Socii e foederati
Col termine foederati o foederate civitates si indicavano i popoli o le città legate a Roma da un trattato (foedus) di alleanza.
Indice
1 Origine del termine
2 Evoluzione del significato
2.1 Età repubblicana
2.2 Età imperiale
2.2.1 Teodosio e i Goti
2.2.2 La crisi germanica e la sua risoluzione in Oriente
2.2.3 I Goti si spostano in Occidente
2.2.4 Gli invasori del Reno
2.2.5 L'età di Ezio
2.2.6 La disgregazione finale dell'Impero d'Occidente
2.2.7 Gli Ostrogoti
2.3 Età bizantina
3 Note
4 Bibliografia
5 Voci correlate
Origine del termine |
Col termine foederati o foederate civitates si indicavano i popoli o le città legate a Roma da un trattato (foedus) di alleanza.
Prima della fondazione di Roma si era creata nel Lazio una confederazione di città latine con capitale Alba Longa, aventi una comunanza di lingua, religione e costumi. Il cittadino, ove si trovasse in ciascuna delle città federate, godeva degli stessi diritti e doveri:
ius hospitalitatis (migrationis): il cittadino federato aveva il diritto di essere accolto e rispettato in ogni città federata, e in generale godeva degli stessi diritti e doveri del cittadino di quella città, tranne che per casi particolari;
ius commercii: ogni cittadino federato poteva commerciare liberamente e aveva diritto di proprietà in ciascuna città federata come se fosse la propria;
ius connubi: ogni cittadino federato poteva sposarsi con qualunque donna della federazione e parimenti godeva della paternità della propria prole;
ius reciperationis: qualora un cittadino federato vedeva lesi i propri diritti, poteva invocare una riparazione e una protezione per il futuro.[1]
Evoluzione del significato |
Età repubblicana |
Sin dagli albori, Roma si trovò in conflitto con la confederazione dei Latini. Sconfitta da prima Alba Longa, sottomise via via tutte le città confederate, dominando alla fine l'intero Lazio. In seguito Roma continuò a rispettare i privilegi dei Latini tramite la ius Latii, mettendosi semplicemente a capo di essa.
Dopo la sconfitta dei Sanniti, di Pirro e della Gallia Cisalpina, Roma controllava l'Italia intera.
Tutti i popoli italici, con alcune eccezioni, vennero considerati socii populi romani o foederati. I latini preservavano però la loro peculiarità anche nel nome, essendo distinti quando appellati nell'insieme, come socii et nomen latinum, ossia i soci e il popolo latino. Roma stessa aveva origini latine e questa era ragione sufficiente a conservare la ius Latii. Ad alcune città latine venne concessa anche la civitas sine suffragio, ossia la cittadinanza romana ma senza la possibilità di voto.
Fra i federati non venivano considerati i galli cisalpini, che costituivano invece provincia. Di diversi privilegi godevano anche le colonie a seconda che fossero romane o latine. Il diverso grado di privilegi, concessi da Roma alle città italiche, diedero luogo a risentimenti e rivendicazioni, che sfociarono nella Guerra Sociale (90-88 a.C.).
Durante questo periodo furono emanate due leggi che concedevano cittadinanza romana a tutti coloro che accettassero di deporre le armi contro Roma: la Lex Iulia De Civitate Cum Sociis Comunicanda del 90 a.C. e la Lex Plautia Papiria dell'89 a.C.
In seguito socii e foederati assunsero significati diversi: i socii Latini nominis erano gli alleati che facevano parte della Lega Latina, ben distinti dai socii italici.
Essi avevano l'obbligo di mandare, quando richiesto, truppe, soldi, grano, navi o qualsiasi altra cosa Roma domandasse. Inizialmente potevano o no mantenere le proprie leggi. Ciò dipendeva spesso dal modo in cui queste città o popoli entravano sotto il dominio di Roma. Ma con l'andar del tempo, tutte assunsero progressivamente le leggi di Roma.[2]
Il numero delle truppe che i socii dovevano inviare era stabilito dal senato tramite una formula che dipendeva dalla capacità demografica della singola città. Spettavano invece al console il luogo del raduno delle truppe, il tempo e le modalità d'impiego.
In un'armata consolare il numero di truppe schierate dai socii era pari a quello dei romani, mentre i cavalieri erano di numero triplo, anche se queste proporzioni non sempre venivano rispettate. Il console nominava dodici prefetti tra i socii, con poteri corrispondenti a quelli dei tribuni militari romani. Dall'armata fornita dai socii veniva prelevato un terzo dalla cavalleria e un quinto dalla fanteria. Questa soldati prendevano il nome di extraordinarii e venivano usati per casi particolari. Il resto veniva diviso in due e formavano le ali dello schieramento.[3]
Il legionario proveniente dai socii prendeva lo stesso salario del romano, mentre il cavaliere un terzo in meno. Ogni città provvedeva al salario e alle forniture di armi e vestiario del proprio cittadino, nominando questori e furieri per la distribuzione. In caso di vittoria i bottini di guerra erano divisi senza distinzione, compresa la spartizione di terre.
I socii erano obbligati a mantenere l'esercito, che sostava presso di loro, con cibo e alloggi, e a fornire cibo di riserva quando partivano. Le città che rifiutavano questo obbligo potevano perdere lo status di socii, fino a vedersi revocare l'onore di servire con le armi o anche la libertà. Dopo l'emanazione della Lex Iulia i rapporti con i socii italici cessarono di essere dominanti. Verso la fine della Repubblica, molti socii lo erano solo di nome, essendo ai fini pratici completamente soggetti a Roma.
Età imperiale |
Rimanevano però i rapporti con gli alleati esteri. Questi erano di due tipi:
foedus aequum: nel caso di legami con città con cui non si era entrati in guerra, o che la guerra non avesse prodotto una vittoria;
foedus iniquum: nel caso di alleanza dovuta a sconfitta, nel qual caso dovevano accordare ogni richiesta venisse da Roma.
I foederati avevano il diritto di dissodare e coltivare la terra incolta entro i confini dell'Impero e ne potevano godere i frutti a patto di difendere le terre dove si erano insediati.
Tale trattato lasciava liberi i popoli che stipulavano l'accordo, obbligandoli solo a fornire milizie ausiliarie e a non concludere alleanze con altri popoli. I soldati provenienti dai socii esteri non facevano parte dei legionari, ma delle forze ausiliare con armi leggere.
Inizialmente, il tributo romano prendeva la forma di denaro o cibo, ma con il diminuire delle entrate fiscali nel IV e V secolo, i foederati venivano ricompensati con la proprietà del territorio locale, il che equivaleva al permesso di insediarsi sul territorio romano.
La pressione sui confini era dovuta anche a ragioni climatiche, che avevano innescato un effetto "domino" a partire dalle popolazioni che vivevano più a nord-est, obbligandole a spostarsi per via del raffreddamento e l'inaridirsi dei pascoli.
Teodosio e i Goti |
.mw-parser-output .vedi-anche{border:1px solid #CCC;font-size:95%;margin-bottom:.5em}.mw-parser-output .vedi-anche td:first-child{padding:0 .5em}.mw-parser-output .vedi-anche td:last-child{width:100%}
Nel corso del IV secolo, fino almeno alla crisi gotica del 376-382, i Foederati erano esclusivamente extra fines, ovvero continuavano a risiedere al di fuori dei confini dell'Impero, impegnandosi a non invaderlo e anzi ad aiutarlo contro incursioni di altre popolazioni barbariche, costituendo dunque una prima linea di difesa avanzata.[4] I foederati Saraceni, posti sotto il governo di un filarca, in cambio di approvvigionamenti regolari di annona (annonae foederaticiae), contribuivano ad esempio alla difesa del limes orientale contro i Persiani. I Foederati extra fines spesso fornivano truppe mercenarie all'Impero in occasione di specifiche campagne militari.
