fiume, creato una testa di ponte e attratto sul fronte di Cassino due divisioni tedesche che, altrimenti, avrebbero potuto contrastare lo sbarco ad Anzio. Rimasero però del tutto delusi dalla prova della 46ª Divisione, che avrebbe dovuto superare il Garigliano e attaccare l'abitato di Sant'Ambrogio situato alla sutura tra la 94ª Divisione fanteria e la 15ª granatieri corazzati. Era partita all'attacco il 19 gennaio ma, poiché i tedeschi avevano aperto le chiuse della diga a monte del Rapido, non era riuscita a valicare il fiume ora ingrossatosi. I difensori tedeschi furono affiancati dalla combattiva 29ª Divisione granatieri corazzati e in un solo giorno procurarono tante e tali perdite e difficoltà alla 46ª Divisione che il comandante, generale Hawkesworth, sospese ogni attacco. Egli fu oggetto di accese recriminazioni da parte di Clark e del generale Fred Walker che, il giorno successivo, avrebbe dovuto attaccare lungo il Rapido con la 36ª Divisione senza più contare sul supporto britannico alla sua sinistra[63].
Il massacro del fiume Rapido |
I tedeschi, oltre ad avere il possesso delle alture ai lati della valle del Liri, potevano godere anche dell'eccellente punto di osservazione rappresentato dal paese di Sant'Angelo, posto su un promontorio di una quindicina di metri dall'altra parte del Rapido e al centro della valle. Fu quello l'obiettivo della 36ª Divisione del generale Walker: nella notte tra il 20 e il 21 gennaio egli avviò l'assalto con due reggimenti a nord e a sud dell'abitato, nonostante fosse cosciente che delle sfavorevoli previsioni sull'attacco[64].
Infatti l'attacco di Hawkesworth era fallito e, inoltre, Walker aveva ricevuto un cupo rapporto del maggiore del genio Oran C. Stovall il quale, dopo aver ragguagliato il generale sulla mancanza di passerelle e DUKW (assegnati allo sbarco di Anzio[65]), dichiarò: «In primo luogo, per noi sarebbe impossibile raggiungere il fiume. Secondo, non potremmo passare e, terzo, anche se lo attraversassimo in qualche modo non avremmo un posto in cui dirigerci»; era opinione comune che la valle del Liri attaccata frontalmente sarebbe diventata «un collo di bottiglia fangoso». Walker aveva anche altre ragioni per cui preoccuparsi: innanzitutto la divisione sotto il suo comando era formata in maggioranza da rimpiazzi, molti dei quali alla prima esperienza di combattimento; poi il fiume era incassato tra rive praticamente verticali e la sua esigua larghezza (circa 10 metri) sconsigliò l'impiego dell'artiglieria per colpire la sponda opposta in concomitanza con l'attacco, il che costrinse Walker a iniziare l'operazione nottetempo con tutti i relativi problemi di visibilità. Infine gli argini erano minati, protetti da ampi reticolati e i genieri statunitensi erano riusciti ad aprire e delimitare con nastro bianco solo pochi e stretti passaggi; nastro che, in alcuni casi, fu spostato nelle ore di buio da pattuglie tedesche[66].
Nonostante i grossi dubbi, il 18 gennaio Walker scrisse al generale Clark che la sua divisione sarebbe riuscita ad aprirsi un varco nella valle: alle 20:00 del 20 gennaio diede inizio alle operazioni[66]. Gli uomini del 143º e del 141º Reggimento di fanteria avanzarono in mezzo a una densa nebbia fino alle rive del fiume ma, a causa dell'oscurità, in molti incapparono nei campi minati; i tedeschi, ormai all'erta da giorni, ai primi segni di pericolo aprirono un fuoco d'infilata con le mitragliatrici pesanti. Gli statunitensi furono massacrati ancor prima di provare ad attraversare il fiume e l'artiglieria tedesca bersagliò e distrusse buona parte delle imbarcazioni approntate[67]. Piccoli gruppi isolati di soldati riuscirono ad attraversare il Rapido, ma i rabbiosi contrattacchi tedeschi costrinsero i pochi sopravvissuti a riattraversare il fiume per mettersi in salvo. Il 3º Battaglione del 143º non riuscì nemmeno ad avvicinarsi alle sponde del Rapido: i campi minati e il fuoco nemico scompaginarono la formazione e gli ufficiali persero il controllo della situazione. A nord di Sant'Angelo un battaglione del 141º riuscì a passare un ponte ma in generale i genieri, al buio e sotto il tiro nemico, non riuscirono a sminare le due rive, organizzare un servizio di traghetto o installare i ponti Bailey. Alle prime luci dell'alba Walker non poté far altro che rilevare la portata del disastro e tentò di annullare l'operazione; tuttavia il maggior generale Keyes gli impose di riprendere l'attacco nel primo pomeriggio[68].
Dopo un violento tiro d'artiglieria, alle 16:00 il 143º Reggimento rinnovò l'offensiva e in effetti riuscì ad attraversare il fiume ma in nottata, senza l'appoggio delle armi pesanti, fu ricacciato sulla riva di partenza da un contrattacco tedesco. Il 141º, invece, si mosse solo alle 22:00 e il risultato fu la sanguinosa ripetizione di quanto accaduto la notte prima; la debole testa di ponte, coraggiosamente tenuta nella notte dagli statunitensi, fu spazzata via dai tedeschi alle prime luci del giorno. Solo allora intervenne lo stesso Clark che annullò il terzo tentativo ordinato ostinatamente da Keyes[69].
Nelle quarantotto ore di battaglia la 36ª Divisione perse circa 2 000 uomini, ossia il 60% delle forze coinvolte. Tragicamente ironico fu che i tedeschi non si resero nemmeno conto che l'operazione sul Rapido fosse un attacco in forze per scardinare le loro posizioni, dandole dunque poca importanza. Peraltro la 15ª Divisione granatieri corazzati era ben schierata a tergo del fiume in trincee a zig zag, a buona distanza dalla sponda, in modo tale da colpire l'avversario con un tremendo tiro incrociato appena questi vi avrebbe messo piede. Né il comando di divisione né quello di corpo d'armata si resero subito conto dello scacco inflitto al nemico, e neppure ebbero bisogno di allertare le riserve offerte da Kesselring[70][69] Sulla riva tedesca si contarono 430 statunitensi morti e 770 prigionieri, sulla riva statunitense giacevano altri 900 tra morti e feriti, mentre i tedeschi ebbero 64 morti e 179 feriti: l'attacco si era concluso con un completo fallimento[71], e due reggimenti di fanteria erano stati annientati in una delle peggiori disfatte statunitensi di tutta la guerra[72][N 2].
Il massiccio di Cassino |
Il 22 gennaio 1944 le truppe anglo-statunitensi del VI Corpo d'armata al comando del maggior generale John Lucas sbarcarono ad Anzio e Nettuno senza trovare resistenza. Per i tedeschi fu una sorpresa tattica più che strategica; il feldmaresciallo Kesselring sapeva da mesi che gli Alleati stavano preparando uno sbarco oltre le sue linee, sebbene non dove e quando[73]. Apprese che gli Alleati avevano preso terra dietro la Gustav solo alle 08:20, ossia sei ore dopo l'approdo delle prime truppe[74]. Lucas però fu troppo prudente e, invece di avanzare in profondità, decise di trincerarsi per aspettare il contrattacco tedesco; in questo modo la testa di sbarco di Anzio fu rapidamente accerchiata e isolata. Concepita per aiutare le forze a Cassino e tagliare le linee di comunicazioni tedesche, nella pratica le prime vere azioni offensive furono intraprese dai tedeschi stessi e il generale Clark fu costretto a sferrare nuovi attacchi a Cassino per alleggerire la pressione sulla testa di ponte. Gli anglo-statunitensi sbagliarono i tempi: gli sbarchi ad Anzio si verificarono proprio mentre gli attacchi del X e del II Corpo si stavano esaurendo e l'avanzata a nord del Corpo francese si era appena fermata. Tuttavia le pressioni politiche e dell'opinione pubblica costrinsero Clark a mantenere l'offensiva – «abbiamo un gran bisogno di tenerli impegnati». Sul concetto insisté anche il primo ministro Churchill, che affermò «anche una battaglia d'attrito è meglio che stare fermi a guardare combattere i russi»[75].
Il generale Clark decise quindi di riprendere gli attacchi il 25 gennaio, utilizzando la 34ª Divisione "Red Bull" e invitando i riluttanti sottoposti Juin e McCreery a fare il possibile per lanciare offensive nei loro settori. Il piano prevedeva l'attacco della 34ª Divisione contro la parte settentrionale dell'abitato di Cassino in contemporanea all'assalto diretto contro il massiccio di Cassino, affidato ai francesi, che avrebbe portato a un aggiramento da destra delle linee tedesche. La 34ª Divisione, però, avrebbe dovuto oltrepassare il Rapido, poi tutta la zona allagata dai tedeschi proprio a nord della città e infine puntare a Quota 213 (che domina l'abitato di Caira) e a una vecchia caserma fortificata a 3 chilometri da Cassino[76]. Il Corpo di spedizione francese avrebbe attaccato colle Abate e colle Belvedere a destra della 34ª Divisione: in questo modo si sperava che i francesi avrebbero coperto il fianco destro degli statunitensi e distolto parte della guarnigione tedesca dalla stessa Cassino. Il generale Juin, tuttavia, non volle rinunciare alla progettata conquista di Atina, perché lo considerava il perno del suo aggiramento oltre la Gustav e, al contrario, riteneva il Belvedere uno degli accessi più difficili, considerando che le sue truppe avrebbero dovuto attraversare i fiumi Rapido e Secco e arrampicarsi per circa 800 metri sulla nuda roccia (con tutti gli annessi problemi logistici e di rifornimento) in piena vista delle posizioni tedesche di monte Cifalco[77].
In quella zona i tedeschi avevano la 44ª Divisione del generale Franek, unità che aveva subito pesanti perdite sul fronte di Stalingrado ed era numericamente ridotta, con giovani ufficiali che guidavano compagnie di appena 100 uomini come se fossero state compagnie d'assalto miste. Il 24 gennaio la 3ª Divisione di fanteria algerina varcò il Secco, superò i campi minati e travolse le difese della 44ª Divisione[78] per poi scalare in mezzo a molte difficoltà e grosse perdite colle Belvedere, occupato durante il secondo giorno di combattimenti; su colle Abate, invece, i battaglioni algerini furono praticamente annientati[79]. Solo il 26 gennaio furono capaci di prendere colle Abate e ritrovarsi a ridosso di monte Cairo, ma lo slancio offensivo era ormai terminato mentre i tedeschi, rinforzati da un reggimento inviato dalla 71ª Divisione di fanteria (di recente formazione e che, da lì a pochi giorni, avrebbe dovuto dare il cambio alla 15ª Divisione granatieri corazzati[80]) e da un reggimento della 90ª Divisione granatieri corazzati[81], contrattaccarono e cacciarono i francesi da colle Abate. Non riuscirono però a respingerli oltre, perché si trattava di truppe di pianura non abituate al terreno montagnoso e senza l'equipaggiamento adatto; invece «le truppe coloniali si batterono qui, come altrove, con estremo accanimento e senza curarsi delle perdite» come scrisse il generale von Senger[82]. Secondo lo storico Eddy Bauer, tutto sommato, il Corpo francese aveva raggiunto lo scopo di spostare forze tedesche nel settore montano sottraendole da Cassino: seppur al costo di grosse perdite, i francesi attirarono circa i due terzi dei 44 battaglioni che in quel momento si opponevano alla 5ª Armata[81].
Poco più a sud, dopo un pesante martellamento di artiglieria, la 34ª Divisione tentò di stabilire alcune teste di ponte oltre il Rapido con due reggimenti, ma la prima notte entrambi i tentativi furono bloccati. Gli statunitensi insistettero nell'operazione finché nella notte del 30 gennaio il 168º Reggimento riuscì a passare, consolidando una piccola testa di ponte proprio mentre i francesi occupavano monte Cairo e le alture circostanti. Al contempo il 133º Reggimento era avanzato nella valle di Cassino. Queste due unità rinnovarono quindi gli attacchi alle colline dietro la cittadina e il generale Keyes inviò di rinforzo il 142º Reggimento della 36ª Divisione, in precedenza non utilizzato: si portò a destra delle forze del generale Ryder e si collegò al fianco sinistro del Corpo francese in una zona elevata facente parte di Montecassino; da qui i franco-statunitensi iniziarono a colpire le difese tedesche. A valle il 133º giunse alla periferia dell'abitato e intraprese furiosi combattimenti che si protrassero per giorni, appoggiato dai carri medi M4 Sherman della 1ª Divisione corazzata del generale Harmon, che cercavano di attraversare il Rapido e di avanzare lungo la Statale 6 verso la valle del Liri[83].
La battaglia si trascinò per diversi giorni tra pioggia e nebbia, con rapidi attacchi a livello di compagnia; consolidata una posizione appena conquistata, gli uomini si trinceravano in fretta per affrontare l'inevitabile contrattacco nemico, che spesso degenerava in rabbiosi scontri corpo a corpo combattuti con abbondanza di bombe a mano[84]. Il 4 febbraio i battaglioni di Ryder si erano avvicinati all'abbazia: due posizioni molto importanti, colle Sant'Angelo e Quota 593 (denominata "testa di Serpente") furono conquistate e di nuovo perdute in virtù del magistrale coordinamento delle difese attuato da von Senger: egli ritirò inoltre la 44ª Divisione e la rimpiazzò con la 90ª granatieri corazzati appena disimpegnata dal fronte meridionale, affidando al generale Baade il comando del settore[82]. I combattimenti dettero evidente dimostrazione delle capacità di resistenza dei tedeschi, che pure si stavano dissanguando al ritmo di un battaglione al giorno[84][85]. Nel frattempo il maresciallo Alexander era intervenuto direttamente a Cassino mediante l'invio del proprio capo di stato maggiore, allo scopo di sondare il morale dei soldati; scoperto che le truppe stavano «quasi per ammutinarsi», diede tempo al generale Clark fino al 12 febbraio per impegnare la 34ª Divisione a Cassino: se a quel punto la divisione non avesse ancora preso Cassino e l'abbazia, l'intero II Corpo statunitense avrebbe passato il compito al neocostituito Corpo d'armata neozelandese al comando del tenente generale Bernard Freyberg, che poteva contare su truppe neozelandesi e indiane richiamate dal settore adriatico. Clark ordinò quindi un ultimo tentativo per l'11 febbraio, ma l'offensiva si infranse alle prime battute dinanzi i decisi contrattacchi tedeschi. Casualmente, il 12 febbraio, von Senger aveva proposto a Kesselring il disimpegno da Cassino e il ripiegamento sulla cosiddetta "Linea C", situata a tergo della testa di ponte di Anzio: anche i tedeschi erano allo stremo delle loro forze ma, ormai, gli Alleati avevano perso qualsiasi spunto offensivo. Il 13 una brigata della 4ª Divisione indiana diede il cambio all'esausta 34ª Divisione sulla "testa di Serpente" non per continuare l'attacco, bensì per consolidare le posizioni. L'offensiva fu sospesa e von Senger poté mantenere le sue posizioni[86][87][88].