Nel 376, tuttavia, i Goti Tervingi, scacciati dalle loro sedi dagli attacchi degli Unni, chiesero all'Imperatore Valente il permesso di stabilirsi sulla riva sud del Danubio e vennero accettati all'interno dell'Impero. I propagandisti di corte elogiarono Valente per l'ammissione dei Goti Tervingi, in quanto in questo modo si assicurava una considerevole fonte di reclutamento nonché un'ulteriore fonte di entrate per il fisco.[5] In realtà, stando alla tesi di Heather, è possibile che Valente fosse stato costretto ad accogliere i Goti, in quanto il grosso del suo esercito di campo era in Oriente impegnato in operazioni militari contro la Persia, e in Tracia era rimasto un numero troppo esiguo di truppe per opporsi con successo a un eventuale attraversamento non autorizzato del Danubio da parte dei Goti.[6] In effetti, il fatto che Valente intendesse limitare i danni, non accogliendo troppi barbari per volta, è confermato dal fatto che rifiutò l'ammissione dei Goti Greutungi, nonostante anch'essi ne avessero fatto richiesta.[7]
Fino a quel momento, vi erano stati casi (deditio) in cui l'Impero aveva accolto intra fines, cioè all'interno dei confini, delle popolazioni barbariche, insediandoli come contadini non liberi (dediticii) in zone di confine desolate, ma in tal caso i Romani, per precauzione, disperdevano i dediticii in modo da distruggere la loro coesione e renderli facilmente controllabili.[4] Nel caso dei Tervingi ciò non fu fatto: nonostante l'ammissione dei Goti all'interno dell'Impero fosse stata presentata dalla propaganda imperiale come deditio, di fatto il numero eccessivo di Barbari da insediare, a cui si aggiunse il numero esiguo di truppe romane in Tracia, rese impossibile per l'Impero imporre agli immigrati le condizioni in genere imposte ai dediticii; ai Goti fu permesso di mantenere la loro coesione tribale all'interno dell'Impero, costituendo così de facto, anche se non de jure, il primo caso di Foederati intra fines, ovvero Foederati insediati all'interno dei confini dell'Impero.[8]
Le fonti antiche accusano gli ufficiali romani di aver gestito male l'insediamento dei Tervingi: ad esempio, narrano che gli ufficiali romani ricevettero l'ordine di confiscare tutte le armi agli immigrati, ma non adempirono al loro incarico perché corrotti dai Goti; poi li accusano di aver lucrato alle spalle dei Goti, riducendoli dapprima alla fame e vendendo poi loro cibo di scarsa qualità a prezzi carissimi; quando poi avvenne il tentativo di assassinio dei loro capi nel corso di un banchetto, i Goti non ne poterono più dei maltrattamenti subiti e decisero di rivoltarsi e devastare l'Impero (inizi del 377).[9] In realtà, è possibile che la mancata confisca delle armi fosse dovuta alla necessità di velocizzare l'attraversamento del fiume per evitare una sommossa tra i Goti, il che impedì agli ufficiali di controllare perfettamente i loro equipaggiamenti. Il razionamento dei viveri alle popolazioni immigrate può essere inoltre interpretato come un mezzo per tenere sotto controllo una moltitudine di barbari che si sarebbe potuta dimostrare ostile e, data la sua presenza al di qua delle frontiere, molto pericolosa.[8] Anche il rapimento o l'uccisione dei capi barbari durante un banchetto era una tattica usata frequentemente dai Romani al fine di distruggere la coesione delle popolazioni nemiche.[10] Si può concludere che gli abusi che spinsero i Goti alla rivolta fossero tattiche comunemente usate per rendere inoffensivi i nuovi insediamenti di barbari e che tuttavia in questo caso fallirono a causa del numero troppo esiguo di truppe romane, insufficiente a tenere sotto controllo un insediamento di decine di migliaia di guerrieri goti. Probabilmente i Romani, essendosi trovati impreparati a dover accogliere all'improvviso una popolazione così numerosa, non riuscirono a gestire in maniera adeguata l'emergenza, portando alla fine alla rivolta dei Goti.
A peggiorare la situazione, anche i Goti Greutungi, condotti da Alateo e Safrace, riuscirono ad attraversare il fiume e a unire le forze con i Tervingi di re Fritigerno; più tardi, alla fine del 377 alcuni contingenti di Unni e Alani attraversarono il Danubio e rafforzarono ulteriormente il già consistente esercito goto. Il 9 agosto 378 i Goti sconfissero i Romani nella Battaglia di Adrianopoli, nella quale perirono i due terzi dell'esercito campale dell'Impero d'Oriente, insieme allo stesso Imperatore Valente. La grave sconfitta subita costrinse l'Impero romano a venire a patti con i Goti. Teodosio I, il successore di Valente in Oriente, si trovò in notevoli difficoltà quando tentò di ricostituire in tempi brevi un esercito nazionale: le resistenze dei proprietari terrieri a permettere ai propri contadini di svolgere il servizio militare (soprattutto per il timore di perdere manodopera) e la scarsa volontà da parte dei romani stessi a combattere (le leggi romane del tempo lamentano che molti, pur di non essere reclutati, arrivavano persino a mutilarsi le dita della mano) lo costrinsero a fare sempre maggior affidamento sui barbari.[11]Zosimo narra che Teodosio, pur di colmare le perdite subite dall'esercito, fu costretto a ricorrere al reclutamento massiccio di barbari, tra cui molti goti spinti a disertare e a passare dalla sua parte.[12] Alcuni di questi goti si rivelarono fedeli all'Impero, come il generale Modare, che nel 379 riuscì ad espellere i propri connazionali dalla Tracia pacificandola.[13] Tuttavia, secondo il racconto di Zosimo, i disertori goti, che superarono presto in numero le reclute romane, diedero preoccupanti segnali di indisciplina. Dubitando della fedeltà dei disertori barbari reclutati nelle legioni, molti dei quali di origine gotica e quindi connazionali dei barbari che avrebbero dovuto combattere per conto dell'Impero, Teodosio, prudentemente, trasferì parte dei barbari in Egitto, e le legioni dell'Egitto in Tracia.[12] Nonostante questa precauzione, l'esercito, riempito di barbari e caduto nel disordine più totale, subì un'altra sconfitta contro i Goti nei pressi di Tessalonica (estate 380), nella quale l'Imperatore stesso scampò a stento alla cattura; Zosimo attribuisce la sconfitta al tradimento dei disertori goti che defezionarono in favore del nemico nel corso della battaglia.[14]
La sconfitta subita convinse Teodosio dell'impossibilità di poter vincere in maniera definitiva i Goti e della necessità di firmare una pace di compromesso con essi.[15] I Goti, con il trattato del 3 ottobre 382, divennero alleati (foederati o symmachoi) di Roma: furono insediati in territorio imperiale, in Tracia e in Macedonia, rimanendo sotto il comando dei loro capi e ricevendo terre da coltivare; in cambio si impegnarono a fornire assistenza militare all'esercito romano-orientale in caso di necessità.[16][17] Il trattato del 382 probabilmente prevedeva l'obbligo da parte dei Goti insediati all'interno dell'Impero di fornire reclute, scelte tra i loro giovani, all'esercito regolare. Del resto, già in precedenza Teodosio aveva reclutato nell'esercito regolare numerosi soldati goti che avevano disertato dall'esercito nemico. Tuttavia, sembrerebbe che il grosso dei foederati goti non fu integrato nell'esercito regolare, ma serviva in bande irregolari sotto il comando dei loro capi tribali (e non sotto praepositi romani, come nel caso dei laeti) solo in occasione di specifiche campagne militari, venendo congedati dall'esercito al termine di esse; ciò sembrerebbe confermato dal fatto che Sinesio di Cirene e Socrate Scolastico definiscano questi barbari Symmachoi (alleati), e dal fatto che la Notitia Dignitatum attesti esplicitamente solo due reggimenti costituiti interamente da reclute gotiche nella parte orientale.[18] Tuttavia sembra che all'epoca di Teodosio i capi tribali goti, nel corso delle campagne militari, fossero subordinati agli alti ufficiali dell'esercito romano. In tempo di pace i Goti coltivavano le terre loro concesse dallo stato nelle due province settentrionali della diocesi di Tracia, la Moesia II e la Scythia Minor, e presumibilmente anche in Macedonia, ricevendole in proprietà.[19] Stando a un'allusione vaga di Temistio, è possibile anche che per i Goti vigesse la cosiddetta hospitalitas, cioè che fossero alloggiati nelle case dei proprietari terrieri romani. È incerto se i Goti fossero o meno esentati da imposte.
Nonostante formalmente l'accordo fosse stato presentato come una completa sottomissione dei Goti a Roma (deditio), in realtà rappresentò una cesura importante rispetto a tutti i casi precedenti di deditio.[20][21] Infatti, poiché, a differenza dei casi precedenti, i Romani non erano usciti vincitori nel conflitto, ai Goti furono concesse condizioni favorevoli senza precedenti: in particolare, anche se non fu loro riconosciuto un capo unico, fu concessa loro la possibilità di mantenere la loro coesione politica e militare nonché i loro costumi e non furono dispersi per le province, come accadeva nei casi consueti di deditio.[16] I foederati Goti in pratica costituivano una comunità semiautonoma e separata dal resto della popolazione provinciale, separazione accentuata ulteriormente dal fatto che probabilmente non fu concessa loro né la cittadinanza romana né il diritto di sposarsi con i Romani (ius connubii).[22] In realtà, la questione della cittadinanza romana è discussa, ed è possibile che almeno ad alcuni dei capi più eminenti fu concessa (come ad esempio Fravitta). Le terre di insediamento concesse ai Goti continuavano comunque ad appartenere legalmente all'Impero.[23] Considerato che, alla vigilia della Battaglia di Adrianopoli, le richieste gotiche comprendevano la cessione della Tracia ai Goti in cambio della pace, si può concludere che Teodosio riuscì a limitare i danni, impedendo per il momento la creazione di uno stato visigoto indipendente all'interno dell'Impero.
Temistio, retore di Costantinopoli, in un discorso pronunciato nel gennaio 383 al senato bizantino, cercò di raffigurare come "vittoria romana" il trattato di pace (foedus) tra l'Impero e i Goti, nonostante ai Goti fossero state concesse condizioni favorevoli senza precedenti. In tale discorso, Temistio argomentò che Teodosio, mostrando come virtù il perdono, invece di vendicarsi dei Goti sterminandoli in battaglia, decise invece di stringere un'alleanza con essi, ripopolando così la Tracia, devastata dalla guerra, di contadini goti al servizio dell'Impero; Temistio concluse il discorso rammentando come i Galati fossero stati assimilati, con il passare dei secoli, dalla cultura greco-romana ed esprimendo la convinzione che sarebbe accaduto lo stesso con i Goti.[24] Anche il panegirista Pacato nel 389 lodò l'Imperatore per aver ammesso i Goti all'interno dell'Impero impiegandoli come contadini e soldati, e dipingendo i mercenari goti, alani e unni impiegati da Teodosio nella sua campagna militare contro l'usurpatore Magno Massimo come truppe ben disciplinate, serventi sotto insegne e generali romani. Ciò potrebbe implicare che almeno parte dei Goti fosse stata reclutata nell'esercito regolare, ma non è da escludere che il panegirista stesse distorcendo la realtà, presentando come truppe dell'esercito regolare ben disciplinate coloro che di fatto erano contingenti irregolari di alleati barbari.[25]
L'Imperatore Teodosio proteggeva i Goti e concedeva loro molti privilegi, in modo da prevenire una loro nuova rivolta. Zosimo narra che i Goti di stanza in Scythia Minor erano più pagati e onorati delle truppe regolari, ricevendo dall'Imperatore collane d'oro.[26] Tuttavia, invece di essere grati degli ampi privilegi ricevuti, i Goti continuavano a disprezzare le truppe romane e ad insultarle, secondo almeno l'opinione di Zosimo, prevenuto nei loro confronti.[26] Nel 386 Geronzio, comandante della guarnigione di Tomi, temendo che i Goti tramassero qualche insidia a danni della città, li assalì con le sue truppe, uccidendone molti e costringendo i rimanenti a rifugiarsi in una chiesa.[26] Teodosio, per prevenire lo scoppio di una nuova rivolta tra i Goti, punì Geronzio, accusandolo di averli assaliti al solo fine di impadronirsi dei doni imperiali inviati loro per mantenerli fedeli all'Impero (tra cui spiccavano le collane d'oro); Geronzio ribatté all'accusa facendo notare di aver subito consegnato al fisco quelle collane d'oro e di non essersele quindi tenute per sé, e rammentò i ladrocini e le molestie che a suo dire i Goti avrebbero recato agli abitanti della regione, ma Teodosio non cambiò idea: confiscati i suoi averi, li distribuì agli eunuchi di corte.[26] Nel 387 la popolazione di Costantinopoli linciò un soldato goto perché reo di presunte scorrettezze commesse durante la distribuzione di annona: Teodosio condannò l'atto, perché, a dire dell'oratore Libanio, avrebbe potuto costituire una provocazione per i Goti, e minacciò, per punizione, di sospendere le distribuzioni di annona; dimostrando poi clemenza, Teodosio perdonò i cittadini.
Teodosio tentava di assicurarsi la fedeltà dei foederati goti con doni e banchetti.[27] Malgrado ciò, erano sorte due fazioni tra i foederati goti: quella capeggiata da Eriulfo intendeva rompere il trattato di alleanza con l'Impero e devastarlo, mentre quella capeggiata da Fravitta intendeva continuare a servire fedelmente l'Impero in battaglia.[27] Eunapio narra che:
.mw-parser-output .citazione-table{margin-bottom:.5em;font-size:95%}.mw-parser-output .citazione-table td{padding:0 1.2em 0 2.4em}.mw-parser-output .citazione-lang{vertical-align:top}.mw-parser-output .citazione-lang td{width:50%}.mw-parser-output .citazione-lang td:first-child{padding:0 0 0 2.4em}.mw-parser-output .citazione-lang td:nth-child(2){padding:0 1.2em}
«Nei primi anni del regno di Teodosio, scacciata la scitica nazione dalle sue sedi per le armi degli Unni, i capi delle tribù più distinte per nascita e dignità, si rifugiarono presso i Romani; ed avendoli l'imperatore innalzati a grandi onori, poiché si videro ormai abbastanza forti, incominciarono a litigare fra di loro; infatti, mentre alcuni si accontentavano dell'attuale prosperità, altri, al contrario, sostenevano che bisognava mantenere il patto che si erano fatti scambievolmente nella loro patria, né violare in alcun modo que' patti, che erano però iniquissimi ed oltre misura crudeli; questi patti consistevano nell'ordire contro i Romani, e nel nuocere loro con ogni artifizio ed inganno, malgrado fossero da essi colmati di benefici, finché non si fossero impadroniti di tutto lo Stato. Vi erano dunque due partiti opposti: l'uno equo ed onesto, cioè favorevole ai Romani, e l'altro totalmente avverso; ma ambedue tenevano occulti i loro disegni, mentre dall'altro canto non cessava l'imperatore di onorarli, ammettendoli alla sua mensa e permettendo loro libero l'accesso alla reggia.» |
(Eunapio, frammento 60 (Muller).) |
Intorno al 392, durante un banchetto organizzato da Teodosio, probabilmente per negoziare con i capi dei goti la loro assistenza militare contro l'usurpatore Eugenio, i due litigarono al punto che Fravitta giunse ad uccidere Eriulfo; i seguaci di Eriulfo tentarono di uccidere Fravitta, ma furono fermati dalle guardie del corpo dell'Imperatore.[27]
A conferma che la fedeltà dei Foederati goti era assai dubbia, nel 388 l'usurpatore occidentale Magno Massimo riuscì a corromperne molti, con la promessa di grandi ricompense, persuadendoli a tradire Teodosio; l'Imperatore, scoperte le intenzioni proditorie dei Barbari, costrinse i mercenari traditori a fuggire per le paludi e per le foreste della Macedonia, cercandoli con grande diligenza.[28] Tornato a Costantinopoli dopo la sconfitta dell'usurpatore, nel 391, Teodosio scoprì che, durante la sua permanenza in Italia, i disertori barbari erano usciti dalle foreste e dalle paludi e stavano devastando la Macedonia e la Tessaglia. Teodosio intervenne rapidamente alla testa delle sue armate, ma, dopo alcuni iniziali successi, fu messo in difficoltà dalla controffensiva gota, e si salvò solo per l'intervento tempestivo dei rinforzi condotti dal generale Promoto, che repressero la rivolta.[29] Intorno sempre allo stesso periodo, stando ad alcune allusioni contenute nei panegirici di Claudiano, i Goti di stanza in Tracia si rivoltarono, guidati da Alarico, e tesero un'imboscata all'Imperatore mentre stava tornando a Costantinopoli lungo la Via Egnazia; presumibilmente l'Imperatore era di ritorno dalla campagna militare contro i Goti di stanza in Macedonia.[30] In ogni modo, Teodosio si salvò a stento, e la situazione si aggravò allorquando numerose popolazioni barbariche provenienti al di là del Danubio si unirono ai Goti nella devastazione della Tracia, nel corso della quale il generale Promoto fu ucciso dagli invasori Bastarni in un'imboscata. In ogni modo, la rivolta dei Goti di Alarico, come anche le incursioni degli altri invasori barbari in Tracia, fu repressa dal generale Stilicone, che stipulò con i Barbari un nuovo trattato di alleanza che prevedeva verosimilmente l'obbligo da parte loro di prendere parte alla campagna militare contro l'usurpatore occidentale Eugenio. Questo trattato di alleanza fu stipulato non solo con i Goti di Alarico ma anche con i cosiddetti Unni di Tracia, che, stando a un frammento di Giovanni di Antiochia, presero parte anch'essi alla campagna militare contro Eugenio.[31]
Le truppe di Foederati barbari che presero parte alla campagna militare contro Eugenio, secondo Zosimo, erano sotto la supervisione di ufficiali romani, seppur di origini barbariche: costoro erano il goto Gainas, l'alano Saul e l'ibero Bacurio. Alla campagna ebbe un ruolo di comando almeno su parte dei Foederati Goti anche Alarico, a cui Teodosio aveva promesso un ruolo di comando nell'esercito romano in caso di successo. I Goti alla fine risultarono decisivi nella battaglia del Frigido, nella quale subirono perdite consistenti (10.000 caduti), contribuendo alla sconfitta dell'usurpatore occidentale Eugenio.[32]Orosio scrisse che con la vittoria del Frigido Teodosio ottenne in un colpo solo due successi: uno sull'usurpatore e un altro sugli alleati Goti, che risultarono così indeboliti.[33]
La crisi germanica e la sua risoluzione in Oriente |
Spentosi Teodosio I, la situazione in Oriente si aggravò sempre di più, a causa della cospirazione contro lo stato attuata dai capi germanici dell'esercito al fine di aumentare sempre di più la loro ingerenza. I foederati Visigoti, congedati dall'esercito romano da Teodosio in seguito alla vittoria del Frigido e rispediti in Tracia, scontenti per le perdite subite nella battaglia del Frigido e temendo che i Romani ne avrebbero approfittato per annullare la loro autonomia, si rivoltarono eleggendo loro capo unico Alarico: anch'egli aveva motivi per rivoltarsi, essendogli stata promessa da Teodosio I la carica di magister militum, promessa poi non mantenuta.[34] Secondo Heather, l'obbiettivo della rivolta dei Goti era costringere l'Impero a rinegoziare il foedus del 382 a condizioni più favorevoli: con ogni probabilità, le richieste gote comprendevano il riconoscimento di un proprio capo unico, e la nomina di questi a magister militum dell'esercito romano.[35] Vi furono anche sospetti di collusione tra i Goti e il prefetto del pretorio d'Oriente Flavio Rufino, comunque non provati.[34][36] Il resoconto di Zosimo sui saccheggi dei Goti di Alarico nei Balcani è ingarbugliato, e parrebbe aver fuso gli avvenimenti di due campagne distinte (una nel 395 e un'altra nel 396) in una sola: certo è, comunque, che i Visigoti devastarono senza opposizione la Tracia e la Macedonia forse anche con la complicità di alcuni generali romani traditori.[34][37] Alla fine Eutropio, il nuovo primo ministro dell'Imperatore d'Oriente Arcadio, fu costretto a nominare Alarico magister militum per Illyricum e a concedere nuove terre ai Goti in Dacia e in Macedonia, pur di porre fine alla rivolta.