Le perdite alleate furono pesantissime. Tra il 17 gennaio e l'11 febbraio i britannici persero 4 000 uomini tra morti e feriti e, pur avendo consolidato una testa di ponte nel basso corso del Garigliano, le loro divisioni erano allo stremo. La sconfitta della 36ª Divisione sul Rapido costò 1 700 perdite e la 34ª Divisione, che aveva aperto una piccola breccia a nord di Cassino, conteggiò 220 tra morti e feriti. Il Corpo francese aveva compiuto l'avanzata più riuscita incuneandosi fra le montagne, ma aveva perso circa 2 500 uomini[89]. In pratica cinque divisioni alleate erano state messe completamente fuori combattimento, gran parte dei reparti di fanteria era ridotta a un quarto dei suoi effettivi[90] mentre i tedeschi, seppur provati, potevano reclamare una vittoria difensiva, facilitata dall'eccessiva rigidità tattica degli Alleati che permise a von Senger di spostare truppe ove necessario in virtù, anche, dell'inoperosità dell'8ª Armata del generale Leese sul versante orientale[91][92].
La seconda battaglia |
Il bombardamento dell'abbazia |
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«Quando il nemico ebbe deciso di includere Montecassino nel suo sistema difensivo, l'abbazia sulla vetta divenne inevitabilmente un bersaglio legittimo; infatti non si sarebbe potuto conquistare la montagna senza coinvolgere la sua cima: la guerra non si gioca fra le linee bianche secondo i fischi dell'arbitro» |
(E.D. Smith, Battle for Cassino[4]) |
Il campo di battaglia di Cassino era dominato dalla millenaria abbazia benedettina di Montecassino, la quale dominava la città a circa 526 metri s.l.m., e rappresentava un punto di riferimento storico e culturale molto importante per la cristianità in Italia e nel mondo. Il monastero inoltre conservava al suo interno migliaia di opere d'arte provenienti da Napoli, Capodimonte, Siracusa e diverse altre località, spostate all'interno dell'abbazia per salvaguardarle dalla furia dei combattimenti in corso nel sud Italia fin dall'estate del 1943. E se inizialmente il monastero venne ritenuto un luogo sicuro, in quanto la sua importanza storica lo avrebbe tenuto fuori dai combattimenti, nell'ottobre dello stesso anno per iniziativa di due generali tedeschi i manufatti artistici dell'abbazia vennero portati nella capitale[93]. Per decisione del generale tedesco Paul Conrath Montecassino si sarebbe trasformata in un centro di resistenza; nei primi giorni di febbraio sembrò che la battaglia avrebbe potuto risparmiare l'abbazia di Montecassino, ancora il 5, i monaci benedettini poterono assistere ai combattimenti a diverse centinaia di metri dall'abbazia. Ma l'avanzata degli Alleati tolse ogni residua speranza agli abitanti di Cassino che dovettero constatare come, nonostante le rassicurazioni di entrambi i belligeranti, il monastero venisse colpito sempre più spesso dall'artiglieria di entrambi gli schieramenti[94].
Agli inizi del dicembre 1943 i tedeschi avevano dichiarato "zona neutrale" una fascia di 300 metri intorno a Montecassino e non vi avevano stanziato alcun soldato, ma ciò non impedì loro di utilizzare le caverne vicino alle fondamenta come magazzini per le munizioni, distruggere le costruzioni attorno al monastero e a Cassino per migliorare il campo di tiro, posizionare tutt'attorno mitragliatrici, armi pesanti e punti d'osservazione per l'artiglieria: l'abbazia, di fatto, fu integrata nel fronte difensivo[94][95]. Secondo i resoconti dei monaci la "zona neutrale" fu abolita già il 5 gennaio 1944 e, durante la sua pur breve esistenza, l'abate Diamare ebbe diverse occasioni per lamentarsi delle violazioni tedesche; addirittura, il 26 dicembre, fu lo stesso generale von Senger (che il giorno precedente aveva presenziato con suoi ufficiali alla messa di Natale) a dare ordine di «allestire difese fino alle mura dell'abbazia, se necessario»[96]. A ogni modo furono evacuati anche gli sfollati presenti a Montecassino, fatta eccezione per tre famiglie troppo malate, Diamare e una mezza dozzina di monaci, tra cui l'abate Martino Matronola. Tuttavia l'intesificarsi della battaglia fece sì che diverse centinaia di civili si riversassero tra le mura del monastero, considerato l'unico luogo sicuro[97].
In campo alleato il maresciallo Alexander si dimostrò deciso a non allentare la pressione offensiva sul fronte di Cassino a dispetto del sanguinoso scacco subito, anche perché oggetto di pressioni da parte di Londra e Washington preoccupate dalla lentezza e dagli insuccessi nella campagna d'Italia[98]. Il 12 febbraio Alexander mise insieme il Corpo d'armata neozelandese al comando del tenente generale Freyberg e lo mise a disposizione della 5ª Armata: la grande unità era formata dalla 2ª Divisione neozelandese al comando del maggior generale Howard Kippenberger, dalla 4ª Divisione indiana del maggior generale Francis Tucker (che il 6 febbraio, per questioni di salute, cedette il comando al pari grado Harry K. Dimoline), dalla 78ª Divisione fanteria britannica al comando del maggior generale D.C. Butterworth (giunta al fronte solo il 17 a causa della neve che cadeva sul versante adriatico) e rimpiazzò temporaneamente il II Corpo d'armata statunitense[99]. La seconda offensiva ricalcava il piano di gennaio: la 4ª Divisione indiana avrebbe assaltato il monastero, liberato l'altura e sarebbe discesa nella valle del Liri, mentre la 2ª Divisione neozelandese avrebbe passato il Rapido appena a nord di Sant'Angelo, preso Cassino e aperto l'accesso alla valle alla 1ª Divisione corazzata che si sarebbe precipitata alla testa di sbarco di Anzio. Era opinione comune che, con forze fresche, l'operazione avrebbe avuto successo[100].
Fin dai primi giorni di febbraio Freyberg aveva avvertito il generale Clark che forse sarebbe stato necessario «buttare giù» il monastero e, il 12, presentò ufficialmente la richiesta dopo aver ricevuto diverse testimonianze circa la presenza di osservatori tedeschi nell'abbazia. Trovandosi ad Anzio, Clark fu avvertito dal suo vice, il maggior generale Alfred Gruenther, il quale gli trasmise il messaggio di Freyberg: «Voglio che sia bombardato [...] Gli altri obiettivi non contano, ma questo è di importanza vitale. Il comandante di divisione che conduce l'attacco lo ritiene un obiettivo essenziale e io sono completamente d'accordo con lui». Gruenther contattò Clark e tutti i comandi di terra statunitensi, nessuno dei quali trovava giustificato quel bombardamento[101][102]; il generale Keyes, anzi, ammonì a non procedere con il bombardamento perché il monastero distrutto avrebbe accresciuto il suo valore militare, in quanto i tedeschi si sarebbero sentiti liberi di farne una barricata[103]. Clark, nelle sue memorie, scrisse che se Freyberg fosse stato un suo subordinato avrebbe semplicemente respinto la sua richiesta, ma che «alla luce del desiderio degli inglesi di trattare i neozelandesi con molta diplomazia e con molto tatto»[104][N 3] era stato costretto a rimandare la decisione chiedendo il parere di Alexander. Questi diede istintivamente ragione al neozelandese affermando che «Quando i soldati stanno combattendo per una giusta causa e sono pronti ad affrontare anche la morte e la mutilazione, non si può permettere che dei mattoni e dell'intonaco, per quanto venerandi, abbiano un peso di fronte a vite umane»[102]. Clark rimaneva comunque l'unico a poter dare l'ordine esecutivo e, seppur contrario, cedette alle pressioni politiche e alla motivazione di Freyberg, che rincarò con due argomentazioni. Gli fece notare che se avesse rifiutato il bombardamento del monastero si sarebbe dovuto accollare la responsabilità di un eventuale fallimento dell'attacco; poi si richiamò alla "necessità militare" che il comandante supremo Eisenhower aveva postulato quale discrimine imprescindibile di fronte alla scelta se sacrificare i soldati alleati o salvaguardare l'eredità artistico-culturale italiana[105].
L'accenno alla "necessità militare" tolse ogni possibilità a Clark di opporsi a Freyberg e, dopo aver ricevuto l'approvazione dai vertici, il bombardamento dell'abbazia fu fissato per il 13 febbraio[106]. Il monastero era stato fondato nel VI secolo d.C. con spiccate funzioni difensivo-militari e perciò possedeva mura di notevole spessore, che si ergevano sulla roccia presentando una facciata liscia e insormontabile. L'unico ingresso era il portone principale. Poiché i bombardieri medi non potevano trasportare un quantitativo sufficiente di esplosivo a sbriciolare le massicce mura, si dovettero impiegare i quadrimotori Boeing B-17 Flying Fortress della forza aerea strategica; siccome erano apparecchi progettati per attacchi da alta quota, il bombardamento sarebbe dovuto avvenire in una giornata serena per mirare a un obiettivo tanto piccolo. Le difficoltà di coordinamento tra forze di terra e aeree erano state valutate, ma le tecniche per un'operazione del genere non erano ancora state ben sperimentate appieno: quindi si scartò l'idea di sincronizzare strettamente l'incursione aerea e l'offensiva terrestre[107].
Il maltempo costrinse a rinviare il bombardamento alla mattina del 15 febbraio; intanto, il 14, si fecero esplodere sopra l'abbazia proiettili di artiglieria contenenti volantini che avvisavano l'imminente distruzione del monastero. Quando la notizia arrivò agli sfollati alcuni fuggirono nelle grotte vicine, altri si ripararono nei sotterranei e altri furono rischiosamente evacuati nella notte dai tedeschi[108]. Alle 09:45 dell'assolato 15 febbraio la prima ondata di 142 B-17 della Fifteenth Air Force sganciò 253 tonnellate di bombe ad alto potenziale e incendiarie, seguita da una seconda ondata di 47 bimotori North American B-25 Mitchell e 40 bimotori B-26 Marauder della Mediterranean Allied Air Forces che sganciò altre 100 tonnellate di bombe a partire dalle 13:00. Gli attacchi aerei furono seguiti da un poderoso tiro di artiglieria. L'effetto sull'edificio fu drammatico: un tenente tedesco riferì che fu come se «[...] la montagna si fosse disintegrata, scossa da una mano gigantesca»[109] e lo stesso generale Clark scrisse che «Avevo visto l'antica abbazia solo da lontano, ma quella mattina mentre le salve tuonanti delle esplosioni parevano spaccare il monte, fui certo che non l'avrei mai più potuta vedere da vicino»[110]. Verso le 12:00 il generale von Senger inviò il seguente telegramma al generale von Vietinghoff: «La 90ª Divisione granatieri corazzati riferisce che l'Abbazia di Monte Cassino è stata bombardata il 15 febbraio alle 9:30 da 31 quadrimotori; alle 9:40 da 34; alle 10:00 da 18. I danni non sono stati ancora calcolati. L'attacco era stato preannunciato dal lancio di manifestini che asserivano, a giustificazione, che nell'interno dell'Abbazia vi erano armi automatiche. Il responsabile del settore di Cassino, colonnello Karl Lothar Schultz, comandante del 1° Reggimento di paracadutisti, a tal proposito riferisce che le truppe non avevano piazzato armi dentro il Monastero»[111]. Nel pomeriggio monaci e civili iniziarono a lasciare i loro rifugi, ma altri rimasero nascosti fra le macerie. Non si seppe mai quanti tra i civili affluiti a Montecassino (tra i 1 000 e i 2 000) siano rimasti uccisi; nel 1977 uno storico locale sostenne che perirono circa 230 persone e altre valutazioni hanno alzato il numero di diverse centinaia. Eppure tutte le testimonianze di coloro che rimasero coinvolti nel bombardamento concordano nel dire che la maggior parte dei profughi sopravvisse[112]. In ogni caso, le vittime furono unicamente civili e non fu mai raccolta prova di eventuali vittime tedesche[113].
Ovviamente i tedeschi utilizzarono il bombardamento a loro vantaggio sia militarmente che in ambito propagandistico. Le rovine dell'abbazia e le spesse mura perimetrali ancora in piedi furono rapidamente occupate dagli uomini di von Senger, e gli operatori dell'esercito inviarono a Berlino le riprese delle macerie fumanti che il ministro della propaganda del Terzo Reich, Joseph Goebbels, non esitò a utilizzare per dare credito al leit-motiv della barbarie alleata contro la missione civilizzatrice tedesca[114].
L'attacco del Corpo neozelandese |
Concluso il bombardamento emersero subito gravi falle nella pianificazione degli Alleati. In primo luogo le mura del monastero erano ancora intatte alla base, perciò non si era creato nessun facile accesso. In secondo luogo si ravvisò l'impreparazione delle truppe destinate a condurre l'assalto all'altura. Infatti il generale Dimoline, comandante della divisione indiana, aveva ripetutamente chiesto al generale Freyberg di rimandare l'attacco al 16 febbraio, perché pochi giorni prima i suoi uomini avevano avvisato che Quota 593 era saldamente in mani tedesche (e non statunitensi come si pensava): avevano perciò bisogno di più tempo per organizzarsi. Ma l'urgenza creata dal pericoloso contrattacco tedesco ad Anzio (operazione Fischfang), le favorevoli condizioni meteorologiche e il mancato coordinamento significarono l'accantonamento della richiesta[115]. Il bombardamento, anzi, prese del tutto alla sprovvista gli indiani e alcune loro compagnie, ancora stanziate in vista del monastero, riportarono perdite a causa degli ordigni. Nel pomeriggio del 15 febbraio Freyberg ordinò l'attacco all'abbazia, ma i comandanti al fronte si rifiutarono: spiegarono che, finché Quota 593 fosse stata presidiata dai tedeschi, qualsiasi movimento verso Montecassino sarebbe stato fermato dal fuoco di fiancheggiamento proveniente dall'altura. Fu dunque giocoforza affidare la conquista di Quota 593 agli uomini del battaglione "Sussex", programmato per l'imbrunire; fu preceduto da una seconda incursione sull'abbazia ma, dato che nessuno conosceva la reale consistenza dei difensori di Quota 593, gli indiani effettuarono un primo attacco alla cieca e furono respinti. Una seconda offensiva, scattata dopo aver ricevuto i rifornimenti portati dai muli lungo difficili mulattiere, si infranse contro i robusti capisaldi costruiti dai granatieri corazzati della 90ª Divisione tedesca[116] e costò grosse perdite. In quelle due notti più del 50% degli uomini del "Sussex" impegnati rimase ucciso o ferito[117].
In quegli stessi giorni la situazione della testa di ponte ad Anzio era peggiorata e, dunque, il generale Clark sollecitò Freyberg a rinnovare gli attacchi su Cassino pur di attirare riserve tedesche. Il generale neozelandese ordinò un nuovo assalto al monastero e simultaneamente un attacco nella valle del Liri da parte della 2ª Divisione neozelandese, a dispetto dei grossi problemi logistici: la divisione indiana doveva superare ripidi sentieri e scalare la roccia nuda, i neozelandesi furono ostacolati dall'inondazione artificiale della valle e dalla pioggia che, incessante dal 4 febbraio, aveva reso il terreno impraticabile; solo la direttrice del terrapieno ferroviario che portava alla stazione di Cassino era percorribile, seppur in parte distrutta e in larga parte minata. Perciò il comandante Howard Kippenberger decise di tentare l'assalto alla stazione con un solo battaglione, lasciando successivamente ai genieri il compito di riparare la strada e consentire ai mezzi corazzati e al resto della divisione di avanzare[118]. Il reparto scelto fu il tenace 28º Battaglione māori che, alle 21:30 del 17 febbraio, iniziò ad avanzare verso la stazione imbattendosi subito nei campi minati, nei reticolati e nel tiro delle mitragliatrici tedesche[119]. Dopo circa un'ora i māori raggiunsero il primo obiettivo, un edificio a sud della stazione, da cui avanzarono verso la stazione stessa: per un'ora vi infuriarono feroci scontri ravvicinati contro i paracadutisti tedeschi: «Quella notte fu tutto un corpo a corpo [...] non saprò mai come abbiano fatto i miei soldati a riconoscere uomini e cose. Era una notte completamente buia [...]» raccontò nel dopoguerra il capitano Monty Wikiriwhi, comandante di una compagnia[120]. Le prime luci dell'alba trovarono il battaglione attestato nella stazione ferroviaria e i genieri vicini al completamento del lavoro loro affidato che, tuttavia, non poté essere continuato durante il giorno sotto il tiro dell'artiglieria tedesca; i genieri dovettero ritirarsi e lasciarono i māori isolati. Il generale Kippenberger si trovò quindi di fronte a un dilemma: ordinare all'artiglieria di creare una cortina fumogena attorno alla stazione durante tutto il giorno (facilitando, però, anche eventuali puntate offensive tedesche) oppure mantenere le posizioni raggiunte e sperare che l'artiglieria alleata fosse capace di sostenerli alla bisogna. Kippenberger scelse il male minore e ordinò all'artiglieria di stendere una cortina fumogena, ma ciò non impedì ai tedeschi di contrattaccare supportati dai carri armati (tra cui alcuni M4 Sherman appena catturati); i māori furono sconfitti e costretti a ripiegare sui punti di partenza con gravi perdite: dei 200 uomini partiti all'attacco il 17 ben 130 erano rimasti uccisi o feriti[121][122].