Questo trattato con i Visigoti di Alarico fu criticato da numerose personalità dell'epoca. Claudiano, panegirista di Stilicone, nel suo libello contro Eutropio, commentò:
«Il devastatore dell'Acaia e dell'Epiro privo di difese [Alarico] è ora signore dell'Illiria; ora entra come amico dentro le mura che un tempo assediava, e amministra la giustizia a coloro le cui mogli aveva sedotto e i cui figli aveva assassinato. E questa sarebbe la punizione da infliggere a un nemico...?» |
(Claudiano, In Eutropium, II, 214-219.) |
Intorno sempre a questo periodo anche Sulpicio Severo si lamentò dell'imbarbarimento dell'esercito, sostenendo che fosse stato un errore ammettere in territorio romano orde di barbari che avevano solo finto di sottomettersi, con la conseguenza che gli eserciti e le città dell'Impero si erano riempiti di barbari che, pur vivendo in mezzo ai Romani, non si adattavano ai loro costumi, ma mantenevano i propri:
«Perché è ovvio che il territorio romano è occupato da nazioni straniere, o dai ribelli, o che è stato consegnato proprio a coloro che si erano arresi sotto una apparenza di pace. È anche evidente che le nazioni barbare, e soprattutto Ebrei, si sono mescolati con i nostri eserciti, città e province; e noi pertanto li vediamo vivere tra noi, anche se in nessun modo essi accettano di adottare i nostri costumi.» |
(Sulpicio Severo, Chronicon, II,3.) |
Anche Sinesio di Cirene criticò il trattato con i Goti del 397, sostenendo che fosse necessario che l'esercito tornasse ad essere veramente romano e non più composto in buona parte da truppe germaniche a rischio continuo di rivolta. Intorno al 397 Sinesio si recò alla corte di Arcadio per chiedere all'Imperatore una riduzione delle tasse e nel suo discorso all'Imperatore (pubblicato successivamente con il titolo De regno) si lamentò tra l'altro dell'imbarbarimento dell'esercito:
«Invece di permettere agli Sciti [Goti] di servire nel nostro esercito, dovremmo cercare dall'agricoltura così cara a costoro gli uomini che combatterebbero per difenderlo [...]. Prima che le cose volgano al peggio, come stanno ora tendendo, dovremmo recuperare il coraggio degno dei Romani, e abituarci di nuovo a ottenere da soli le nostre vittorie, non ammettendo l'amicizia con questi stranieri, ma impedendo la loro partecipazione in ogni rango. Prima di tutto bisognerebbe escludere dalle magistrature [...] uomini [...] come quello che si toglie la pelliccia da pecora [...] per assumere la toga, ed entra nel senato per deliberare su questioni di stato con i magistrati romani, disponendo di un posto a sedere prominente forse accanto a quello del console, mentre gli uomini retti siedono dietro di lui. Questi tali, quando lasciano l'assemblea, si rivestono delle loro pellicce da pecora, e una volta in compagnia dei loro seguaci, deridono la toga, e sostengono che indossandola non riescono nemmeno a sguainare la spada. Da parte mia mi meraviglio di molte altre cose, ma non di meno per la nostra condotta assurda. Tutto questo alla faccia che ogni casa, anche modesta, ha uno servo scita [...] ed è stato provato […] che la loro è la razza più utile, e più idonea a servire i Romani. Ma che questi [...] dovrebbero essere servi in privato a quegli stessi uomini che essi governano in pubblico, questo è strano, forse la cosa più incredibile [...]. Se, come suppongo, è nella natura delle cose che ogni servo è il nemico del suo signore poiché ha speranze di sopraffarlo, accadrà ciò anche con noi? Stiamo noi facendo germogliare a una scala molto più grande i germi di guai inauditi? Si rammenti che nel nostro caso non sono meramente due uomini, o degli individui disonorati a condurre una ribellione, ma grandi e perniciose armate che, connazionali dei nostri stessi servi, hanno per scherzo malvagio del destino ridotto in cattivo stato l'Impero romano, e hanno fornito generali di grande reputazione sia tra di noi che tra loro stessi, “per la nostra stessa natura codarda”. È necessario ridurre la loro forza, è necessario rimuovere la causa straniera della malattia [...] perché i mali devono essere curati al principio della loro insorgenza, perché quando si sviluppano è troppo tardi per arrestarli. L'esercito deve essere purificato dall'Imperatore [...].» |
(Sinesio, De regno, 14-15.) |
Riguardo ai Goti di Alarico, Sinesio scrive:
«Ma in questi giorni [i Goti] si sono presentati di fronte a noi, non per sfidarci in battaglia, ma come supplicanti, perché erano stati scacciati dal loro paese [dagli Unni]. [...] Quando loro avevano pagato la pena per la loro condotta grazie a tuo padre [Teodosio], che aveva preso le armi contro loro, essi di nuovo divennero oggetto di compassione, e si prostrarono ai suoi piedi supplicanti insieme alle loro donne, e colui che era stato il loro conquistatore in guerra, fu sopraffatto dalla pietà. Li sollevò dalla loro posizione prostrante, li rese suoi alleati, e li ritenne degni della cittadinanza. Inoltre, aprì loro l'accesso agli uffici pubblici, e consegnò nelle loro mani [...] parte del territorio romano [...]. Fin dall'inizio questi uomini ci hanno trattato con derisione, sapendo cosa meritavano di subire per nostra mano, e cosa dovrebbero meritare; e questa nostra reputazione ha incoraggiato i loro vicini [...] a implorare [...] indulgenza usando come precedente il caso di queste canaglie. [...] È necessaria quindi l'ira contro questi uomini, ed essi o areranno il suolo in obbedienza agli ordini [...] o percorreranno di nuovo la stessa strada per fuggire, e annunciare a coloro al di là del fiume che la loro precedente gentilezza non sopravvive più presso i Romani, perché una persona giovane e di nobile nascita [Arcadio] è alla loro testa [...].» |
(Sinesio, De regno, 15.) |
Basandosi sulle opere di Sinesio (De regno e De providentia), gran parte della storiografia moderna ha dedotto che all'epoca a Costantinopoli vi fossero due partiti in contrapposizione tra di loro, uno antigermanico e uno germanico: quello germanico era favorevole all'ammissione dei Barbari all'interno dell'Impero e dell'esercito, quello antigermanico invece voleva espellerli. Questo partito antigermanico, costituito da senatori e ministri legati alle tradizioni romane, si sarebbe opposto al governo di Eutropio, accusato di essere troppo accondiscendente nei confronti di Alarico e dei foederati goti, e sarebbe stato guidato da Aureliano. Recentemente, tuttavia, alcuni studiosi hanno messo in forte dubbio questa interpretazione delle opere di Sinesio e soprattutto l'effettiva esistenza di questi due partiti.[38]
Nel 399, diversi reggimenti dell'esercito romano costituiti da Goti Greutungi e insediati in Asia Minore, si rivoltarono sotto il comando del generale di origini gotiche Tribigildo e cominciarono a devastare l'intera Anatolia.[39] L'esercito ribelle di Tribigildo non era costituito da Foederati, bensì da truppe barbare integrate nell'esercito regolare come dediticii o laeti.[40]Claudiano, panegirista di Stilicone, commentò amaramente che le truppe ribelli di Tribigildo «erano stati fino a poco prima una legione romana, a cui avevamo concesso dei diritti dopo averli vinti, a cui avevamo dato campi e case».[41] Eutropio inviò i generali Gainas e Leone contro Tribigildo, ma Leone fu sconfitto e ucciso in battaglia dall'esercito ribelle, mentre Gainas rimase in inazione. Si ebbero successivamente forti sospetti che il generale di origini gotiche Gainas fosse colluso con il suo connazionale Tribigildo. Entrambi infatti provavano risentimento per Eutropio ed entrambi volevano ottenerne la rovina. Per porre fine alla rivolta, Arcadio fu costretto ad acconsentire alle richieste di Tribigildo, che richiedeva la rimozione di Eutropio: nel luglio 399, Eutropio fu destituito ed esiliato a Cipro, poi richiamato qualche tempo dopo dall'esilio e infine giustiziato a Calcedonia nello stesso anno.[42]
Secondo l'interpretazione tradizionale della storiografia moderna, a questo punto avrebbe preso il potere il partito antigermanico, grazie alla nomina del suo principale esponente, Aureliano, a prefetto del pretorio d'Oriente. La presa del potere di Aureliano e del partito antigermanico avrebbe scontentato Gainas, che era di origini gotiche, e che quindi si sarebbe rivoltato insieme a Tribigildo per costringere Arcadio a destituire dal potere Aureliano e gli altri esponenti del partito antigermanico. Secondo altri studiosi, invece, Aureliano non avrebbe mostrato alcuna tendenza antigermanica, ma avrebbe continuato, come Eutropio, a mettere in secondo piano Gainas, non concedendogli cariche di rilievo, e ciò avrebbe spinto Gainas a tramarne la destituzione.[43] Alla fine Arcadio fu costretto a destituire del potere Aureliano e i suoi collaboratori, sostituendoli con uomini di fiducia di Gainas (aprile 400).[44]
Gainas a questo punto era diventato la personalità più potente dell'Impero romano d'Oriente. Numerose fonti antiche lo accusano di aver occupato la stessa capitale Costantinopoli con migliaia di truppe gotiche. Alcuni studiosi hanno messo in forte discussione questa tesi, sostenendo che i Goti presenti nella capitale fossero soprattutto civili.[45] Il 12 luglio 400, la popolazione di Costantinopoli, temendo che Gainas intendesse saccheggiare Costantinopoli per prendere il potere, insorse trucidando inferocita settemila goti presenti nella Capitale.[46] Gainas in quel momento era fuori città e fu proclamato "nemico pubblico" dell'Impero dall'Imperatore Arcadio, che ritenne fondati i sospetti.[46] Gainas saccheggiò conseguentemente la Tracia e tentò di attraversare l'Ellesponto per passare in Asia, ma la sua traversata fu impedita dalla flotta romana condotta dal generale gotico Fravitta, che inflisse all'esercito di Gainas pesanti perdite.[47] Gainas tentò allora la fuga a nord del Danubio, ma fu attaccato e ucciso dagli Unni di Uldino, il quale inviò la testa del ribelle all'Imperatore Arcadio (dicembre 400).[48] Nel frattempo Aureliano e gli altri funzionari destituiti ed esiliati da Gainas furono liberati e poterono tornare nella capitale.[49]
La rovina di Gainas determinò la liberazione dell'Impero d'Oriente dai foederati barbari; dopo la rovina di Gainas, Alarico fu privato della carica di magister militum per Illyricum e fu costretto a cercare un insediamento per il suo popolo altrove; secondo alcune congetture, Alarico sarebbe stato sobillato per via diplomatica dai ministri di Arcadio a invadere l'Italia al duplice fine di danneggiare Stilicone e di liberarsi dei Goti, ma questa teoria è stata contestata da diversi studiosi, come Cameron e Long, che fanno notare che i rapporti tra le due partes migliorarono nel periodo del 401-403, il che rende loro implausibile tale teoria; Cameron e Long sostengono invece la tesi che Arcadio probabilmente sfruttò l'alleanza con gli Unni di Uldino ordinando loro di attaccare i Goti di Alarico, che furono così costretti a sloggiare dalle province dell'Oriente romano.[50] In ogni modo, Alarico, disperando di riuscire a raggiungere un nuovo accordo con Arcadio, decise di invadere le province dell'Occidente romano, sperando di riuscire a costringere Onorio a concedere ai Goti di insediarsi, in qualità di foederati, in una provincia dell'Impero d'Occidente. L'Impero d'Oriente riuscì così a liberarsi dei Goti di Alarico, che diventarono da quel momento in poi un problema dell'Impero d'Occidente.
Non vi fu comunque una epurazione dei Barbari dai ranghi dell'esercito, come era stato sostenuto in passato dai sostenitori della teoria del partito antigermanico. Anche dopo la vittoria su Gainas, i Barbari continuarono a dare un importante contributo all'esercito romano-orientale, ma non più come tribù semiautonome e sostanzialmente non sottomesse insediatesi all'interno dei confini in qualità di Foederati e guidate in battaglia dai loro capi tribù, bensì come truppe ben integrate nell'esercito regolare e poste sotto il comando di generali romani, eventualmente anche di origini barbariche. Anche dopo il 400, vi è evidenza di magistri militum di origini barbariche, come Fravitta, di origini gotiche e console nel 401, Arbazacio, di origini armene, Varanes, di origini persiane e console nel 410, e Plinta, di origini gotiche e console nel 419.[51] L'Impero d'Oriente, liberandosi dall'influenza dei foederati, riuscì così a preservarsi dalla rovina, cosa che invece non riuscì all'Occidente romano, che sarebbe caduto nel 476 proprio in seguito a una rivolta di foederati condotti da Odoacre.
I Goti si spostano in Occidente |
Sfruttando l'irruzione in Rezia e Norico dei Vandali e di altri barbari, Alarico invase l'Italia, probabilmente nel novembre 401, portando con sé tutto il suo popolo e le spoglie ottenute dai saccheggi in Oriente; le sue mire erano ottenere un nuovo insediamento per i Visigoti in una provincia dell'Impero d'Occidente. Occupate le Venezie, Alarico diresse il suo esercito in direzione di Milano, capitale dell'Impero romano d'Occidente, con l'intento di espugnarla. Fu però sconfitto da Stilicone a Pollenzo e a Verona e spinto al ritiro. Alcuni studiosi ritengono che i Goti di Alarico fossero tornati nell'Illirico Orientale, sulla base di una lettera di Onorio ad Arcadio datata 404 che attesta che l'Illirico Orientale fosse all'epoca devastato da non ben precisati barbari (presumibilmente i Goti di Alarico).[52] Altri studiosi, invece, sulla base di un brano di Sozomeno, sostengono che Stilicone aveva spinto Alarico al ritiro accettando di assoldare le sue truppe come foederati: concesse loro di occupare terre in Dalmazia e in Pannonia, e garantì ad Alarico il titolo di governatore militare dell'Illirico occidentale (comes Illyrici).[53] In ogni modo, entro il 405, Stilicone aveva stipulato un'alleanza con Alarico al fine di ottenerne l'aiuto militare contro l'Impero d'Oriente, al quale intendeva sottrarre le diocesi contese dell'Illirico Orientale.
In vista della progettata campagna contro l'Impero d'Oriente, Stilicone rifiutò di riconoscere il console romano-orientale per l'anno 405 e vietò alle navi romano-orientali l'accesso ai porti romano-occidentali; al contempo, si mise in contatto con Alarico, ordinandogli di invadere l'Epiro, all'epoca sotto la giurisdizione di Costantinopoli, e attendere in quella provincia l'arrivo delle truppe romano-occidentali. Stilicone probabilmente intendeva costringere Arcadio a restituire all'Occidente romano l'Illirico orientale per poi concedere ad Alarico il governo militare delle province conquistate, con la carica di magister militum per Illyricum; in questo modo Stilicone, a corto di soldati, avrebbe acquisito un'importante fonte di reclutamento (l'Illirico aveva sempre fornito truppe efficienti e combattive) e avrebbe potuto contare anche su ulteriori aiuti militari da parte dei Goti di Alarico, una volta accolte le loro richieste.[54] Proprio in vista dell'auspicato ritorno dell'Illirico orientale sotto la giurisdizione della parte occidentale, Stilicone aveva già eletto il prefetto del pretorio dell'Illirico, Giovio, allo scopo di approvvigionare l'armata di Alarico. L'invasione dell'Italia da parte di Radagaiso, avvenuta nel corso del 405-406, nonché l'invasione della Gallia del 406-407 (sia da parte di Vandali, Alani e Suebi, che da parte delle truppe ribelli sotto il comando dell'usurpatore Costantino III), trattennero Stilicone dal raggiungere Alarico in Epiro, e alla fine la spedizione fu annullata.
Alarico, contrariato per l'annullamento della spedizione, decise di marciare in Norico, da dove minacciò un attacco all'Italia nel caso il governo di Onorio non gli avesse pagato 4.000 libbre d'oro, da intendersi come rimborso spese per tutto il tempo trascorso dai Visigoti in Epiro in attesa di Stilicone, senza ricevere né stipendi, né compensi di altra forma per i servigi che stavano prestando in favore del generale.[55] Il senato, riunitosi, sembrava propendere per la guerra piuttosto che al pagamento dei foederati di Alarico, quando intervenne Stilicone che spiegò che il re goto era intervenuto in Epiro per assistere l'Impero d'Occidente nel tentativo di recuperare l'Illirico orientale e che la spedizione avrebbe avuto successo se Onorio non l'avesse annullata persuaso in ciò da Serena, moglie del generale, che mirava, contrariamente ai piani del marito, alla concordia tra le due parti dell'Impero; il generale concluse il discorso asserendo che Alarico rivendicava a ragione il pagamento proprio per i servigi resi all'Impero d'Occidente nell'Illirico.[55] Il senato, di fronte alla superiore autorità di Stilicone, accettò controvoglia di versare il tributo ad Alarico, ma non tutti si sottomisero: un senatore di nome Lampadio affermò audacemente che il pagamento al re goto non era «una pace ma un trattato di servitù», per poi rifugiarsi in chiesa timoroso delle insidie di Stilicone.[55]
Stilicone, a questo punto, intendeva utilizzare i foederati goti di Alarico per recuperare il controllo della Gallia, in quel momento in mano dell'usurpatore Costantino III, nonché devastata da Vandali, Alani e Suebi; a tal fine, nel corso di un incontro avvenuto a Bologna con Onorio, fu scritta una lettera da consegnare al re goto per informarlo del suo nuovo incarico.[56] Stilicone rassicurò Onorio che lui stesso si sarebbe recato a Costantinopoli per mettere al sicuro la successione di Teodosio II, succeduto da poco tempo ad Arcadio.[56] Dopo che Onorio partì alla volta di Pavia, tuttavia, Stilicone esitò a partire per Costantinopoli.[57] Nel frattempo, la fazione della corte di Onorio contraria alla politica filogotica e antibizantina di Stilicone, capeggiata dal cortigiano Olimpio, decise di passare all'azione per provocare la rovina del generale: Olimpio insinuò, di fronte all'Imperatore e all'esercito radunato a Pavia in vista della prevista campagna in Gallia contro l'usurpatore Costantino III, che Stilicone fosse la causa di tutte le calamità che stavano flagellando l'Impero.[57] Lo accusò di stare brigando con Alarico, di aver sobillato i Vandali, gli Alani e gli Svevi a invadere la Gallia e di avere intenzione di recarsi a Costantinopoli per detronizzare Teodosio II e porre al suo posto sul trono romano-orientale suo figlio Eucherio; inoltre, insinuò che, ben presto, avrebbe sfruttato l'indebolimento dell'Impero per detronizzare Onorio stesso.[57] L'esercito di Pavia, sobillato da Olimpio, si rivoltò, mettendo a sacco la città e giustiziando i principali sostenitori di Stilicone.[57] Onorio, convinto da Olimpio della fondatezza delle accuse di tradimento che pendevano su Stilicone, ordinò alle truppe di Ravenna di catturarlo e giustiziarlo.[58] Stilicone fu giustiziato il 23 agosto 408 per opera di Eracliano.[58]
In seguito all'esecuzione di Stilicone, i sostenitori e parenti del generale finirono per essere trascinati nella sua rovina.[59] In seguito alla presa di potere da parte di Olimpio, che con la nomina a magister officiorum era da poco diventato il primo ministro di Onorio, assunse il controllo dello Stato la fazione antibarbarica contraria all'imbarbarimento dell'esercito e alla negoziazione con Alarico: tale politica, tuttavia, provocò effetti deleteri per l'Impero, come dimostrò il fatto che il massacro delle famiglie dei mercenari assoldati da Stilicone, attuato dai soldati romani forse sobillati da Olimpio, spinse i suddetti mercenari a disertare e aggregarsi all'esercito di Alarico, chiedendo al re visigoto di vendicare il massacro delle loro famiglie.[59] Alarico ebbe così il pretesto per invadere di nuovo l'Italia al fine di ottenere condizioni sempre più favorevoli per i suoi guerrieri mercenari ricattando il governo di Ravenna: il re goto rivendicava in particolare un insediamento permanente all'interno dell'Impero per i suoi guerrieri mercenari e per le famiglie al loro seguito. Prima di invadere la penisola, tuttavia, Alarico tentò la via diplomatica, richiedendo al governo di Ravenna il pagamento di un tributo e la cessione di alcuni ostaggi, in cambio della rinuncia all'invasione della Penisola e del ritiro dei Visigoti in Pannonia.[60] L'intransigente regime di Olimpio, tuttavia, rifiutava sia di negoziare con Alarico sia di prendere provvedimenti per arginare l'invasione, con il risultato che, visto ogni tentativo diplomatico fallire, Alarico invase l'Italia avanzando senza opposizione fino a Roma, che assediò per diverso tempo senza che l'Urbe ricevesse aiuti da Ravenna, e levando l'assedio solo dietro versamento di un tributo da parte delle autorità cittadine.