Nel frattempo le truppe indiane si erano trovate in grosse difficoltà sul colli dell'abbazia. Ai tre battaglioni dell'11ª Brigata fu ordinato di passare le posizioni del "Sussex" e, nottetempo, attaccare di nuovo Quota 593 e avanzare verso l'abbazia, in modo tale da entrare a Cassino da settentrione e congiungersi con i māori. Quota 593 fu conquistata solo parzialmente da un pugno di Gurkha, ma le postazioni rivolte al monastero erano ancora saldamente in mano dei tedeschi che, quindi, potevano battere il terreno percorso dai reparti indiani alla volta dell'abbazia. Sottoposti a un terribile tiro incrociato da Quota 593 e da quelle davanti a loro, i Gurkha furono costretti a ritirarsi e con la luce del giorno si decise di rinunciare definitivamente all'attacco. Le perdite furono molto gravi: il 1º Battaglione del 9º Reggimento Gurkha (1/9) aveva perso 100 uomini, il 1/2 contò 149 vittime compresi quasi tutti gli ufficiali britannici; sorte peggiore toccò al 4/6 "Rajputana" con poco meno di 200 perdite, un duro colpo per una divisione considerata d'élite[123][124]. Il 18 febbraio la battaglia ebbe termine e i tedeschi rimasero i padroni del campo; per di più il generale von Senger poté trasformare i resti dell'abbazia in una fortezza inespugnabile[123]. Per i tedeschi si trattò di una netta vittoria difensiva, amplificata dai successi ottenuti ad Anzio dalla 14ª Armata negli stessi giorni, le cui unità stavano penetrando pur a fatica verso la costa; per un momento sembrò addirittura che gli Alleati dovessero evacuare la testa di ponte.[125]. Il bombardamento dell'abbazia è considerato un peccato grave ma, secondo lo storico Morris, non si trattò in sé di un grave errore tattico. La vera deficienza operativa fu la completa mancanza di coordinazione fra l'attacco aereo e quello terrestre[123].
La terza battaglia |
Il bombardamento di Cassino |
«Improvvisamente ebbi la sensazione di rivivere istanti già vissuti ventotto anni prima quando, solo e sperduto, mi capitò di attraversare il campo di battaglia della Somme» |
(Fridolin von Senger und Etterlin[126]) |
Su pressione dei vertici politici alleati e dello stesso generale Freyberg, il maresciallo Alexander si risolse a ordinare un nuovo attacco alla linea Gustav sempre allo scopo di alleggerire la pressione su Anzio. Freyberg mantenne come obiettivi il monastero e la statale nº6 ma organizzò l'offensiva perché calasse da nord, verso la città di Cassino e la collina del Castello (Rocca Janula) che sorgeva tra il monastero e la città stessa; difatti le sconfitte patite a Sant'Angelo, alla stazione e l'ancora inondata valle del Rapido forzarono la selezione di questa direttrice, l'unica percorribile per i mezzi corazzati. Dato che la città era pesantemente fortificata, Freyberg ordinò un bombardamento aereo e di artiglieria su larga scala che l'avrebbe distrutta e permesso ai neozelandesi di occuparla, aprendo l'accesso alla valle del Liri[127]. Dalla collina del Castello unità della 4ª Divisione indiana avrebbero investito i tornanti che conducevano all'abbazia e preso Quota 435 (Hangman's Hill, "Collina dell'impiccato") a meno di 300 metri dalle rovine, da dove sarebbero partiti gli attacchi per la conquista di Montecassino. Il 22 febbraio gli ultimi elementi della 34ª Divisione statunitense, rimasti nella parte nordorientale della città, ricevettero il cambio da unità neozelandesi che, a loro volta, cedettero alla 78ª Divisione fanteria britannica le posizioni davanti a Sant'Angelo[128]. Proprio questa unità, secondo Freyberg, avrebbe dovuto sfruttare il successo dei neozelandesi e penetrare (assieme al Combat Command B della 1ª Divisione corazzata) nella valle del Liri per ricongiungersi al VI Corpo d'armata statunitense ad Anzio[129].
La forza aerea sarebbe stata impiegata su una scala senza precedenti, nel tentativo di dimostrare che i bombardamenti strategici potevano non solo dare un contributo tattico, ma vincere addirittura una battaglia terrestre: lo scopo era fare strage dei difensori di Cassino e lasciare tramortiti i pochi sopravvissuti al punto tale di renderli incapaci di opporre resistenza[130]. Alexander e Freyberg si lasciarono conquistare da tale prospettiva; soprattutto quest'ultimo vide nella proposta operazione il modo migliore per contenere al massimo le perdite tra i connazionali[131]. Ma Clark espresse la propria perplessità[130] e lo imitò anche il tenente generale Ira C. Eaker dell'USAAF, comandante delle forze aeree nel Mediterraneo che, memore di quando avvenuto a Montecassino un mese prima, si dichiarò non troppo ottimista circa il previsto bombardamento. In una lettera al capo di stato maggiore dell'aeronautica a Washington, generale Henry Arnold, scrisse: «Non aspettarti una grande vittoria da questa operazione [...]», i bombardamenti «serviranno a poco se le forze terrestri non attaccheranno subito [...]». Non esistendo alternative plausibili, il piano di Freyberg fu accettato e il destino di Cassino segnato[132].
Tutto fu predisposto per il 24 febbraio[133] ma, per quasi tre settimane, la pioggia incessante costrinse gli Alleati a rimandare l'attacco. Durante questo stallo gli uomini furono tenuti nelle postazioni avanzate, esposti alle intemperie, al fango, al freddo e agli sporadici attacchi dell'artiglieria tedesca; entrambi gli schieramenti in attesa lamentarono problemi e perdite. La difficile situazione ebbe una clamorosa conferma il 2 marzo, quando il generale Kippenberger calpestò una mina su monte Trocchio e perse entrambi i piedi; inoltre, il maltempo persistente contribuì a ostacolare la già precaria distribuzione dei rifornimenti e, addirittura, i soldati appostati sulle linee più elevate e più esposte alla pioggia torrenziale non poterono godere né di ripari, né di pasti caldi per giorni interi[134]. Anche il versante tedesco soffriva gravi carenze logistiche: molti degli uomini non erano abituati al terreno montagnoso, erano inesperti nel trattare i muli e avevano grossi problemi a portare in quota i viveri caldi, inoltre mancavano barellieri e soprattutto i rincalzi[135]. Il generale von Senger fu costretto a creare diversi capisaldi piuttosto che una linea continua di posizioni[136] e diminuire l'organico delle compagnie in prima linea, in modo tale da scaglionare in profondità gli uomini e mettere insieme riserve[137]. Nonostante il fuoco continuo dell'artiglieria alleata, che di giorno batteva i tragitti per gli approvvigionamenti, i tedeschi continuarono a rafforzare le posizioni difensive nei dintorni e dentro l'abbazia; l'ormai distrutto monastero si rivelò un formidabile punto d'osservazione per l'artiglieria tedesca[138]. Nel frattempo, un battaglione alla volta, gli uomini dell'esperta 1ª Divisione paracadutisti (soprannominat i dagli Alleati i Green Devils, "Diavoli Verdi") si affiancarono al 1° Reggimento paracadutisti che già combatteva a Cassino, andando a sostituire la 90ª Divisione granatieri corazzati, il cui settore fu affidato il 26 febbraio al maggior generale Richard Heidrich, comandante della 1ª Divisione[139]. I paracadutisti rappresentavano una forza d'élite dell'esercito tedesco, una divisione ben addestrata, motivata e indottrinata; von Senger ne era consapevole e infatti le lasciò ampia libertà d'azione[140].
Il 14 marzo il cielo si schiarì abbastanza da consentire l'attacco per il giorno seguente e, nella notte, le truppe alleate di prima linea furono ritirate senza che i tedeschi se ne accorgessero. Intorno alle 08:00, dopo che i più alti gradi delle forze alleate si erano riuniti presso Cervaro per assistere all'operazione[141], giunsero sulla città i primi apparecchi e per le successive quattro ore 575 bombardieri medi e pesanti e 200 cacciabombardieri, la più imponente forza aerea mai raccolta nel teatro di guerra del Mediterraneo, sganciarono oltre 1 000 tonnellate di esplosivo ad alto potenziale su circa 2,6 chilometri quadrati di campagna[142].
La cittadina aveva già sofferto duramente i combattimenti precedenti, ma questa volta fu completamente demolita, anche se solo circa la metà delle bombe colpì il bersaglio. Al termine del bombardamento 748 pezzi spararono sulla cittadina e sul monastero 195 969 proietti di ogni calibro. A metà pomeriggio molti cannoni tacquero, ma l'abbazia in rovina continuò a essere colpita per il resto della giornata e fino alle prime ore del giorno successivo[143]. Perfino Freyberg rimase colpito dalla «terribile unilateralità dello spettacolo», ma il giornalista statunitense Christopher Buckley, che il 1º settembre 1939 era a Varsavia, scrisse: «Ricordo, per averlo visto con i miei occhi, chi ha la responsabilità di avere sguinzagliato questa spaventosa arma»[144].
Dei circa 300 uomini del 3º Reggimento paracadutisti annidati a Cassino, almeno la metà rimase uccisa o ferita e molti dei sopravvissuti approfittarono della pausa tra l'incursione aerea e il cannoneggiamento per rifugiarsi nelle fognature, imitando i pochi civili che ancora non avevano abbandonato la città[143]. Anche in questo caso, però, il fuoco amico fece registrare molte perdite tra le file alleate: qualche ordigno cadde sulla 4ª Divisione indiana, sulla 3ª Divisione marocchina e su un accampamento polacco, per complessivi circa 100 morti. Inoltre centinaia di bombe furono rilasciate per errore su Venafro, Isernia, Pozzilli, Montaquila e Cervaro causando decine di morti tra la popolazione civile[145]. Intorno alle 14:00, seguendo il fuoco di sbarramento dell'artiglieria, due compagnie del 25º Battaglione neozelandese appoggiate da alcuni Sherman del 19º Reggimento corazzato iniziarono ad avanzare verso la collina del Castello. Imboccarono da nord via Caruso con l'intenzione di sgomberare la città, ma fin da subito si accorsero che l'avanzata sarebbe stata molto più difficile del previsto: non appena concluso il bombardamento aereo, i paracadutisti della guarnigione emersero dai loro rifugi e offrirono una solida resistenza. Inoltre le immani devastazioni facilitarono i difensori, perché gli enormi crateri e i giganteschi ammassi di macerie costringevano gli attaccanti a passare attraverso stretti passaggi. La riuscita del piano di Freyberg aveva poggiato sulla rapidità delle prime puntate offensive terrestri, mentre i tedeschi erano ancora frastornati e confusi, ma fin da subito si capì che le cose sarebbero andate diversamente[146].
L'offensiva attraverso la città |
I combattimenti tra tedeschi e neozelandesi si fecero subito accaniti. I primi fanti, protetti da un cortina fumogena, avanzarono per liberare gli edifici alla base della collina del castello, da dove avrebbero tentato di impadronirsi dell'Hotel Continental, un edificio leggermente sopraelevato che sorgeva alla svolta a sinistra della statale n.6 attraverso Cassino; nel frattempo i genieri e i bulldozer cercavano di aprire vie percorribili per i carri armati. I movimenti e gli scontri, però, andarono a rilento e a metà pomeriggio i tedeschi iniziarono un pesante bombardamento d'artiglieria sui quartieri settentrionali, concentrando il tiro lungo proprio su via Caruso, dove i bersagli si ammucchiavano nel tentativo di accedere alla cittadina[147].
Verso sera, a peggiorare la situazione, iniziò una pioggia torrenziale non prevista dal servizio meteorologico che riempì d'acqua le buche; arrivarono rinforzi, ma la resistenza tedesca non fu spezzata. Al calare della notte il centro di Cassino e la collina del Castello erano in mano alle forze neozelandesi, seppure ancora esposte al tiro dei tedeschi. Asserragliati all'interno di Rocca Janula, i neozelandesi furono raggiunti con circa due ore di ritardo rispetto a quanto preventivato dal battaglione "Essex" della 4ª Divisione indiana, che avrebbe dovuto risalire la collina del Castello fino alla "Collina dell'impiccato" e quindi attaccare il monastero: il battaglione era stato gravemente ostacolato dalla pioggia, dall'oscurità e dai capisaldi tedeschi ancora attivi ai piedi della collina[148].
Prima che gli elementi dell'"Essex" potessero raggiungere la vetta e dare il cambio ai neozelandesi, sopraggiunse la mezzanotte e i piani di attacco all'abbazia sfumarono; di conseguenza le compagnie di retroguardia si ritrovarono allo scoperto quando il bombardamento tedesco contro la collina del Castello ebbe inizio. I fucilieri del 1º/6º "Rajputana" furono messi fuori combattimento ancor prima di entrare in azione e dovettero attaccare di notte e con forze esigue Quota 235 (posizionata tra i tornanti che conducono al monastero)[149]. Gli indiani si lanciarono in avanti intorno alle 04:30 del 16 marzo e, dopo svariati attacchi infruttuosi durati tutta la notte, al mattino furono affiancati da alcune compagnie Gurkha che consentirono di continuare gli attacchi lungo i tornanti del monastero. Riuscirono così a distrarre i tedeschi dall'infiltrazione di alcuni plotoni del 1º/9º Gurkha verso la Collina dell'impiccato[150].
Le conquiste del primo giorno si rivelarono modeste e incapaci di fornire una solida base per proseguire l'offensiva. Il generale Kippenberger fu rimpiazzato dal maggior generale Beresford Parkinson, che inviò altre compagnie del 25º e 26º Battaglione della 5ª Brigata. La città dovette essere rastrellata strada per strada ma, in quel tipo di combattimento, i neozelandesi non poterono sfruttare la superiorità d'artiglieria di cui godevano; al contrario i paracadutisti tedeschi si giovarono del mare di rovine che era diventata Cassino: le vie erano sparite sotto le macerie, non esistevano punti di riferimento e le uniche costruzioni identificabili (la stazione, l'Hotel Continental e l'Hotel des Roses) erano saldamente occupati da loro[151]. Nel frattempo era cominciata una intensa lotta che durò alcuni giorni per la posizione chiave di Hangman's Hill e lungo i tornanti del monastero. Trincerati nell'abbazia sventrata, i tedeschi segnalavano ogni movimento dei nemici alle sezioni mortai e i cecchini imponevano ai soldati attaccanti un vero e proprio stillicidio; anche di notte i tiratori scelti e le bombe colpivano i barellieri e rendevano difficili i rifornimenti[152].