Prima di procedere al versamento del tributo, il senato romano inviò un'ambasceria a Onorio, per indurlo a negoziare una pace con Alarico e i Visigoti: questi ultimi, in cambio di denaro e della cessione in ostaggio di alcuni figli di persone di illustre rango, si impegnavano a sospendere le ostilità contro lo Stato romano e anzi passare di nuovo al suo servizio in qualità di foederati (alleati) dell'esercito romano.[61] Avendo ricevuto l'assenso di Onorio, il senato procedette a versare il tributo ad Alarico.[61] Olimpio si oppose però alla prosecuzione delle trattative, spingendo Alarico a ripristinare il blocco all'Urbe, privando così i suoi abitanti della libertà di uscire dalle mura.[62] Il senato romano, messo alle strette da Alarico, decise di inviare una nuova ambasceria presso Onorio.[62] Mentre l'ambasceria si trovava presso l'Imperatore, a Ravenna giunse la notizia che l'esercito visigoto condotto dal cognato di Alarico, Ataulfo, aveva oltrepassato le Alpi Giulie invadendo la Penisola; in seguito al fallimento da parte di Olimpio di impedire ad Ataulfo di ricongiungersi con Alarico rinforzando così il suo esercito, gli eunuchi di corte accusarono Olimpio per tutte le calamità che stavano colpendo l'Impero romano d'Occidente, ottenendo la sua destituzione.[63]
Il nuovo primo ministro di Onorio, il prefetto del pretorio Giovio, riprese le negoziazioni con Alarico, che ebbero luogo a Rimini.[64] Le richieste del re goto consistevano in un tributo annuale in oro e in grano, e nello stanziamento dei Visigoti in Norico, Pannonia e nelle Venezie.[64] Giovio inviò le richieste di Alarico per iscritto all'Imperatore, suggerendogli inoltre di nominare il re goto magister militum, nella speranza che ciò sarebbe bastato per convincerlo ad accettare la pace a condizioni meno gravose per lo Stato romano.[64] Onorio, nella lettera di risposta, rimproverò Giovio per la sua temerarietà, sostenendo che sarebbe stato disposto a versare ad Alarico un tributo annuale, ma che mai e poi mai avrebbe accettato di nominarlo magister militum.[64] Quando Alarico fu informato che Onorio aveva rifiutato di nominarlo magister militum, sentendosi insultato, ruppe ogni trattativa e si diresse di nuovo verso Roma.[65] Durante la sua avanzata verso l'Urbe, però, Alarico cambiò idea, arrestando la sua marcia, e inviando ambasciatori a Ravenna per negoziare una nuova pace a condizioni più moderate delle precedenti: in cambio di un modesto tributo in grano e dello stanziamento dei Visigoti nella poco prospera provincia del Norico, il re goto avrebbe accettato la pace con lo Stato romano.[66] Anche questa volta le richieste di Alarico vennero respinte, costringendo il re dei Visigoti a riprendere la marcia su Roma.[67]
Verso la fine del 409, Alarico assediò per la seconda volta Roma, minacciando di distruggerla a meno che gli abitanti della città non si fossero rivoltati contro Onorio e avessero eletto un imperatore fantoccio sotto il controllo dei Visigoti.[68][69] Il senato romano, essendo conscio che se non avessero accettato le condizioni di Alarico, Roma sarebbe stata distrutta, dopo una lunga discussione, accettò di far entrare Alarico in città e di nominare un imperatore fantoccio sotto il controllo dei Visigoti, il prefetto della città Prisco Attalo.[69][70] Attalo nominò come propri magistri militum Alarico e Valente, mentre Ataulfo fu nominato comandante della cavalleria domestica.[69][70] Alarico consigliò Attalo di inviare un esercito di barbari condotti dal visigoto Drumas in Africa per rovesciare Eracliano e sottomettere l'Africa, ricevendone però il rifiuto: Attalo inviò in Africa solo truppe romane, sotto il comando di Costante.[69][70] Nel frattempo, Attalo inviò un esercito in direzione di Ravenna per detronizzare l'Imperatore legittimo Onorio.[69][70] L'assedio, tuttavia, fallì per l'arrivo provvidenziale da Costantinopoli di truppe romano-orientali, che difesero efficacemente la città.[69][71] Nel frattempo, in Africa, l'armata di Costante venne sconfitta da Eracliano, che interruppe i rifornimenti di grano all'Urbe, che fu conseguentemente colpita da una carestia.[72] Giovio, inoltre, riuscì a persuadere Alarico che se Attalo si fosse impadronito di Ravenna e avesse rovesciato Onorio, avrebbe ucciso proprio il re visigoto.[72] Di fronte al rifiuto da parte di Attalo di inviare un esercito di Visigoti in Africa per sottometterla, nonché alle calunnie mosse nei confronti dell'usurpatore da parte di Giovio, Alarico, avendone abbastanza dei tentennamenti di Attalo, condusse Attalo a Rimini e qui lo privò del trono, spogliandolo di diadema e porpora che inviò all'Imperatore Onorio.[69][73] Ma, pur riducendolo a cittadino privato, lo mantenne accanto a sé, fino a quando l'Imperatore non l'avrebbe perdonato.[73][74] Alarico procedette quindi in direzione di Ravenna per discutere la pace con Onorio; ma il generale romano-goto Saro, che stazionava con circa 300 soldati nel Piceno, ritenendo che un trattato di pace tra Visigoti e Romani non gli sarebbe stato di alcun vantaggio, attaccò proditoriamente l'esercito di Alarico, rompendo ancora una volta le trattative di pace e spingendo il re goto ad assediare per la terza volta Roma, che espugnò e saccheggiò per tre giorni (24 agosto 410).[75][76] Alarico perì alcuni mesi dopo in Calabria senza essere riuscito nell'impresa di ottenere un insediamento permanente per il suo popolo: ogni tentativo di negoziazione con Onorio (nel corso dei quali Alarico aveva proposto come provincia dove stabilirsi in cambio della pace il Norico) era fallito.
Il suo successore, Ataulfo, portò i Goti in Gallia nel 412, dopo aver devastato per altri due anni l'Italia "come locuste", e portando con sé come ostaggi Galla Placidia, sorella dell'Imperatore, e l'usurpatore Prisco Attalo. Dopo aver detronizzato i due usurpatori gallici Giovino e Sebastiano per conto di Onorio, che come contropartita aveva promesso di pagare un tributo in grano ai Visigoti, Ataulfo si lamentò per il fatto che la promessa non fosse stata mantenuta dai Romani, presumibilmente perché la rivolta di Eracliano in Africa aveva interrotto i rifornimenti di grano dall'Africa; pretese, in cambio della pace e della restituzione di Placidia, che l'Impero rispettasse la promessa del tributo in grano.[77] Di fronte al fallimento delle trattative, il re goto assunse di nuovo un atteggiamento ostile, impadronendosi, nel corso del 413, di gran parte della Gallia Narbonense. Nel 414, inoltre, Ataulfo sposò la sorella di Onorio, Galla Placidia, tenuta in ostaggio dai Goti fin dai giorni del sacco di Roma.[78][79][80] Secondo Orosio, Ataulfo:
«... preferì combattere fedelmente per l'Imperatore Onorio e impiegare le forze dei Goti per la difesa dello stato romano... Sembra che in un primo momento desiderasse combattere contro il nome romano e rendere tutto il territorio romano un impero gotico di nome e di fatto, in modo che, per usare espressioni popolari, la Gothia avrebbe preso il posto della Romània, ed egli, Ataulfo, sarebbe diventato un nuovo Cesare Augusto. Avendo scoperto dall'esperienza degli anni che i Goti, a causa della loro barbarie..., erano incapaci di ubbidire alle leggi, e ritenendo che lo stato non dovrebbe essere privato di leggi senza le quali non sarebbe tale, scelse per sé almeno la gloria di restaurare e aumentare la grandezza del nome romano tramite la potenza dei Goti, desiderando di essere ricordato dalla posterità come il restauratore dell'Impero romano e non il suo distruttore... Cercò quindi di trattenersi dalla guerra e di promuovere la pace, aiutato in ciò specialmente da sua moglie, Placidia, una donna di intelligenza e di pietà straordinaria; fu guidato dai suoi consigli in tutte le misure conducenti al buon governo.» |
(Orosio, VII,43.) |
Il matrimonio tra Ataulfo e Placidia non trovò però l'approvazione della corte di Onorio, che rifiutò ogni negoziazione con i Visigoti. Nel 414 Ataulfo reagì proclamando Imperatore fantoccio sotto il controllo dei Visigoti Attalo, salvo poi abbandonarlo ai Romani quando fu costretto a evacuare la Gallia di fronte all'avanzata delle legioni del nuovo generale di Onorio, Flavio Costanzo, che costrinsero i Goti alla negoziazione bloccando loro l'arrivo di rifornimenti.