Ai piedi della collina del Castello, i neozelandesi continuavano a combattere tra le rovine della città: il 16 marzo alcuni carri armati furono capaci di arrivare a breve distanza dalla statale n.6 grazie anche al prodigioso lavoro dei genieri e, a fine giornata, i due terzi di Cassino erano in mano alleata; il giorno seguente fu occupato quello che rimaneva del giardino botanico e il 26º Battaglione riprese il possesso della stazione[153]. A quel punto la resistenza tedesca era stata circoscritta all'Hotel Continental e all'Hotel des Roses ma, fintanto che fossero rimasti in mano ai paracadutisti, l'accesso alla statale e al monastero sarebbero stati preclusi. I combattimenti dunque proseguirono fino al 18 marzo ma ogni assalto fu contenuto dai tedeschi, costringendo il generale Freyberg a giocare la sua ultima carta la mattina seguente: il battaglione māori. Il 19, mentre i Gurkha e gli uomini dell'"Essex" avrebbero condotto un nuovo assalto al monastero, il battaglione e 35 carri armati sarebbero avanzati lungo il percorso approntato dai genieri durante il periodo di stallo, che da Caira portava fin sotto il massiccio alla fattoria Albaneta[154].
La collina del Castello |
Anche i tedeschi si resero conto del pericolo e dell'importanza cruciale della collina del Castello, che non solo sovrastava la parte settentrionale della città ma era fondamentale per gli sforzi alleati contro le quote superiori. Il 18 marzo, anticipando le intenzioni di Freyberg, i tedeschi passarono al contrattacco sia verso la stazione sia verso Rocca Janula[154]. L'attacco alla stazione fallì ma fu un duro colpo per i neozelandesi che, fino a quel momento, credevano i tedeschi ormai spacciati; anche quello contro la collina del Castello mise in seria difficoltà le forze di Freyberg. Circa 300 uomini del 1º Battaglione paracadutisti, partendo dal monastero, si lanciarono giù per collina assaltando le posizioni dell'"Essex" e dei "Rajputana" nel vecchio castello. Di conseguenza il battaglione Gurkha a Quota 435, Hangman's Hill, rimase isolato e nei giorni successivi dovette resistere da solo alla pressione dei paracadutisti[155]. I combattimenti sulla collina Castello furono molto duri, tra violenti assalti e scontri corpo a corpo anche all'interno del cortile del Castello, dove in un paio di occasioni i tedeschi riuscirono a penetrare per poi essere sanguinosamente respinti dal fuoco delle armi automatiche dei difensori. La ferocia di questi combattimenti e la precaria situazione degli uomini sulla collina del Castello costrinsero a rinviare l'attacco alla fattoria Albaneta, ma non pervenne alcun contrordine al reparto di carristi. I mezzi corazzati mossero in avanti ma, senza il supporto della fanteria, per i tedeschi fu facile colpirli ripetutamente da posizioni vantaggiose; una dozzina di carri fu messa fuori combattimento e i rimanenti ricevettero l'ordine di ripiegare. Fu così messa a nudo, ancora una volta, la mancanza di coordinamento tra i comandi alleati inferiori e questa manchevolezza fu ben descritta nel diario storico della 4ª Divisione indiana: «accadde ancora una volta che un pugno colpisse mentre l'altro braccio penzolava inerte»[156].
Il 20 marzo la battaglia era ormai in stallo e il generale Clark, che fino a quel momento si era limitato a criticare l'operato di Freyberg, insistette perché il Corpo neozelandese compisse un ultimo sforzo. Il comandante della 5ª Armata era da poco venuto a conoscenza che il maresciallo Alexander stava preparando un nuovo piano, che prevedeva il trasferimento dell'8ª Armata britannica dal fronte adriatico per concentrare il peso combinato delle due armate in un'unica poderosa offensiva sul fronte di Cassino. Quando ciò sarebbe avvenuto, Cassino non sarebbe più stata una battaglia della sola 5ª Armata[157]. Gli scontri nel frattempo si trascinarono per altri due giorni e il 22 marzo Clark diede a Freyberg altre 36 ore per provare a conquistare l'abbazia. Diverse compagnie del 2º Battaglione fucilieri Gurkha e il 6º Battaglione "Royal West Kent" attaccarono i tornanti, ma furono nuovamente respinti; un'ennesima offensiva dei neozelandesi contro l'Hotel Continental fallì a sua volta; le due divisioni erano ormai allo stremo[157]. Il 23 marzo fu deciso di ritirare le truppe isolate da giorni dalla Collina dell'Impiccato e fermare l'offensiva[158] ma gli aspri combattimenti di Cassino avevano minato pesantemente anche il morale dei neozelandesi, tanto da portare la divisione sull'orlo della disgregazione. Le posizioni non abbandonate dagli indiani furono affidate alla 78ª Divisione britannica e la grande unità indiana, ormai decimata, fu ritirata e spostata sull'Adriatico: «la 4ª Divisione ha perso più di una battaglia» scrisse Tucker «[...] aveva perso parte della propria sostanza»[159]. Il terzo attacco a Cassino in undici giorni causò circa 2 500 perdite nel Corpo neozelandese, quasi il doppio di quelle tedesche; la più martoriata fu la divisione indiana che da metà febbraio, fra morti e feriti, aveva avuto circa 4 000 vittime[160].
Anche la terza battaglia si era conclusa con una sconfitta tattica per gli Alleati e con una vittoria difensiva dei tedeschi; questi ultimi, tuttavia, pagarono un prezzo terribile per contrastare gli Alleati e i loro battaglioni furono ridotti a una consistenza variabile fra i 40 e i 120 uomini[161]. Questa battaglia, passata alla storia come episodio controverso, fu giudicata dal generale von Senger come «difficilmente comprensibile»[162]. Dopo gli attacchi del dicembre 1943 del generale Juin e i tentativi del generale McCreery a gennaio contro l'ala destra del XIV Corpo corazzato, i comandi alleati avevano deciso di concentrare l'attacco contro il caposaldo di Cassino, l'unica zona che avrebbe teoricamente consentito l'utilizzo massiccio delle forze corazzate ma anche il punto ove le opere difensive tedesche erano più dense[163] Il principale scopo dell'attacco, ossia alleviare la pressione su Anzio, non era neppure più così rilevante quando fu lanciato l'assalto, dato che la situazione sulla testa di ponte era ormai stabilizzata: ciò ha contribuito soltanto a moltiplicare le perplessità in merito alla terza battaglia di Cassino[164]. Dopo il fallimento delle prime due offensive Freyberg, sempre assillato dal problema di contenere le perdite, continuò a essere restio a impegnare le proprie riserve e decise di insistere con una manovra a tenaglia e ad affidarsi all'aeronautica, nonostante la distruzione dell'abbazia avesse già evidenziato che i bombardamenti intensivi non avevano scardinato il fronte tedesco (oltre a generare cumuli di macerie che ostacolavano gli stessi attaccanti)[162]. La mancanza di fantasia operativa nei comandi alleati facilitò il compito dei difensori, i quali potevano ora contare sulle truppe più combattive dell'esercito tedesco plasmate nel fanatismo e nel credo nella causa hitleriana, ma anche da uno spirito di corpo e da un addestramento superiore alla media[165][139]. I tedeschi dislocati a Cassino poterono sfruttare gli insegnamenti di Stalingrado circa i combattimenti a distanza ravvicinata e l'utilizzo di pochi e isolati carri armati, i quali venivano mimetizzati per colpire a distanza ravvicinata i mezzi nemici per poi ritirarsi dalla scena[166]. Quale risultato della battaglia si ebbe un miglioramento del morale dei paracadutisti tedeschi, che si dissero orgogliosi della tenacia dimostrata durante i combattimenti contro un nemico più potente[167]; ma von Senger non si fece illusioni. Unita alla scarsità di mezzi, la completa assenza della Luftwaffe dal campo di battaglia era ancor più grave per i tedeschi e il generale sapeva bene che, quando il nemico sarebbe riuscito a tornare alla guerra di movimento, lo spostamento notturno delle riserve non sarebbe stato più sufficiente: i movimenti a quel punto sarebbero dovuti avvenire di giorno, sotto il totale e irresistibile dominio alleato dei cieli[168]
Così osservò A. C. Philipps nella sua Storia ufficiale della seconda guerra mondiale redatta per il governo neozelandese: «Nessun generale competente avrebbe scelto nel marzo 1944 la città di Cassino come obiettivo d'attacco sulla scorta di considerazioni puramente militari. L'idea stessa di conquistare d'assalto in pieno inverno la più salda fortezza esistente in Europa con un solo corpo d'armata e senza l'aiuto di operazioni in altri punti, destinate a distrarre l'avversario, gli sarebbe parsa poco conveniente»[169]. Gli alti comandi alleati, a Cassino, si segnalarono per la mancanza di idee brillanti. Freyberg e gli altri generali del Commonwealth erano insofferenti nei confronti di Clark per la sua presunta noncuranza a riguardo delle perdite, ma la strategia della guerra di logoramento fu soprattutto frutto della volontà di Alexander. Dal canto loro i comandanti britannici continuavano a considerare il carro armato l'arma decisiva, ma l'orografia dell'Italia creava solo congestione, caos e ritardi; la linea Gustav dimostrò ancora una volta come l'antico principio, secondo il quale l'attaccante deve godere di un vantaggio numerico minimo di tre a uno, era ancora validissimo su un terreno montagnoso: il generale Freyberg al contrario non raggiunse mai nemmeno la proporzione di due a uno[170]. Solo con la conclusione del terzo assalto Alexander prese in considerazione quello che i generali Juin e Keyes suggerivano da mesi, ossia compiere un'ampia manovra di aggiramento condotta su un terreno accessibile ad almeno due divisioni agili e ben equipaggiate[171].
La sospensione dei combattimenti e le retrovie |
Alla fine di marzo a Cassino iniziò una situazione di stallo: la linea del fronte dal Garigliano passava ora attraverso la città distrutta, e il Castello era in mano agli Alleati; più in alto il disagevole saliente che dalla Testa di Serpente passava verso monte Castellone e colle Abate era ancora in possesso delle forze alleate, nonostante in alcuni punti i capisaldi nemici si trovassero a poche decine di metri di distanza[172]. Qui, a nord di Cassino, durante il periodo di stallo anche le truppe francesi furono rimpiazzate dai britannici della 4ª Divisione dell'8ª Armata e successivamente dai neozelandesi, che così ebbero modo di riposare dopo i duri scontri nella cittadina[173].
Le retrovie alleate |
Dietro questa linea la popolazione di Cassino e delle immediate retrovie continuava a soffrire e a patire enormi disagi. Oltre alle numerose vittime causate dal fuoco di entrambi gli schieramenti, una delle cause di morte tra i civili di Cassino fu la malaria, malattia che si era propagata a causa dell'inondazione provocata dai tedeschi della vallata del Rapido, che con tutti i cadaveri di animali ed esseri umani si era riempita di zanzare. Se i soldati disponevano di alcune forme di protezione dalla malattia, i civili ne erano completamente in balia e accusarono diverse morti anche dopo la fine dei combattimenti[174]. Nel frattempo, nelle retrovie alleate iniziarono a diffondersi tra la popolazione le prime notizie delle cosiddette "marocchinate", violenze e stupri di massa commessi dalle truppe nordafricane francesi, in particolare i goumier (le truppe da montagna marocchine irregolari, utilizzate sempre più massicciamente dal corpo d'armata di Juin). Il generale Juin ricevette numerose proteste sul comportamento dei suoi uomini; successivamente persino il papa Pio XII intervenne, e nei giorni che seguirono lo sfondamento della Gustav fu impedito alle truppe alleate «di colore» l'ingresso a Roma[175]. Norman Lewis, in qualità di ufficiale dell'intelligence della 5ª Armata, riferì di numerose brutalità e stupri indiscriminati compiuti da soldati genericamente identificati come nordafricani, che dopo aver disertato si erano spinti in diverse zone delle retrovie del fronte, fino ad Afragola, aggiungendo nella popolazione altro terrore a quello dei combattimenti e delle privazioni[176].
Il racconto di tali violenze è però, soprattutto, il risultato di una mediazione culturale, sociale e politica, in cui si intrecciarono credenze popolari, superstizioni e distorsioni della realtà[177]. Una testimone raccontò di «soldati scuri di pelle che indossavano gonnellini come divisa», e molto spesso nelle memorie delle donne abusate si tese a confondere soldati di diverse nazionalità, come indiani e mongoli, definiti indistintamente tutti «marocchini»[178]. Parallelamente nacque in quei territori un'immagine stereotipata del soldato tedesco: seppur nei mesi precedenti i tedeschi stessi avevano causato enormi stenti e privazioni alle popolazioni, ciò fu in un certo senso giustificato a posteriori attribuendolo a esigenze militari, concetto che nelle popolazioni rurali era più facilmente comprensibile rispetto alla violenza immotivata degli Alleati[179]. Tali accuse assunsero nei mesi successivi una certa consistenza, al punto da dover essere analizzare con particolare attenzione e cautela: il corrispondente del Daily Telegraph Leonard Marsland Gander osservò che «I goumiers sono diventati una leggenda, oggetto di aneddoti di cattivo gusto [...] non c'è resoconto dei loro stupri o di altre malefatte che non sia troppo strampalato per essere riferito come vero»[180].
Per le truppe alleate al fronte di Cassino, Napoli divenne una sorta di miraggio, che ai soldati anglo-statunitensi aveva molto da offrire nonostante la condizione alimentare della popolazione civile fosse critica. I ristoranti sul lungomare erano aperti, il Teatro di San Carlo rimasto indenne dalle distruzioni offriva spettacoli e si potevano fare gite fino a Capri. Per alcuni andare in licenza a Napoli era come «[...] passare dall'atmosfera di un incidente stradale direttamente dentro un cabaret volgare e rumoroso»[181]. Ma la popolazione continuava a soffrire la fame: il giornalista Alan Moorehead fu scosso dalla povertà, dalla prostituzione e dalla criminalità sfacciata[182], Norman Lewis annotò come «dai pali del telegrafo alle fiale di penicillina, nulla sembrava troppo grande o troppo piccolo per sfuggire alla cleptomania dei napoletani»[183]. Questo era dovuto soprattutto alla miseria e alla prostrazione portata dalla guerra, alla quale gli Alleati cercarono di porre rimedio, a Napoli e in altri centri urbani, con politiche d'emergenza a favore della popolazione nella misura in cui queste fossero compatibili con le proprie finalità militari[184]. Con questa logica l'amministrazione militare si impegnò a garantire alla popolazione civile l'indispensabile per la sopravvivenza e il mantenimento della sicurezza pubblica, concentrandosi quindi sul ripristino del porto, dell'impianto idrico, elettrico e della rete ferroviaria, ossia elementi vitali per sostenere lo sforzo bellico[184]. Ma il soddisfacimento delle esigenze alimentari fu deludente, e il mercato nero fiorì; nell'aprile del 1944, il bollettino dello Psychological Warfare Bureau stimò che il 65% del reddito pro-capite dei napoletani provenisse dai traffici in forniture alleate rubate[185][186]. Per i soldati stanchi e demoralizzati provenienti da Cassino, Napoli rimaneva comunque la meta più ambita, dove le visite ai bordelli divenne l'occupazione principale. L'esercito dovette riempire la città di "stazioni di profilassi", ma ciò non impedì un'epidemia di gonorrea a marzo contenuta con difficoltà[187], così come con difficoltà si dovette fronteggiare anche un'epidemia di Tifo esantematico che investì la città a fine 1943 e si protrasse nei primi mesi del 1944. A questa emergenza le autorità alleate reagirono energicamente con l'impiego su vasta scala del DDT, grazie al quale si poté debellare l'epidemia e tenere al sicuro i soldati sottoponendoli a misure preventive[188].
Le retrovie tedesche |
Se le grandi e piccole città del sud Italia si trovavano in condizioni forse più difficili di quanto lo fossero sotto l'occupazione tedesca, le città italiane nel territorio della Repubblica Sociale Italiana a nord della Gustav e dotate di qualche importanza commerciale, oltre a subire l'occupazione e la repressione tedesca, erano anche regolarmente bombardate dall'aviazione alleata[189]. In particolare a Roma, situata nel cuore delle immediate retrovie tedesche, era finito il tempo degli entusiasmi che seguirono gli sbarchi di gennaio, quando per giorni migliaia di romani aspettarono speranzosi il celere arrivo delle truppe anglo-statunitensi. Gli scontri di Anzio e Cassino si erano arenati e la speranza di una imminente liberazione di Roma era svanita[190]. Nel contempo l'occupazione della capitale da parte delle forze tedesche si radicalizzò, soprattutto per quanto riguardava la persecuzione degli ebrei. L'inverno fu «lungo e fosco» per i romani non minacciati di sterminio; in città si erano riversati centinaia di migliaia di sfollati, l'elettricità funzionava a singhiozzi e interi quartieri rimanevano al buio per giorni, la tubercolosi e la mortalità infantile crescevano vertiginosamente, mentre i combattimenti lungo la Gustav impedivano l'arrivo di grano dal sud Italia e la sistematica distruzione delle vie di comunicazione da parte dell'aviazione alleata rendeva difficoltoso l'arrivo di generi alimentari verso la capitale[191].
I prezzi quadruplicarono in fretta e i romani iniziarono a patire pesantemente la fame: le razioni disponibili erano sempre più esigue e i tumulti della popolazione vennero in alcuni casi soppressi nel sangue dai tedeschi. In quella fase della guerra la Germania era disperatamente a corto di manodopera e gli uomini iniziarono a venire rastrellati per essere mandati a lavorare nel Reich tedesco; nel mentre in via Tasso, sede della Gestapo, le SS torturavano i prigionieri catturati anche grazie all'azione delle milizie fasciste, soprattutto della Banda Koch, che catturava e interrogava sotto tortura partigiani, dissidenti politici o semplici sospettati[192]. Parallelamente nel marzo 1944 i gruppi della Resistenza avevano cominciato a coordinare la loro attività e, sotto la guida degli Alleati, iniziarono a bersagliare le linee di comunicazione tedesche che portavano ai fronti di Cassino e Anzio[193].
Ufficialmente Roma era "città aperta", ma di fatto i tedeschi si servirono della città come un ganglio vitale per le loro linee di comunicazione verso il fronte e vi installarono comandi e distaccamenti oltre che praticarvi una violenta repressione contro la popolazione. A loro volta gli Alleati bombardavano quelli che ritenevano legittimi obiettivi militari, come i depositi delle stazioni e i magazzini dei rifornimenti, ma lo fecero con la precisione che gli strumenti dell'epoca consentivano, suscitando così indignazione tra la popolazione[193]. I romani di sesso maschile passarono in buon numero alla clandestinità quando i rastrellamenti tedeschi si fecero più intensi, e per le retrovie tedesche Roma divenne una vera e propria spina nel fianco. Gli episodi di resistenza all'occupante crebbero di numero e intensità fino a raggiungere il loro culmine il 23 marzo 1944 con un'azione contro un distaccamento di polizia tedesca che marciava verso il Viminale lungo via Rasella, nel cuore della città[194]. A tale azione seguì la feroce rappresaglia delle Fosse Ardeatine, figlia della rabbia e della paura di un'insurrezione generale della città contro l'occupante da reprimere immediatamente nel sangue: 335 persone, molte delle quali prelevate da via Tasso e dal carcere di Regina Coeli con la collaborazione attiva del funzionario di polizia Pietro Caruso, furono assassinate dai tedeschi[194][195].
La circostanza che l'attentato di via Rasella fu compiuto nello stesso giorno in cui sul fronte di Cassino, dopo giorni di stallo, furono sospesi i combattimenti è indicativa della mancanza di coordinamento dell'offensiva partigiana a Roma con lo sviluppo delle operazioni militari alleate. L'eccidio della Fosse Ardeatine segnò una forte battuta d'arresto della Resistenza romana, che – anche a causa di un'efficace azione repressiva condotta dagli occupanti nei mesi successivi – avrebbe poi fallito nell'organizzare l'insurrezione popolare all'arrivo degli Alleati[196]. Inoltre, nello stesso mese i tedeschi approfittarono della sospensione dei combattimenti per destinare forze a una violenta ed efficace operazione antipartigiana nelle province di Terni, Perugia e Rieti, che portò alla ritirata delle formazioni partigiane, tra cui la Brigata Garibaldi "Antonio Gramsci"[197]. Nell'ambito di tali operazioni i tedeschi commisero diversi massacri, tra cui la strage di Leonessa (2-7 aprile) e l'eccidio delle Fosse Reatine (9 aprile).
L'ostilità dei romani all'occupazione tedesca peraltro rispecchiava quella del resto della popolazione del nord Italia, dove nella primavera del 1944 crebbero gli episodi di resistenza e azioni di sabotaggio lungo le linee tedesche, che impegnarono sempre più uomini della Wehrmacht e della RSI. A maggio i partigiani erano più di 70.000 (in confronto dei 10.000 di inizio anno) che operavano in una trentina di zone del nord; secondo Alexander, il 22 maggio i patrioti «tenevano ormai in scacco» sei divisioni tedesche[194]. Lo stesso Kesselring dovette ammettere che durante la lotta anti-partigiana in Italia «la quota di perdite da parte tedesca è stata assai più elevata di quella delle bande»[198], e che il grande pericolo che i partigiani rappresentavano per un'eventuale ritirata delle due armate tedesche dalla Gustav dovesse porre la lotta contro le formazioni partigiane «sullo stesso piano della guerra al fronte», con l'impiego di ogni mezzo bellico[199]. A ciò si unì la poderosa offensiva aerea alleata contro le linee di comunicazione nel nord Italia (Operazione Strangle), durante la quale furono effettuate oltre 50.000 missioni sganciando 26.000 tonnellate di bombe. A metà aprile erano stati distrutti ventisette ponti, mentre la linea ferroviaria Firenze-Roma era stata colpita in ventidue punti. Ogni stazione, ponte, officina per riparazione delle locomotive e treno parcheggiato erano obiettivi, e a metà aprile gli Alleati avevano ormai bloccato tutte le linee per Roma, sicché i rifornimenti dovevano proseguire da Firenze a Roma su camion. Ai primi di aprile Kesselring ordinò che i convogli viaggiassero solo di notte, ma l'allungarsi delle ore di luce non consentiva di percorrere la tratta in una sola volta, e in molte occasioni un viaggio di trecento chilometri fra andata e ritorno veniva svolto in una settimana[200]. La guerra aerea complicò il sistema logistico tedesco e intaccò la sua capacità di resistere a un'offensiva terrestre di lunga durata, ma gli stessi comandi alleati dovettero constatare come i bombardamenti, da soli, non erano in grado di sconfiggere un esercito ordinato e disciplinato seppur privo di supporto aereo[201].
Tutto ciò si rifletté sotto il profilo dei rifornimenti che i soldati tedeschi potevano avere sul fronte di Cassino. Qui la situazione dei tedeschi era ben peggiore, per quanto possibile, rispetto a quella degli Alleati, i quali potevano disporre di munizioni di artiglieria in abbondanza per tempestare di proiettili lo stretto passaggio noto come Death Valley, che dalle retrovie tedesche portava all'abbazia. Durante il giorno la continua ricognizione aerea della 5ª Armata scatenava bombardamenti su chiunque si arrischiasse a percorrere quel sentiero durante il giorno. Il paracadutista Werner Eggert ricordò come «la nostra situazione per quanto riguarda l'acqua potabile era precaria» e di come «[...] molti dei nostri uomini morirono nel corso di quella salita di un'ora o della discesa, che ne richiedeva mezza»[202]. I furieri tedeschi lamentavano mancanza di disinfettanti, sapone, insulina, cerotti, insetticidi nonché penuria di foraggio, ferri e chiodi per i cavalli. Verso la fine dell'inverno erano iniziati a scarseggiare prima i fusti per il carburante, poi il carburante stesso si era dimezzato, tanto che i meccanici cercarono di ricavarlo dalle vinacce e dall'acetone delle fabbriche di vernici; la velocità degli automezzi fu ridotta da sessanta a quaranta chilometri orari e si sperimentarono addirittura ruote di legno per risparmiare gli pneumatici[203].
Riorganizzazione e preparazione |
«Soltanto i numeri possono annientare» |
(Lord Horatio Nelson[204]) |
In aprile il generale Clark fu convocato a Washington dove apprese la data dell'operazione Overlord: intuì subito che, dopo lo sbarco alleato in Francia, la campagna d'Italia sarebbe passata in secondo piano. Questa prospettiva preoccupava anche il maresciallo Alexander, il quale approfittò della pausa primaverile per recarsi a Londra e convincere il War Office a opporsi a qualunque tentativo di sbarco nella Francia meridionale o in qualunque altra parte del Mediterraneo occidentale e a favorire la prosecuzione della campagna d'Italia fino alla conquista dell'intera penisola[205].
In campo strategico, però, esistevano divergenze di opinioni. La principale causa di attriti tra gli alti comandi alleati verteva sulla necessità di dare al generale d'armata Maitland Wilson precise direttive sul piano Anvil, lo sbarco nel sud della Francia. La decisione era stata rimandata al 20 marzo dallo stesso generale Eisenhower, giorno in cui si sarebbe deciso se attuare uno sbarco nel Mediterraneo con lo scopo di «aiutare Overlord», oppure concentrarsi unicamente sul teatro italiano e spedire in Gran Bretagna, in vista dello sbarco in Normandia, i mezzi anfibi fino ad allora tenuti nel Mediterraneo. Il 22 marzo Wilson inviò la sua valutazione a Londra indicando la necessità di concentrare gli sforzi sulla campagna in Italia, dove a maggio era prevista una potente offensiva contro la linea Gustav, e allo stesso tempo annullare Anvil o relegarla a semplice manovra diversiva[206]. Sia Churchill e gli stati maggiori britannici sia Eisenhower approvarono la valutazione di Wilson, ma lo stato maggiore statunitense, dopo aver approvato l'invio del naviglio in Gran Bretagna, suggerì di rinviare Anvil al 10 luglio e di procedere con l'offensiva primaverile, convenzionalmente nominata operazione Diadem[207]. Il generale Marshall fu incrollabile su un altro punto: dopo la caduta di Roma la campagna d'Italia sarebbe passata in secondo piano[208].
Alla fine di duri e seccanti botta e risposta, Diadem ricevette un riluttante segnale unilaterale di via libera e Anvil fu ridotto, nonostante le obiezioni statunitensi, allo status di un piano di copertura dell'offensiva in Italia. Sul fronte italiano, quindi, i preparativi per l'offensiva primaverile proseguirono con difficoltà dato che, nonostante l'ottimismo, il trasferimento dell'8ª Armata a ovest degli Appennini si rivelò molto complicato e la scarsità di navi ritardò l'arrivo di nuove divisioni dal Nordafrica e dal Medio Oriente; pertanto lo stato maggiore britannico concluse che il dispiegamento non sarebbe potuto avvenire prima della metà di aprile, inducendo Alexander a rinviare il D-Day all'11 maggio 1944[209]. Oltre all'operazione Strangle, gli Alleati programmarono altri tre piani sussidiari per camuffare i preparativi e creare confusione tra i comandi tedeschi: l'impiego di unità di sabotaggio dietro le linee nemiche (ad esempio l'Operazione Ginny); la dislocazione arretrata fino all'ultimo delle nuove unità, per nascondere ai tedeschi l'entità delle forze raggruppate sulla linea di Cassino; la conduzione di esercitazioni anfibie nella zona di Napoli-Salerno che ricadeva nel raggio d'azione della ricognizione della Luftwaffe, in modo da far credere al feldmaresciallo Kesselring l'imminenza di un altro sbarco[210].
L'operazione Diadem era stata progettata da Alexander per sconfiggere le forze del generale von Vietinghoff, determinando indirettamente la caduta della città. Tale intenzione fu espressa nell'ordine operativo n. 1 del 5 maggio: «distruggere l'ala destra della 10ª Armata tedesca; ricacciare ciò che resta di essa e della 14ª Armata a nord di Roma; e incalzare il nemico fino alla linea Pisa-Rimini infliggendogli nel contempo le massime perdite». Compito dell'armata britannica fu quello di operare lo sfondamento su Cassino e avanzare lungo la Statale n. 6 passando a est di Roma, quindi puntare su Ancona e Firenze (e successivamente, a seconda della decisione dello stato maggiore combinato, dirigersi a nord-ovest verso la Francia o a nord-est verso l'Austria, come i britannici speravano); la 5ª Armata di Clark avrebbe espugnato la gola di Ausonia e sarebbe avanzata parallelamente ai britannici per ricongiugersi al VI Corpo d'armata statunitense che, a sua volta, da Anzio avrebbe puntato verso Valmontone, tagliando così la ritirata alla 10ª Armata di von Vietinghoff. La 5ª Armata avrebbe quindi marciato su Roma per occupare gli aeroporti di Viterbo e i porti di Civitavecchia e Livorno. Lo sfondamento di Anzio sarebbe dovuto avvenire solo su ordine di Alexander, e comunque con 24 ore di preavviso sul giorno D+4 (ovvero il 16 maggio). Le forze lasciate sulla costa adriatica sarebbero state poste sotto il comando diretto dal 15º Gruppo d'armate e avrebbero incalzato qualsiasi ritirata tedesca[211].
Durante la fase di preparazione i britannici ricevettero un quantitativo imponente di mezzi corazzati, riuniti in tre divisioni (1ª e 6ª Divisione corazzata britannica, 6ª Divisione sudafricana) e tre brigate corazzate (21ª e 25ª Brigata carri, 7ª Brigata corazzata); anche la fanteria fu aumentata con l'arrivo della 4ª Divisione britannica, dell'8ª Divisione indiana, della Brigata Ebraica dalla Palestina e della 3ª Brigata da montagna greca. Gli statunitensi furono affiancati dall'85ª e dall'88ª Divisione di fanteria, le prime due grandi unità giunte in Italia formate da militari di leva[212]. Si verificarono infine importanti spostamenti. Il II Corpo polacco andò a sostituire il Corpo di spedizione francese a nord di Cassino; il XIII Corpo d'armata britannico prese in consegna Cassino dal Corpo neozelandese, quando quest'ultimo fu sciolto. La linea di demarcazione della 5ª Armata fu spostata più a sud, sul limite meridionale della valle del Liri; il X Corpo britannico fu rilasciato dalla 5ª Armata e sostituito lungo il Garigliano dal II Corpo statunitense lungo la costa e dal Corpo di spedizione francese nel settore collinoso di Ausonia; il X Corpo britannico e il I Corpo d'armata canadese del tenente generale Eedson L. M. Burns furono messi a disposizione dell'8ª Armata. Il settore adriatico fu lasciato al V Corpo d'armata britannico[213].