Una pace definitiva con l'Impero arrivò solo nel 416, allorché Costanzo concesse ai Goti, condotti dal loro nuovo re Vallia, di insediarsi in qualità di foederati in Aquitania e si impegnò a rifornirli di 600.000 moggi di grano: in cambio i Goti avrebbero combattuto i Vandali, gli Alani e gli Suebi che avevano occupato militarmente gran parte della Spagna e avrebbero restituito Galla Placidia.[81] Fu comunque solo verso la fine del 418 che avvenne effettivamente l'insediamento in Aquitania, nella valle della Garonna, dopo che i Visigoti avevano passato gran parte del 416, del 417 e del 418 a combattere per conto dell'Impero gli invasori della Spagna. I Visigoti furono insediati in Aquitania II e in alcune regioni delle province di Novempopulana e di Aquitania I. L'Aquitania sembra sia stata scelta da Costanzo come terra di insediamento per i foederati Visigoti per la sua posizione strategica: infatti era poco distante sia dalla Spagna, dove rimanevano da annientare i Vandali Asdingi e gli Svevi, sia dalla Gallia nord-occidentale, dove forse Costanzo intendeva impiegare i Visigoti per combattere i ribelli separatisti Bagaudi nell'Armorica.[82]
Secondo Filostorgio, i Goti ricevettero terre da coltivare.[79] Sulla base dell'analisi dei codici di legge visigoti e burgundi, si ritiene generalmente che i Goti ottennero, in base all'hospitalitas, almeno un terzo, se non i due terzi, delle terre e delle abitazioni della regione, e godettero dell'esenzione dalle imposte; si noti che nel Tardo Impero, l'hospitalitas consisteva nell'ospitare nelle proprie abitazioni i soldati romani acquartierati in città cedendo loro temporaneamente un terzo delle loro case; l'hospitalitas era dunque un diritto già vigente per l'esercito regolare e solo in seguito applicato ai Foederati; a differenza dei soldati regolari, tuttavia, i Foederati ottennero probabilmente i due terzi delle terre a loro assegnate e in maniera permanente.[83] In alternativa, non è da escludere che i Goti avessero ricevuto terre da coltivare, presumibilmente terre abbandonate o pubbliche per evitare di dover ricorrere a confische a danni dei proprietari terrieri, non in base all'hospitalitas, bensì in qualità di veterani dell'esercito romano congedati dopo aver combattuto in Spagna contro Vandali, Alani e Svevi; solo in un tempo posteriore i Visigoti si sarebbero impadroniti dei due terzi delle terre in base all'hospitalitas.[84] Altre teorie alternative sostengono che i Goti avrebbero ricevuto non terre da coltivare ma un terzo o i due terzi delle entrate fiscali della regione di insediamento; esse però non hanno ricevuto un consenso generale e sono state contestate ad esempio da Heather, che sostiene che negli anni successivi al 418 non si ha traccia «che l'Impero finanziasse direttamente i Goti con il suo gettito fiscale» e che l'assegnazione di terre da coltivare ai Goti è confermata da Filostorgio.[85][86]
Il territorio, almeno inizialmente, continuava ad appartenere legalmente all'Impero, tanto che per qualche tempo continuarono ad operare nella regione i funzionari civili romani, malgrado l'insediamento dei Visigoti.[87] Di fatto, l'insediamento in Aquitania di una popolazione non sottomessa, i Visigoti, rischiava di minare la fedeltà delle popolazioni locali a Roma: già nel corso dell'occupazione visigota della Gallia Narbonense del 414-415, i Visigoti avevano goduto non solo dell'appoggio dei ceti inferiori, oppressi dal fiscalismo romano, ma anche della collaborazione con gli stessi proprietari terrieri, i quali avevano riconosciuto Attalo come imperatore legittimo.[88] Questo fenomeno era molto dannoso per l'Impero, perché le rendite imperiali si basavano sull'intesa con i proprietari terrieri, i quali, in cambio di privilegi e della loro difesa tramite le leggi e l'esercito, accettavano di pagare le tasse.[89] Secondo Heather, «l'Impero romano era sostanzialmente un mosaico di comunità locali che in buona misura si autogovernavano, tenute insieme da una combinazione di forza militare e baratto politico: in cambio dei tributi il centro amministrativo si occupava di proteggere le élite locali».[89] Questo baratto politico fu messo in crisi dalla comparsa dei Visigoti: i proprietari terrieri gallici, lasciati indifesi dall'Impero e non potendo correre il rischio di perdere la loro principale fonte di ricchezza, costituita dalle terre, allentarono i loro legami con l'Impero e acconsentirono a collaborare con i Visigoti, ricevendone in cambio protezione, privilegi e la garanzia di poter conservare le proprie terre.[89]
Costanzo, tuttavia, aveva compreso la gravità di questo problema, e cercò di limitarne gli effetti ricostituendo il Consiglio delle sette province della Gallia, da svolgersi ogni anno ad Arelate, al fine di ristabilire un'intesa nonché una comunanza di interessi tra proprietari terrieri gallici e centro imperiale.[89] Non è da escludere che il consiglio svoltosi nel 418 avesse riguardato lo stanziamento in Aquitania dei Visigoti e delle conseguenze che ciò avrebbe portato per i proprietari terrieri.[89] Peraltro la consapevolezza del problema costituito dall'insediamento visigoto è testimoniata dal fatto che fu stabilito che i governatori delle province dove si erano insediati i Visigoti avrebbero potuto inviare al consiglio dei legati in loro rappresentanza nel caso di impedimenti a presentarsi di persona dovuti a una occupatio certa (l'insediamento visigoto).[90]
Di fatto, i Visigoti non tardarono nel giro di pochi anni a diventare, per usare le parole di Salviano di Marsiglia, gli effettivi domini ac possessores soli romani ("padroni e possessori del suolo romano") in Aquitania, espandendo successivamente i loro territori su tutta la Gallia a sud della Loira e su gran parte della Spagna. L'indipendenza completa dall'Impero, ormai praticamente ridotto solo all'Italia e alla Dalmazia, arrivò comunque solo nel 475, appena un anno prima della sua caduta finale.
Gli invasori del Reno |
Stilicone, per difendere l'Italia dalle incursioni di Alarico e Radagaiso, aveva dovuto sguarnire la frontiera renana di difese, richiamando molte delle guarnigioni galliche a difendere l'Italia. Per garantire un minimo di protezione alla frontiera gallica, si affidò comunque all'alleanza con i Franchi, foederati dell'Impero.
Lo spostamento verso occidente degli Unni spinse tuttavia Vandali, Alani e Svevi a invadere l'Impero attraversando il Reno il 31 dicembre 406.[91] Il tentativo da parte dei Franchi di impedire l'attraversamento del fiume fallì grazie all'arrivo di rinforzi alani che permise agli invasori del Reno di prevalere nello scontro dopo essere stati sull'orlo della sconfitta. L'invasione della Gallia fu devastante, come narra Girolamo:
«Ora spenderò alcune parole sulle nostre sventure attuali [...]. Tribù selvagge in numero innumerevole hanno devastato la Gallia intera. L'intera nazione tra le Alpi e i Pirenei, tra il Reno e l'Oceano, è stata devastata da orde di Quadi, Vandali, Sarmati, Alani, Gepidi, Eruli, Sassoni, Burgundi, Alemanni e — ahimè! per lo stato!— persino da Pannoni [...]. La, un tempo nobile, città di Magonza è stata presa e rasa al suolo. Nella sua chiesa sono stati massacrati migliaia di cittadini. La popolazione di Vangium, dopo un lungo assedio, è stata ridotta al niente. La potente città di Rheims, gli Ambiani, gli Altrebatæ, i Belgi [...], Tournay, Spires, e Strasburgo sono cadute in mano ai Germani: mentre le province dell'Aquitania e delle Nove Nazioni, di Lione e di Narbona sono, con l'eccezione di alcune città, una scena universale di desolazione. E coloro che la spada ha risparmiato, sono colpiti dalla carestia. Non posso parlare senza versare almeno una lacrima di Tolosa, salvata dalla rovina per merito del suo reverendo vescovo Exuperio. Persino le Spagne sono sull'orlo della rovina e tremano ogni giorno sempre di più rimembrando l'invasione dei Cimbri; e, mentre altri soffrono le proprie sventure una volta diventate realtà, essi le soffrono continuamente nell'attesa.» |
(Girolamo, Epistola 123.) |
Nel frattempo verso la fine del 406 la Britannia si era rivoltata alle autorità centrali di Ravenna, eleggendo uno dopo l'altro tre usurpatori, l'ultimo dei quali, Costantino III, nel 407 decise di sbarcare in Gallia con il pretesto di difenderla dagli invasori: ovviamente l'usurpatore intendeva anche espandere la zona sotto il suo controllo a scapito di Onorio.[92] Costantino III, occupata la Gallia, rinnovò quelli che Orosio definisce incerta foedera (trattati instabili) con le tribù insediate lungo il Reno, come Franchi e Alemanni, che si impegnarono in cambio a contribuire alla difesa delle frontiere e a fornirgli rinforzi su richiesta; probabilmente ottenne anche l'appoggio militare dei Burgundi di re Gundicaro, nonché del gruppo di Alani condotto da Goar.[93] Non è da escludere che gli incerta foedera abbiano coinvolto anche Vandali, Alani e Svevi, che sarebbero stati insediati in alcune regioni della Gallia come foederati; questa congettura permetterebbe di spiegare perché le scarne fonti sembrano suggerire un periodo di pace nei domini di Costantino III tra le devastazioni del 406-407 e quelle del 409-410.[94]