Al momento dell'attacco dell'11 maggio gli Alleati potevano così schierare nel settore della 5ª Armata il II Corpo statunitense (85ª e 88ª Divisione) che avrebbe attaccato lungo la costa verso Minturno; il Corpo di spedizione francese, cresciuto da due a quattro divisioni con l'apporto della 1ª Divisione motorizzata francese e della 4ª Divisione da montagna marocchina (aggiuntesi alla 3ª Divisione algerina e alla 2ª Divisione marocchina), che avrebbe attaccato le colline in direzione di Ausonia e quindi avanzato lungo il difficile terreno dei monti Aurunci. Ad Anzio il VI Corpo passò da quattro a sei divisioni (le britanniche 1ª e 5ª, le statunitensi 3ª, 34ª, 45ª e la 1ª corazzata) e costituì una riserva d'armata con la 36ª Divisione. Alla destra delle forze coloniali francesi, lungo la linea del Rapido, iniziava lo schieramento dell'8ª Armata del generale Oliver Leese che, da sinistra a destra, allineava il XIII Corpo d'armata e il II Corpo polacco. Il XIII Corpo, al comando del tenente generale Sidney Kirkman, si articolava sulla 4ª Divisione britannica e sull'8ª Divisione indiana, che avrebbero attaccato in direzione Sant'Angelo (ricalcando la fallita offensiva della 36ª Divisione nel febbraio 1944) e disponeva inoltre della 78ª Divisione e della 6ª Divisione corazzata britannica, posizionate nelle retrovie pronte a sfruttare l'eventuale successo. In appoggio, per proseguire l'assalto, erano pronte anche la 1ª Divisione di fanteria e la 5ª Divisione corazzata del I Corpo d'armata canadese. Queste sei divisioni avrebbero sostenuto il peso dell'attacco sia contro la linea Gustav, sia contro la successiva linea Hitler/linea Senger: una serie di difese in costruzione, che si snodava attraverso la valle del Liri da Pontecorvo ad Aquino, per poi risalire verso Piedimonte e ricongiungersi alla Gustav a monte Cairo. Era fondamentale sfondare questo secondo ostacolo prima che i tedeschi potessero adeguatamente presidiarlo e rinforzarlo, aprendo così la strada per Roma. Sulla destra del XIII Corpo, sui monti attorno a Cassino, si trovava il II Corpo d'armata polacco del tenente generale Władysław Anders con la 3ª Divisione di fanteria Karpackich e la 5ª Divisione Kresowa appoggiate da una brigata corazzata, che avrebbero avuto il difficile compito di conquistare l'abbazia e quindi ricongiungersi con il XIII Corpo. Infine sulle montagne a destra dei polacchi, nella zona in cui i francesi avevano combattuto a lungo, fu posizionato il X Corpo d'armata britannico con la 2ª Divisione neozelandese, la 24ª Brigata corazzata e il Corpo Italiano di Liberazione[214].
Anche i tedeschi avevano provveduto a riorganizzarsi. Il settore del XIV Corpo corazzato del generale von Senger era stato ridotto dal mare fino alla statale n. 6, mentre il settore da Cassino fino ai monti appenninici era stato affidato al LI Corpo da montagna del generale Valentin Feurstein, che Kesselring aveva trasferito dopo essersi accorto del rischieramento dell'8ª Armata verso ovest[215]. Il LI Corpo prese il comando delle posizioni tenute dalla 5ª Divisione da montagna, dalla 44ª Divisione di fanteria e dalla 1ª Divisione paracadutisti, che presidiava ancora Cassino: von Senger fu quindi escluso, con sua grande irritazione, dalla difesa della cittadina. La 15ª Divisione granatieri corazzati, che per tre mesi aveva sorvegliato Sant'Angelo e il Rapido per tre mesi, fu finalmente sostituita dal "Gruppo Bode" (parte della 305ª Divisione di fanteria) ma poiché questo reparto fu ritenuto troppo debole, la 15ª Divisione granatieri corazzati dovette lasciare sul posto un distaccamento. La 71ª Divisione, che aveva dato buona prova nei combattimenti a Cassino[216] di gennaio e febbraio, fu posta a presidio del settore superiore del Garigliano, dinanzi al Corpo di spedizione di Juin, e la 94ª Divisione continuò a controllarne il basso corso davanti alle posizioni del II Corpo del generale Keyes. Kesselring affidò il settore adriatico al tenente generale Friedrich-Wilhelm Hauck, comandante della 305ª Divisione, che oltre a quanto restava della sua unità disponeva della 334ª Divisione di fanteria e della 114ª Divisione Jäger – truppe di second'ordine – con le quali dovette tenere circa 95 chilometri di fronte[217].
Il feldmaresciallo Kesselring ipotizzò che Alexander non avrebbe nuovamente provato uno sfondamento frontale contro la Gustav; considerata la prevalenza navale alleata, credette molto più plausibile un nuovo tentativo di sbarco a nord di Roma. Per questo dispose le sue divisioni mobili di conseguenza: la "Hermann Göring" fu schierata tra Livorno e Genova, la 29ª granatieri corazzati fu spostata a Civitavecchia, la 26ª Divisione corazzata si schierò sui colli Albani poco a nord-ovest della testa di sbarco di Anzio; la 90ª granatieri corazzati fu divisa in due metà, una schierata alla foce del Tevere e l'altra lungo la statale n. 6, nei pressi di Valmontone. Una parte della 15ª Divisione granatieri corazzati rimase dietro lo schieramento delle divisioni 94ª e 71ª, sulla costa di Terracina, sempre con l'idea di contrastare un eventuale sbarco[218]. Secondo lo storico Jackson l'analisi di queste disposizioni confermerebbe che il piano di copertura del maresciallo Alexander funzionò a dovere, sia nel nascondere le forze in campo sia nel depistare i tedeschi. La Luftwaffe era in netta difficoltà e, a dimostrazione di quanto incerta fosse la visione tedesca delle intenzioni tattiche dell'avversario, alla fine di aprile Hitler indisse una riunione all'Obersalzberg convocando diversi ufficiali superiori tra cui von Vietinghoff, von Senger e Baade, che pertanto dovettero rientrare in Germania; quando scattò l'operazione Diadem diversi tra costoro erano ancora in licenza. Alexander dal canto suo aveva finalmente raggiunto una superiorità di uomini nella proporzione di tre a uno nel settore di Cassino e di due a uno nel settore del Garigliano[219][220]. I tedeschi poterono schierare 57 battaglioni contro i 108 alleati e un decimo dei velivoli a disposizione degli attaccanti. Lungo il fronte di 30 chilometri gli Alleati ammassarono 1 600 cannoni, 2 000 carri armati e 3 000 aerei[221].
La quarta battaglia |
«Sono stato a Stalingrado e non avrei mai pensato di poter attraversare qualcosa di peggio» |
(Un soldato tedesco fatto prigioniero durante la quarta battaglia di Cassino[222]) |
L'attacco generale |
«Tutti i nostri pensieri e le nostre speranze vi accompagnano in quella che credo e spero sia la battaglia decisiva, combattuta fino allo spasimo» |
(Sir Winston Churchill in una lettera al generale Alexander dell'11 maggio 1944[223]) |
Per tutta la sera dell'11 maggio, l'artiglieria alleata continuò con il suo solito bombardamento delle postazioni tedesche per non far sospettare alcunché. Verso le ore 10:00 il cannoneggiamento si diradò e cessò anche il tiro dei tedeschi, che nella notte avevano programmato un avvicendamento di truppe e non volevano provocare i cannoni alleati. Poi alle 11:00 il silenzio fu sconquassato dal ruggito dei 1.600 cannoni che aprirono il fuoco contemporaneamente, e per quaranta minuti le artiglierie martellarono le postazioni tedesche con un fuoco di sbarramento imponente[224].
Sulla costa il II Corpo d'armata di Keyes fu risolutamente contrastato dalla 94ª Divisione tedesca, che resistette agli attacchi delle nuove divisioni statunitensi molto meglio di quanto Kesselring e Von Senger si aspettassero. Nella valle del Liri, il XIII Corpo dovette sostenere duri combattimenti per ogni metro di terreno conquistato: l'8 Divisione indiana costituì a sud di Sant'Angelo una precaria testa di ponte oltre il Rapido, ma nella notte, grazie al lavoro dei genieri che misero in opera due ponti per carri da trenta tonnellate prima dell'alba, essa riuscì ad ampliare e consolidare il suo punto d'appoggio nonostante i contrattacchi del Gruppo Bode[225]. A nord della cittadina, più vicino alle pendici di Montecassino, la 4ª Divisione britannica non ebbe altrettanta fortuna: essa costituì due piccole teste di ponte, ma dietro non avevano ponti perché i punti dove costruirli erano strettamente sorvegliati dalle postazioni tedesche nel monastero, e i genieri erano tenuti lontani dal Rapido dal tiro dell'artiglieria. Occorse tutta la seconda notte per poter costruire un ponte nel settore della 4ª Divisione, ma anche allora l'unità fu duramente contrastata da distaccamenti dei paracadutisti attestati a Cassino e da unità della 44ª e della 5ª Divisione fatte affluire da nord. Alla sera del 13 maggio il XIII Corpo aveva stabilito due teste di ponte oltre il Rapido e le due divisioni si erano ricongiunte dietro Sant'Angelo, ma erano ben lontane dallo sfondamento: il campo di battaglia era ancora dominato dal monastero di Montecassino, e gli artiglieri tedeschi erano ancora in grado di seminare distruzione nella valle sottostante[226].
Il corpo d'armata che soffrì di più durante i primi giorni fu sicuramente il Corpo d'armata polacco di Anders. Il generale decise che per schiacciare i difensori avrebbe dovuto compiere un attacco simultaneo contro tutti i capisaldi tedeschi, per evitare che questi potessero appoggiarsi reciprocamente come era accaduto negli attacchi dei mesi precedenti[226]. Anders decise di non attaccare il monastero stesso ma, irrompendo oltre i crinali situati alle sue spalle e avanzando su un ampio fronte con le sue divisioni, avrebbe tagliato la sottostante statale n. 6, stringendo il presidio di Cassino e il monastero fra sé e la 4ª Divisione attestata nella valle del Liri. A differenza degli indiani che li avevano preceduti, i polacchi ebbero tutto il tempo di rifornire le loro posizioni, e le strade di accesso al massiccio di Cassino furono migliorate consentendo ad alcuni carri armati di raggiungere posizioni d'appoggio. I polacchi non poterono però pattugliare tutto il settore per non rivelare interamente la loro forza, e sfortunatamente per loro i tedeschi nella notte stavano compiendo una sostituzione dei reparti, per cui quando l'attacco partì i soldati tedeschi nel settore erano numericamente superiori alle aspettative. L'attacco dei polacchi iniziò bene, ma le mitragliatrici dei paracadutisti non tardarono a far sentire il loro peso come avevano fatto nei precedenti attacchi degli statunitensi e degli indiani. Le postazioni tedesche espugnate furono molte, ma quando spuntò il giorno i polacchi si trovarono su pendii esposti impossibilitati a proseguire o indietreggiare, a ricevere rinforzi o rifornimenti e ad evitare il fuoco dei tedeschi. Nel corso del pomeriggio il generale Anders fu costretto a ordinare la ritirata sui punti di partenza; i polacchi avevano perso quasi metà degli effettivi partiti all'attacco[227] senza aver conseguito alcun risultato apprezzabile, se non quello di aver impegnato parte delle forze di Heidrich che altrimenti avrebbero ostacolato molto più duramente la 4ª Divisione[228]. Due giovani ufficiali polacchi catturati furono crocifissi dai tedeschi con filo spinato e chiodi arrugginiti. Da quel momento non ci fu più misericordia da nessuna delle due parti[227].
L'unico successo apprezzabile fu raggiunto nel settore francese, dove le truppe coloniali, adatte e a loro agio sul terreno montagnoso, crearono molti problemi ai tedeschi che dal canto loro non si aspettavano un attacco importante contro la 71ª Divisione, colta quindi di sorpresa. Operando con trasporti someggiati e muovendosi su terreno ritenuto invalicabile, il Corpo di spedizione di Juin operò il 13 maggio lo sfondamento desiderato espugnando monte Maio, il bastione meridionale della linea Gustav nella valle del Liri[229]. Il comando tedesco non era riuscito ad avere informazioni sicure sulla composizione della 5ª Armata e del Corpo di spedizione francese, e le due divisioni sull'ala sinistra del XIV Corpo, seppur valorose, si rivelarono troppo deboli di fronte a forze avversarie preponderanti; ben presto si rese evidente che anche le posizioni occupate erano meno resistenti di quanto i tedeschi pensavano[230]. La 90ª Divisione granatieri corazzati cominciò a muoversi lungo la statale n. 6 solo il 13 maggio, ma nei giorni 14 e 15 nel settore dell'armata di Clark si registrarono giorni drammatici: il generale Juin irruppe nella valle dell'Ausente e occupò Ausonia mentre il II Corpo di Keyes avanzò nella sua scia ricacciando verso est, lungo la strada costiera che portava a Formia e Gaeta, la 94ª Divisione, il cui fianco sinistro era rimasto scoperto a causa dell'avanzata francese. I resti della 71ª Divisione tedesca, anch'essi in piena ritirata, si stavano ritirando verso Esperia. Le due divisioni tedesche nel settore meridionale furono così divise dalla massa priva di sentieri dei monti Aurunci, e Juin colse l'occasione al volo inviando circa 12.000 Goumiers nel varco apertosi attraverso le montagne per tagliare ai tedeschi la strada laterale che portava da Pico a Formia dietro la linea Hitler. Soltanto gli sforzi delle unità sparpagliate della 15ª granatieri corazzati evitarono al XIV Corpo dell'assente Von Senger la completa disfatta[231]. La sorpresa del comando tedesco fu totale, e la puntata offensiva del corpo di Juin si rivelò inarrestabile. Considerando il gruppo degli Aurunci impraticabili, Von Senger si era limitato a farlo presidiare da alcuni distaccamenti che avrebbero dovuto sbarrare le gole, ma questi vennero agilmente aggirati, accerchiati e fatti prigionieri dalle agili truppe coloniali francesi, che con il loro successo contribuirono non poco al crollo di tutto il fronte tedesco[232]. I timori espressi da Kesselring durante la stasi operativa riguardo alla disposizione del tenuto corpo francese, si rivelarono fondate[230].
La conquista di Montecassino |
Nella valle del Liri la debacle del XIV Corpo non ebbe grossi effetti sulla combattività del LI Corpo tedesco, deciso più che mai a non cedere Cassino. L'8ª Divisione indiana, aiutata dal successo francese, riuscì a sfruttare la situazione e avanzare dalla testa di ponte oltre il Rapido, ma la 4ª Divisione britannica stava ancora trovando grosse difficoltà e Kirkman ordinò alla 78ª Divisione di passare lungo la direttrice della 4ª Divisione e irrompere verso la statale n. 6, in concomitanza con un rinnovato attacco portato dai polacchi dietro Montecassino previsto per il 15 maggio[233].
Le difficoltà che incontrò la 78ª Divisione ad attraversare i ponti ancora sotto il tiro dell'artiglieria tedesca indussero i comandi britannici a rinviare l'attacco al 18 maggio. Nel frattempo Leese ordinò al I Corpo canadese di spostarsi in avanti, e il 15 maggio iniziò anch'esso ad attraversare il Rapido nel settore dell'8ª Divisione. Il 16 maggio la 78ª Divisione, appoggiata dalla brigata corazzata della 6ª Divisione corazzata britannica, iniziò un metodico attacco avvolgente per tagliare la strada statale a ovest di Cassino, mentre la 4ª Divisione collaborò con un'azione simile ma in un arco più interno a quello della 78ª per tagliare la strada più vicino a Cassino. Poiché entrambi gli attacchi fecero costanti progressi, Leese autorizzò Anders a iniziare il secondo attacco contro Montecassino nella mattinata del 17 maggio[233].
Nei giorni fra i due attacchi i polacchi fecero di tutto per colmare i vuoti nei ranghi, e mentre tale riorganizzazione era in atto essi non concessero alcuna tregua ai nemici. I paracadutisti tedeschi furono inchiodati sul terreno da costanti attacchi di artiglieria, mortai e aerei, mentre estese e aggressive azioni di pattuglia consentirono ai polacchi di conoscere meglio il terreno e la dislocazione delle postazioni nemiche. La battaglia intrapresa il 17 fu comunque cruenta: gli uomini di Heidrich reagirono in modo determinato, ma la forza del numero iniziò ad avere il suo peso. I polacchi riuscirono a conquistare l'ambita Quota 593 la notte prima dell'attacco grazie agli enormi sforzi delle unità della Divisione Karpackich, e tale successo consentì loro di corrodere le postazioni tedesche che avevano offerto una tenace resistenza alle tante unità che prima di loro le avevano sfidate[234]. I polacchi, affardellati da un carico supplementare di munizioni, si aprirono il cammino lungo i pendii di Quota 593 e impegnarono i difensori con un fitto attacco di bombe a mano e fuoco di armi leggere. Ben presto i soldati si trovarono separati nei rispettivi plotoni, ma ciò non impedì loro di continuare a combattere avanzando verso il monastero. Le forze tedesche si assottigliarono notevolmente a causa delle perdite, ma anche i polacchi verso tarda mattinata iniziarono a soffrire mancanza di uomini, soprattutto a causa del fuoco prodotto dai mortai sfuggiti all'attenzione dei cacciabombardieri. Dietro le linee polacche vennero formati nuovi reparti in tutta fretta, raccogliendo autisti, cuochi e altri non combattenti, per essere mandati avanti. In serata questi ripristinarono il contatto con le linee avanzate e gli uomini ripresero a procedere verso la vetta, ma a quel punto entrambi gli schieramenti erano ormai esausti[235]. Nel frattempo la minaccia portata dalle divisioni 4ª e 78ª significava che sul massiccio di Cassino i paracadutisti a breve non avrebbero avuto abbastanza uomini per continuare a resistere, e Heidrich per non essere sopraffatto ordinò alle sue truppe di ripiegare durante la notte[234]. Il mattino successivo solo poche retroguardie occupavano ancora alcuni capisaldi a ovest del monastero per impedire alle truppe di Kirkman di chiudere la sacca attorno a Cassino, mentre una pattuglia del 12º Lancieri Podolski si arrampicò verso il monastero trovando solo alcuni tedeschi feriti o morenti abbandonati dai compagni. Dopodiché penetrarono in quel che restava del monastero issando sulle sue rovine la bandiera polacca, e un trombettiere suonò le note dell'Hejnał, una melodia militare polacca medievale, suscitando una grande commozione tra i soldati[236]. La battaglia per Montecassino si era finalmente conclusa[237]: i sei mesi di combattimenti avevano ridotto il campo di battaglia in un tetro mucchio di macerie, e gli italiani sopravvissuti nei rifugi e nelle caverne sulle montagne avrebbero impiegato anni a ricostruire una città ridotta ormai a «un'orrenda fossa comune» in cui imperversavano malaria e altre malattie e dove restavano da disinnescare circa mezzo milione di mine[238]
Lo sfondamento della Gustav |
Nel frattempo, l'attacco di Juin aveva compiuto rapidi progressi. Quando Cassino fu espugnata la sua 1ª Divisione motorizzata stava avanzando lungo la sponda meridionale del Liri e aveva raggiunto la linea Hitler a sud di Pontecorvo. La 3ª Divisione algerina aveva occupato Sant'Oliva sull'estremità meridionale della linea, e i contingenti di goumiers e la 4ª Divisione marocchina avevano superato la prima metà dei monti Aurunci, dominando quindi la strada laterale Pico-Formia. Anche il II Corpo d'armata, dopo le incertezze iniziali, stava muovendosi con altrettanta velocità: Formia fu conquistata dall'85ª Divisione il 17 maggio e Gaeta due giorni dopo, mentre l'88ª Divisione, combattendo fra i monti, stava minacciando Itri sulla strada Pico-Formia, che occupò il 19[239].
La battaglia per la linea Hitler fu quindi vinta prima di essere iniziata, ma non nel settore dove Alexander si aspettava. L'intero settore meridionale era stato espugnato prima che i tedeschi potessero adeguatamente presidiarlo, e prima che il I Corpo d'armata canadese, cui era stato affidato il compito di assaltare la linea, potesse avvistarla. Kesselring d'altro canto non si rese conto del disastro che si era abbattuto sul XIV Corpo corazzato fino al 17 maggio. Quasi contemporaneamente le intercettazioni radio tedesche localizzarono i canadesi, che si riteneva si stessero imbarcando nel porto di Napoli per lanciare un attacco anfibio a nord di Roma, nella valle del Liri. Kesselring si decise quindi a fare tutto il possibile per bloccare l'avanzata francese intorno all'estremità meridionale della linea Hitler e salvare quindi la 10ª Armata, ordinando alla 26ª Divisione panzer di abbandonare la sua posizione di blocco sui colli Albani e dirigersi verso la zona di Pico-Pontecorvo alla massima velocità[240].
Kesselring ordinò altresì alle divisioni 305ª e 334ª di accorrere dalla costa adriatica, sostituendole con la 237ª Divisione fatta affluire dall'Istria. La 305ª si sarebbe dovuta congiungere alla 26ª Panzer per costringere i francesi a fermarsi, ma quando i combattimenti sulla linea Hitler iniziarono il 18 maggio tre delle cinque divisioni mobili della Wehrmacht in Italia era state impegnate. Data la riluttanza di Kesselring di credere che l'attacco contro la Gustav fosse qualcosa di più di un'operazione diversiva, egli non aveva fatto nulla per approntare piani per un contrattacco coordinato e tali divisioni entrarono in battaglia in modo scoordinato, ben presto divorate nel tentativo di tamponare gli spazi creati dal cedimento delle divisioni 71ª e 94ª. Poche volte le forze tedesche si erano fatte ingannare così totalmente e cogliere tanto sbilanciate da un piano di mascheramento[241].
Non appena Cassino cadde, i polacchi attaccarono lungo gli speroni meridionali di monte Cairo per aggirare e, se possibile, espugnare il cardine settentrionale della linea Hitler: il paese fortificato di Piedimonte. Parallelamente Alexander ordinò a Juin di continuare a premere verso Pico per aggirare la linea da sud, mentre al centro il XIII Corpo si diresse su Aquino e il I Corpo canadese su Pontecorvo. Mentre al centro le forze britanniche si preparavano ad attaccare i francesi serrarono il colpo su Pico; nonostante l'arrivo dei rinforzi tedeschi, il 22 maggio Pico cadde, ma l'opposizione della 26ª Divisione panzer e della 305ª Divisione di fanteria costrinse Juin ad abbandonare il tentativo di aggiramento e dirigersi su Ceprano. Sull'altro lato i polacchi il 25 entrarono a Piedimonte, mentre i canadesi, partiti all'attacco il 23 maggio, in due giorni sfondarono al linea Hitler aprendo finalmente la strada all'8ª Armata[242].
Ironicamente solo a quel punto i comandi alleati si resero conto che la valle del Liri non era affatto il facile accesso che si credeva: l'8ª Armata faticava a far avanzare i suoi mezzi corazzati a causa della strozzatura dei ponti sul Rapido, e perché i tedeschi che continuavano ad occupare le alture lungo la valle colpivano ripetutamente la statale n. 6, in pratica l'unica strada percorribile. Si formarono enormi ingorghi; in media una divisione corazzata a pieno organico comprendeva 700 carri armati medi, 300 mezzi blindati, 50 cannoni semoventi, 2.000 semicingolati e 10.000 tra camion e trattori pesanti, e le divisioni che dovevano passare nel ristretto spazio della valle del Liri erano tre[243]. In questo contesto i cannoni anticarro avversari, ben piazzati e mimetizzati, causarono grosse perdite agli avversari[244]. Nelle montagne di fronte al X Corpo inoltre, i tedeschi iniziarono il loro programma di ritirata combattuta tra il 24 e il 25 maggio, e il 26 sia gli italiani che i neozelandesi ripresero l'avanzata lungo l'asse Atina-Sora-Avezzano. Questa avanzata avvenne però molto lentamente a causa del terreno, ma anche perché davanti a loro vi erano numerosi campi minati, estese demolizioni e azioni di retroguardia[245].
Kesselring già alcuni giorni prima dell'attacco canadese perse interesse per la linea Hitler concentrando le sue preoccupazioni sull'ala destra del suo schieramento, ma prima la 15ª e poi la 29ª granatieri corazzati non poterono offrire una resistenza adeguata all'avanzata degli Alleati. Quest'ultima soffrì inoltre della decisione di Von Mackensen di non eseguire l'ordine di Kesselring, il quale il 19 maggio diede istruzioni affinché la 29ª Divisione fosse spostata dalla testa di ponte di Anzio. Von Mackensen, convinto invece di un imminente attacco nel settore di Anzio, tardò a inviare la divisione, e tale disaccordo costrinse i granatieri corazzati tedeschi a entrare in combattimento quando gli statunitensi erano già alla gola di Terracina; nella notte tra il 23 e il 24 gli statunitensi entrarono a Terracina, mentre la 29ª Divisione assieme ai resti della 71ª e della 94ª Divisione si ritirò sui monti Lepini verso la statale n. 6 per evitare di essere tagliata fuori[246]. Quello stesso 23 maggio ad Anzio fu lanciata l'azione di rottura dell'accerchiamento: l'attacco del VI Corpo statunitense ad Anzio ebbe successo, ma il 25 maggio il generale Clark, con una mossa controversa, deviò le sue truppe rinunciando all'accerchiamento della 10ª Armata tedesca per far si che i suoi uomini entrassero a Roma per primi, e soprattutto prima del previsto sbarco in Normandia che soltanto lui sapeva fissato per il 5 giugno[247][248].
L'avanzata finale e la conquista di Roma |
Lo sfondamento alleato a Cassino e Anzio rischiò tagliare la via di ripiegamento della 10ª Armata presso Valmontone, e il 26 maggio von Senger propose a von Vietinghoff di togliere rapidamente dal fronte le divisioni mobili per impegnarle a protezione del profondo fianco destro, dove le truppe del II Corpo statunitense si erano congiunte con quelle del VI Corpo ad Anzio. Von Senger ricevette libertà d'azione solo il 3 giugno, quando ormai le truppe di Clark si apprestavano a entrare a Roma, ma riuscì ugualmente a far ripiegare i suoi uomini lungo la rotabile per Subiaco, mantenendo il contatto con il LI Corpo e allo stesso tempo difendendosi dagli Alleati[249].
Quello stesso 3 giugno Hitler autorizzò Kesselring ad abbandonare la capitale, ma era già in atto un disimpegno generale con poche interferenze da parte della popolazione. Secondo lo storico Basil Liddell Hart, fu proprio l'ordine tardivo di ripiegamento concesso da Hitler a pregiudicare la strategia difensiva tedesca. Se fosse stato accordato a von Vietinghoff il permesso di ripiegare, che questi richiese quando ormai era chiaro che i francesi stavano sfondando nei giorni che coincisero con l'attacco ad Anzio, avrebbe potuto ritirarsi ordinatamente su Valmontone, ove si sarebbe ricongiunto prima alla 14ª Armata e in tal modo tenere ancora una linea difensiva a sud di Roma. Invece della ritirata ordinata, con lo sfondamento ci fu un collasso delle difese, che si propagò sempre di più e impose l'abbandono della capitale e il ritiro fino alla linea Gotica[250]. Durante i giorni precedenti l'ordine di abbandono della capitale fu intrapresa una sorta di gara tra il II Corpo di Keyes sulla statale n. 6 e il VI Corpo di Truscott sulla statale n. 7 per arrivare per primi in città. Ad un incrocio di periferia ci fu il ricongiungimento tra le due forze, una colonna di corazzati della 1ª Divisione si incontrò con un reggimento dell'85ª Divisione di fanteria proveniente da sud. I carri della 1ª Divisione sono ritenuti in genere i primi che arrivarono in centro: dopo essersi fermati sotto il cartello azzurro con la scritta "Roma", aspettarono l'arrivo di Clark che prima si fece fotografare e subito dopo fece togliere il cartello per prenderlo come trofeo[251]. Clark era convinto di aver battuto di un giorno la data fissata per l'operazione Overlord; in realtà il maltempo, che aveva fatto così tanto sentire la sua influenza durante i mesi precedenti in Italia, costrinse Eisenhower a ritardare di un giorno lo sbarco in Normandia, che quindi ebbe inizio il 6 giugno[252].
Clark aveva ottenuto con la sua 5ª Armata la vittoria tanto attesa e un esaltante trionfo, offuscato solo dal suo desiderio di impedire a chiunque di condividere con lui tale onore. In quel frangente l'anglofobia di Clark aveva assunto toni esagerati, ed egli si era persuaso che c'era il rischio di vedersi soffiare quell'ambito trofeo insieme alla pubblicità che ne sarebbe derivata e al "credito" che ne avrebbero ricavato i suoi soldati[253].
Analisi e critiche |
Il giudizio degli storici sulle battaglie di Cassino, e in generale sulla campagna d'Italia ad esse strettamente correlata, non è stato clemente. Lo storico John Ellis, nel suo resoconto particolareggiato dei combattimenti di Cassino, l'ha definita «una vittoria vuota»; il generale John Harding, capo di stato maggiore di Alexander, intervistato nel dopoguerra difese il suo superiore dichiarando: «C'era chi riteneva che la campagna non avrebbe mai dovuto cominciare. C'erano altri che pensavano che ad un certo punto avrebbe dovuto essere abbreviata. Ad altri premeva riavere varie delle proprie risorse sotto forma di truppe, materiali ecc. Questo provocò incertezza, malintesi, il ritiro delle risorse e indecisione. Tutte queste cose crearono una situazione che influì in maniera molto negativa sui problemi e sulle difficoltà che incontrava il generale Alexander nel condurre la campagna»[254].
Secondo lo storico ed ex generale dell'esercito britannico William G.F. Jackson, l'incertezza e la drammatica situazione strategica degli Alleati in Italia fu in parte una conseguenza di quella che definì «la tirannia di Overlord»[255]. Con l'avvicinarsi della prevista invasione della Francia settentrionale, diventò sempre più impellente risolvere il conflitto fra la determinazione statunitense di mantenere «l'integrità di Overlord» e il desiderio britannico «di tenere il Mediterraneo in fiamme». I punti in discussione durante le conferenze interalleate di fine 1943 riguardavano soprattutto la data dell'operazione oltre la Manica e la direzione che le operazioni nel Mediterraneo avrebbero dovuto prendere dopo che la linea Pisa-Rimini fosse stata raggiunta: i britannici preferivano lasciare la data di Overlord più elastica possibile in modo tale da continuare a logorare le forze tedesche nei Balcani, mentre gli statunitensi preferivano stabilire una data fissa per impedire che il teatro mediterraneo avesse infine la meglio. Essi ritenevano altresì che le forze lasciate nel Mediterraneo dovessero concentrarsi su una sola linea d'attacco principale, e non disperdersi in una serie di operazioni minori[256]. Fu Iosif Stalin ad appoggiare le argomentazioni americane di dare una data e la priorità massima a Overlord, mentre Churchill fu costretto a lasciare in disparte le sue mire nel Mediterraneo, ottenendo il mantenimento fino al 15 gennaio 1944 di un certo numero di Landing Ship Tank destinati a un eventuale sbarco nel teatro e la nomina del generale britannico Maitland Wilson come responsabile dell'intera zona del Mediterraneo e del Medio Oriente[257]. Purtroppo però le previsioni alleate relative alla presa di Roma per l'inizio gennaio furono smentite dalla dura realtà del teatro operativo italiano e dalle inesatte valutazioni del settore mediterraneo: il primo colpo a Cassino e lo sbarco ad Anzio furono infatti frustrati dalle riserve mobili di Kesselring[258], e i ruoli di Anzio e Cassino si invertirono. Da parte alleata Cassino divenne il soccorritore di Anzio, invece di essere Anzio a contribuire a creare le condizioni per uno sfondamento a Cassino. Ma, parallelamente, anche da parte tedesca la sconfitta del loro contrattacco ad Anzio minò il morale in modo tale che la vittoria difensiva di Cassino non riuscì a controbilanciare. Nessuno dei due contendenti riuscì a sopraffare l'altro: i tedeschi rimasero aggrappati alla Gustav nonostante la minaccia portata nelle retrovie, e gli Alleati neutralizzarono il grosso concentramento di forze ad Anzio dando inizio a un periodo di guerra di logoramento che impose l'invio in Italia di sempre maggiori risorse per raggiungere obiettivi, definiti da Jackson «illusori», che peraltro ritardavano ad arrivare[259]. Gli Alleati furono attratti dal miraggio politico della conquista di Roma e dal criterio militare di continuare a premere sui tedeschi, mentre questi ultimi furono attirati dalla sfuggevole occasione politica di una vittoria e dalla necessità militare di difendere la più breve e forte linea difensiva in Italia. Inconsapevolmente i tedeschi in questo modo aiutarono Alexander a conseguire il primario obiettivo di sottrarre le loro truppe in previsione di Overlord, mentre gli Alleati distrussero le loro possibilità di approntare per tempo Anvil in concomitanza con Overlord[260]. Ma lo sbarco in Normandia, come da accordi e nonostante i fallimenti in Italia, dovette avere la precedenza, e sebbene sia stato affermato che i combattimenti in Italia avessero distolto truppe scelte tedesche e i più brillanti generali del Reich, è difficile giustificare lo «spaventoso prezzo di questo diversivo»[261].
Anche lo storico britannico Basil Liddell Hart espresse scetticismo sulla strategia Alleata: nel suo Storia di una sconfitta, pur ammettendo che sia Anzio che Cassino tolsero a Hitler la possibilità di trasferire cinque delle sue migliori divisioni mobili dall'Italia alla Francia, scrisse come lo scacco subito dagli Alleati ad Anzio e nella prima battaglia di Cassino, oltre a determinare un lungo ritardo nella loro avanzata, li mise di fronte alla necessità di dover utilizzare nel teatro secondario dell'Italia un numero di risorse inaspettato, con irritazione di Washington. Solo dopo altri due infruttuosi e sanguinosi attacchi gli Alleati capirono la necessità di ammassare mezzi e uomini per un'offensiva in grande stile da lanciare in primavera, ma questo ritardo ebbe la conseguenza di sottrarre ingenti mezzi che avrebbero potuto essere impiegati in Normandia. E, sempre secondo Liddell Hart, il complesso di questi mezzi fu molto superiore alle risorse impegnate dai tedeschi nella campagna d'Italia[250]. Questo concetto fu confermato dallo studioso Correlli Barnett che definì la strategia alleata in Italia «un vicolo cieco, un'azione secondaria di una guerra vinta in battaglie di grandi masse sui fronti orientale e occidentale», evidenziando come durante lo sfondamento di Cassino in Italia c'erano 22 divisioni tedesche mentre nello stesso momento 157 combattevano ad est e 60 erano schierate a ovest[262].
Tali interpretazioni vengono in parte confermate dallo storico John Keegan, il quale spiega come il grave ritardo acquisito dagli Alleati durante i combattimenti sulla Gustav ebbe effetti deleteri sul prosieguo della campagna d'Italia: le armate alleate, oltre a trovarsi a dover combattere in un teatro di secondo piano rispetto alla Francia, tra luglio e agosto dovettero subire il prelievo di ben sette divisioni (le quattro francesi e la 3ª, 36ª e 45ª statunitensi, sostituite poi da unità di brasiliani, greci, ebrei palestinesi, afro-americani e nisei) destinate all'operazione Anvil (poi rinominata "Dragoon")[263][264], operazione che secondo Eisenhower sarebbe stata più utile di uno sfondamento della Gotica e di una penetrazione in Austria[265]. Clark non poté così effettuare da vicino l'inseguimento delle forze tedesche, e Kesselring nei primi giorni di agosto riuscì a schierarsi al sicuro sulla linea Gotica. A livello strategico Churchill e Alexander dovettero deporre le ultime speranze di "svoltare a destra" una volta raggiunta la pianura Padana per puntare su Vienna e anticipare i sovietici[238].
Il terreno dell'Italia creò enormi difficoltà alle forze alleate: «nessuna campagna in occidente costò più vittime di quella dell'Italia alle truppe di fanteria [...] nel corso di brevi e violentissimi scontri attorno ai capisaldi nella linea Gustav, nel perimetro di Anzio e sulla linea Gotica» scrisse Keegan nel suo Uomini e battaglie della seconda guerra mondiale, confermando come queste perdite furono difficili da sopportare e spiegare per gli Alleati, dato che si trattava di un fronte secondario. I soldati alleati in Italia, dopo lo sbarco in Normandia, non provarono mai la sensazione di combattere una campagna decisiva: nel migliore dei casi pensavano di continuare a minacciare «il ventre molle dell'Europa» come lo definì Churchill, e nel peggiore stavano semplicemente tenendo impegnate alcune divisioni tedesche. Non fu così per i tedeschi, i quali sapevano di combattere per tenere a distanza il nemico dai confini meridionali del Reich[263]. Secondo Keegan, i duri combattimenti a Cassino e poi sulla Gotica furono affrontati con grande coraggio[263][250] ma non con la stessa «visione di vittoria» che contraddistinse coloro che sbarcarono in Francia. La guerra in Italia fu percepita dagli anglo-statunitensi come «una visione vecchio stile di una manovra diversiva sul fianco marittimo di un nemico continentale», una specie di versione moderna della "guerra peninsulare" del 1808[263].
L'accanita resistenza opposta dai tedeschi - scrisse il generale tedesco Fridolin von Senger und Etterlin - permise agli Alleati di avanzare nel terreno antistante Cassino per soli 15 chilometri nei primi tre mesi, e di venire ricacciati nelle posizioni di partenza durante i successivi tentativi di sfondamento a Cassino. Questo fronte aveva attirato l'opinione pubblica di tutto il mondo su questo teatro, tanto più che era l'unico teatro di guerra aperto dagli Alleati in Europa, ma furono i tedeschi a sfruttare meglio questa situazione[266]. La propaganda nazista sfruttò i successi difensivi per alimentare un «inopportuno ottimismo della popolazione», mentre i comandi alleati furono indotti a trarre conclusioni sbagliate dalle difficoltà incontrate a Cassino[266], viziate anche da considerazioni politiche[267]. Secondo von Senger gli Alleati non seppero sfruttare la loro enorme superiorità logistico-militare, e nel tentativo di sorprendere i tedeschi si impegnarono in attacchi di piccola portata, sempre nei medesimi punti e impiegando malamente l'arma aerea, come accadde sia a Montecassino che a Cassino. Ma l'aver scelto Cassino come unica via per aprirsi la strada verso Roma fece sì che gli Alleati si auto-preclusero la possibilità di poter attuare qualsiasi sorpresa operativa[169]. I bombardieri strategici furono utilizzati per assolvere un compito a loro estraneo, quello di dare appoggio tattico alla fanteria e spianargli la strada, ma al contrario i mezzi corazzati si trovarono impossibilitati a percorrere le strade di Cassino sconvolte dai bombardamenti, mentre l'artiglieria ebbe notevoli difficoltà ad accompagnare la fanteria che procedeva lentamente; molti soldati alleati furono vittima del fuoco amico[268]. Nonostante ciò la resistenza dei tedeschi era segnata dalle gravi manchevolezze esistenti nella condotta di guerra dell'Asse. La scarsità di mezzi e la mancanza di aerei da ricognizione fecero subito sentire il loro peso ai difensori tedeschi, e - sempre secondo von Senger - solo la lentezza e la rigidezza dei piani alleati permise ai tedeschi di resistere e far affluire durante la notte le riserve che occorrevano per i contrattacchi[269]. "Rigidezza" ravvisata criticamente anche dal feldmaresciallo Kesselring, il quale nel suo libro di memorie osservò come «i comandi anglo-americani sembravano prigionieri dei loro piani rigidi; che non videro, o ignorarono, le occasioni per colpire i nemici ai fianchi; infine che, sebbene in Italia fossero bloccate alcune divisioni tedesche con la più elevata capacità combattente, in un momento in cui erano richieste con urgenza nelle zone costiere della Francia, gli Alleati non seppero affatto approfittare dell'occasione»[270].
Tutte queste numerose critiche corrispondono al vero, ma secondo lo storico e giornalista Rick Atkinson «non è tutta la verità». Gli Alleati avevano continuato, anche se lentamente, ad avanzare nel Mediterraneo, e sta di fatto che dopo la conquista di Roma nel teatro rimasero a operare solo undici U-Boot tedeschi: per il resto della guerra non fu affondata più nessuna nave mercantile alleata nel Mediterraneo. Il controllo di questo mare fu di vitale importanza per l'invasione dell'Europa e per garantire un'altra rotta di comunicazione con l'Unione Sovietica. L'offensiva dei bombardieri, che decollavano dai campi d'aviazione italiani, proseguì di pari passo con le conquiste, dando un notevole contributo alla campagna aerea sopra i cieli del Reich. L'estate del 1944 la 15ª Forza aerea statunitense (Fifteenth Air Force) condusse 6.000 missioni distruggendo gli impianti petroliferi tedeschi nell'area di Ploiești: «Non dobbiamo dimenticare l'importanza che il Mediterraneo ha rivestito nel piegare le armi tedesche» ha affermato lo storico statunitense Douglas Porch[271]. Le maggiori critiche alla strategia alleata nella penisola italiana sono state affrontate da altri storici da un'altra ottica, ricordando come l'Italia fosse l'unico posto possibile in cui dare avvio all'invasione dell'Europa continentale: «Siamo andati in Sicilia e in Italia perché eravamo in Nordafrica» scrisse lo storico Martin Blumenson «perché non esisteva nessuna flotta oceanica in grado di spostare mezzo milione di uomini dal litorale africano fino in Inghilterra o altrove, né i porti, le ferrovie e gli altri servizi britannici, già pieni di materiali e truppe americane che si preparavano per Overlord, potevano gestire una forza del genere». Lo storico della marina Samuel Eliot Morison concluse inoltre che Mosca non avrebbe tollerato che le armate alleate rimanessero inoperative durante i dieci mesi che separarono l'invasione della Sicilia dallo sbarco in Normandia: una pausa del genere avrebbe permesso ai tedeschi di spostare molte truppe ad est[271]. E anzi, secondo lo stesso Kesselring, ciò che gli Alleati avevano imparato durante i combattimenti in Italia meridionale, in particolare l'esperienza acquisita nelle operazioni anfibie, nella conduzione di truppe di nazionalità diversa e nel colpire le vie di comunicazione nemiche, si dimostrò molto utile nei mesi successivi; tanto da arrivare a dire che senza quell'esperienza l'invasione della Francia «sarebbe stata sicuramente un fallimento»[272].
Note |
Esplicative |
^ Il 14 ottobre giunse a Cassino il tenente colonnello austriaco Julius Schlegel della divisione "Hermann Göring" che, prima della guerra, era uno storico dell'arte e bibliotecario. Prospettò all'abate Gregorio Diamare il pericolo che correva l'Abbazia di Montecassino, che di lì a poco si sarebbe trovata al centro del fronte tedesco e riuscì dunque a far mettere al sicuro gran parte dei tesori lì custoditi, che furono consegnati l'8 dicembre in Vaticano. Nonostante le accortezze dei monaci, circa quindici casse piene di opere d'arte raggiunsero comunque Berlino. L'evacuazione delle opere d'arte fu ampiamente strumentalizzata dalla propaganda tedesca. Vedi: Atkinson, p. 468, Parker, p. 59, von Senger, p. 285.
^ Nel dopoguerra i reduci della 36ª Divisione chiesero e ottennero dal Congresso l'apertura di una commissione d'inchiesta sulla battaglia, sperando di chiarire i fatti e dimostrare che il generale Clark aveva in pratica ordinato un attacco suicida. Clark criticò Walker per non essere mai andato personalmente al fronte, per non aver dato abbastanza energia alla seconda azione e per non aver ispirato i sottoposti: secondo il generale i dubbi di Walker furono trasmessi ai comandi inferiori, indebolendone lo spirito. Diversi resoconti appaiono critici nei confronti di Walker e della sua divisione, sembrando scagionare Clark e Keyes: «Si direbbe che l'operazione fosse condotta male dal comando e dallo stato maggiore della 36ª Divisione» scrisse a tal proposito nel 1957 Fred Majdalany nel suo Cassino, Portrait of a Battle. Vedi: Parker, p. 145, Morris, p. 291, von Senger, p. 272. Anche la storia ufficiale dell'esercito statunitense accusò i comandi, colpevoli di «una serie di contrattempi, una valanga di fallimenti, una sequela di sfortune» fra cui «una confusione crescente, che finì quasi per sfociare nell'isteria e nel panico». Vedi: Atkinson, p. 410.
^ Il generale Freyberg aveva grande autonomia decisionale e una posizione diplomatica molto forte, in quanto era direttamente agli ordini del primo ministro neozelandese e lo rappresentava sul campo di battaglia; inoltre la divisione neozelandese, come tutte le altre forze del Commonwealth, era stata inviata a combattere dal proprio governo e poteva essere richiamata in ogni momento. L'Australia lo aveva già fatto allo scoppio della guerra nel Pacifico e anche l'opinione pubblica neozelandese favoriva una simile scelta. D'altronde una nazione di appena 2 milioni di abitanti e con il 10% della popolazione sotto le armi non poteva sostenere perdite troppo elevate. Fu proprio l'intervento di Freyberg a far sì che la divisione fosse mantenuta in Europa: Alexander poté così risolvere la penuria di uomini sul fronte di Cassino ma dovette preservare la completa autonomia dei neozelandesi. Vedi: Hapgood-Richardson, pp. 152-153, Morris, p. 319, Parker, p. 192, von Senger, p. 288.
Bibliografiche |
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Bibliografia |
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- Gerhard Muhm, La tattica tedesca nella campagna d'Italia, in Linea Gotica avamposto nei Balcani, Roma, Edizioni Civitas, 1993. URL consultato il 21 dicembre 2018 (archiviato dall'url originale il 4 settembre 2012).
Voci correlate |
- Battaglia di Cassino nella cultura di massa
- Croce commemorativa di Monte Cassino
- Monumento alla battaglia di Montecassino (Varsavia)
- Un cantico per Leibowitz
- Wojtek
Altri progetti |
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- Wikimedia Commons
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Collegamenti esterni |
Sito dedicato alla battaglia di Cassino su dalvolturnoacassino.it
Sito dell'Abbazia di Montecassino su abbaziamontecassino.org
Battaglia di Cassino, su thes.bncf.firenze.sbn.it, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze.
(EN) Battaglia di Cassino, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.