Costantino III riuscì inoltre a impadronirsi del controllo della Spagna, affidandone il governo al figlio Costante, anche se commise due errori: affidare il comando delle truppe ispaniche al generale Geronzio e sostituire i presidi locali a difesa dei Pirenei con truppe barbariche dette Honoriaci.[95][96][97][98] E così, quando Geronzio fu informato che era stato destituito dal comando e sostituito da Giusto, adiratosi per la sostituzione, si rivoltò proclamando usurpatore Massimo, e sobillando gli invasori barbari contro Costantino III; i Barbari, rotti gli incerta foedera, devastarono l'Armorica e la Britannia, nonché altre province della Gallia, costringendo molte popolazioni locali ad espellere i magistrati romani e a provvedere da sé alla propria autodifesa; nel frattempo le truppe di Honoriaci, tradendo l'Impero, abbandonarono la difesa dei Pirenei permettendo ai Vandali, Alani e Svevi di invadere la Spagna nel settembre del 409.[95][96][97][98] Il riferimento vago di Zosimo a un'alleanza di Geronzio con dei barbari, e il tradimento degli Honoriaci, lascia supporre che Geronzio si fosse accordato con gli invasori del Reno, cedendo loro gran parte della Spagna in cambio del loro appoggio contro Costantino III, anche se la laconicità delle fonti non permette di giungere a conclusioni certe. In effetti Olimpiodoro accenna a una alleanza tra Geronzio e gli invasori della Spagna, ma questa fu stipulata solo nel 410, quando essi avevano già invaso la Spagna, e del resto non risulta credibile che Geronzio li avesse sobillati in precedenza a invadere i suoi stessi territori.[99]
Nel 411, narra Idazio, gli invasori del Reno si erano spartiti la Spagna nel modo seguente:
«[I barbari] si spartirono tra loro i vari lotti delle province per insediarvisi: i Vandali [Hasding] si impadronirono della Galizia, gli Svevi di quella parte della Galizia situata lungo la costa occidentale dell'Oceano. Gli Alani ebbero la Lusitania e la Cartaginense, mentre i Vandali Siling si presero la Betica. Gli spagnoli delle città e delle roccaforti che erano sopravvissuti al disastro si arresero in schiavitù ai barbari che spadroneggiavano in tutte le province.» |
(Idazio, Cronaca, s.a. 411.) |
Secondo Procopio di Cesarea, lo stanziamento di Vandali, Alani e Svevi in Spagna sarebbe stato autorizzato dalle autorità romane:
«Da lì [...] si mossero e si insediarono in Spagna, la prima terra dell'Impero romano sul lato dell'Oceano. A quei tempi Onorio giunse ad un accordo [...] che stabiliva che essi si sarebbero insediati in quei territori a condizione che non li avrebbero devastati. Ma c'era una legge romana che stabiliva che chi non riusciva a mantenere il possesso della propria proprietà, dopo trent'anni non poteva più procedere legalmente contro chi l'aveva occupata [...] ; e per questi motivi emanò una legge che stabiliva che per quanto tempo dovesse essere trascorso dai Vandali in territorio romano esso non dovesse essere contato nella decorrenza dei trent'anni.» |
(Procopio, Storia delle guerre, III,3.) |
Non va però dimenticato che Procopio è spesso inaccurato nel descrivere gli avvenimenti del V secolo, e inoltre nel 410 la Spagna non era più sotto il controllo di Onorio, bensì dell'usurpatore Massimo e del generale Geronzio: ammesso che lo stanziamento di Vandali, Alani e Svevi fosse stato autorizzato da autorità romane, è maggiormente plausibile che fossero stati Geronzio e Massimo ad autorizzarli, e non Onorio.[100] In ogni modo, Orosio, autore coevo agli avvenimenti, affermò esplicitamente l'illegalità di tali insediamenti.[101] È possibile che, quando le armate di Onorio riconquistarono la Tarraconense, nel 411, l'Imperatore legittimo non riconobbe le concessioni fatte da Geronzio e Massimo, giustificando così l'affermazione di Orosio.
Dalle fonti risulta che quando Geronzio invase la Gallia, nel 411, portò con sé truppe barbare reclutate tra gli invasori del Reno, tra cui alcuni Alani. Anche Costantino III, assediato ad Arelate dapprima dalle truppe di Geronzio e poi da quelle legittimiste di Onorio, fece affidamento su contingenti di foederati barbari, come Franchi e Alemanni, che però non riuscirono a salvarlo dalla capitolazione. Poco prima della resa di Costantino III, giustiziato successivamente dalle truppe di Onorio, i foederati Burgundi e Alani, avendo compreso che l'usurpatore era prossimo alla caduta e non intendendo riconoscere l'autorità di Onorio, nel corso di una riunione tenutasi a Magonza, nominarono un nuovo usurpatore, Giovino, che ottenne inoltre anche l'appoggio dell'aristocrazia gallica.[102] Nel frattempo, nel 412, la Gallia fu invasa dai Visigoti di Ataulfo, che cercarono di passare al servizio di Giovino: quest'ultimo e Ataulfo si trovarono presto in disaccordo e, non approvando la decisione di Giovino di associare al trono il fratello Sebastiano, il re dei Visigoti si accordò con Onorio e detronizzò i due usurpatori. Ritornati in possesso della parte di Gallia non occupata dai Visigoti, nel 413 Onorio e il suo generale Costanzo decisero di riconoscere i Burgundi come Foederati: a loro fu concesso di occupare parte del territorio sulla frontiera del Reno, nella provincia di Germania II. Intorno al 413, i foederati Franchi devastarono la città di Treviri.[98] Nel 416 fu inoltre stipulato un nuovo trattato di pace con i Visigoti, in base al quale essi avrebbero combattuto per conto dell'Impero gli invasori della Spagna e in cambio avrebbero ottenuto l'autorizzazione a insediarsi in Gallia Aquitania.
Nel 416-418 i Visigoti, raggiunta la pace con l'Impero, combatterono, in qualità di Foederati, Vandali, Alani e Svevi in Spagna, riuscendo a recuperare le province di Cartaginense, Betica e Lusitania, che restituirono ai Romani. Non è da escludere che gli Svevi, in questo periodo, fossero diventati Foederati di Roma, ottenendo così il riconoscimento dell'occupazione della Galizia, come sembrerebbero confermare le numerose negoziazioni diplomatiche riportate da Idazio, nonché l'intervento dei Romani del 420 nel conflitto tra Vandali e Svevi in difesa di questi ultimi, che costrinse i Vandali a migrare in Betica.[103] Altri studiosi si sono dimostrati scettici a riguardo, sostenendo che non ci sono prove certe che gli Svevi fossero foederati di Roma, e che l'intervento romano del 420 in appoggio agli Svevi può essere anche spiegato in base alla necessità di mantenere un equilibrio di potere nella penisola iberica.[104] Nel 422 i Vandali sconfissero i Romani in una grande battaglia campale, forse anche grazie a un presunto tradimento dei foederati Visigoti, e negli anni successivi rafforzarono la loro autorità nella Spagna meridionale, devastandola.
L'età di Ezio |
L'instabilità politica nell'Impero d'Occidente susseguitasi in seguito alla morte del valido generale (e poi imperatore d'Occidente insieme ad Onorio nel 421, anche se regnò solo per circa sette mesi) Costanzo portò a un deterioramento ulteriore della situazione. In un primo momento, nel 421/422, i litigi tra Onorio e la sorella Galla Placidia portarono a frequenti tumulti a Ravenna e culminarono con l'esilio di Galla a Costantinopoli (422). Successivamente, spentosi Onorio, l'usurpazione di Giovanni Primicerio indusse l'Impero d'Oriente a inviare una spedizione in Italia per restaurare sul trono d'Occidente la dinastia teodosiana: sconfitto l'usurpatore, fu innalzato sul trono d'Occidente, Valentiniano III, figlio di Galla Placidia e di Costanzo. Infine, le guerre civili tra i tre generali Felice, Bonifacio e Ezio portarono a ulteriore instabilità politica. Alla fine fu Ezio ad avere la meglio: fatto giustiziare Felice con l'accusa di cospirazione nel 430 e ucciso in battaglia nei pressi di Ravenna Bonifacio nel 432, Ezio riuscì nel 433 a conquistare il potere supremo dello Stato, ricoperto solo nominalmente dall'imbelle Valentiniano III.
Mentre parte dell'esercito romano era impegnato in evitabili guerre civili, i Barbari, foederati compresi, colsero l'occasione per espandere la propria sfera d'influenza.[105] In particolare i Vandali e gli Alani, uniti sotto la guida del loro re Genserico, invasero l'Africa, forse chiamati dal Comes Africae Bonifacio, rivoltatosi contro Ravenna (429). Bonifacio si pentì di aver chiamato in Africa i Vandali e gli Alani e tentò di spingerli al ritiro, ma gli invasori si rifiutarono e sconfissero Bonifacio in battaglia, costringendo l'Impero a firmare un trattato di pace nel 435, con cui ai Vandali e agli Alani furono assegnate parte della Mauritania e della Numidia, probabilmente in qualità di foederati dell'Impero; già nel 439, tuttavia, Genserico violò il trattato, conquistando Cartagine nel 439 e invadendo la Sicilia nel 440. L'Impero d'Occidente, non potendo contare sull'aiuto della parte orientale impegnata a respingere le incursioni degli Unni di Attila, fu costretto a firmare uno svantaggioso trattato di pace con i Vandali nel 442: con questo trattato l'Impero ottenne le Mauritanie e una parte della Numidia, oltre alla Tripolitania, ma le province restituite erano state così devastate dai saccheggi nemici, che Valentiniano III fu costretto a ridurre a un ottavo della quota normale le tasse che quelle province erano tenute a versare allo Stato; in cambio i Vandali ottennero dall'Impero le province più produttive dell'Africa, ovvero il resto della Numidia, la Byzacena e la Proconsolare con la capitale Cartagine, e non più in qualità di foederati, ma come stato sovrano. La perdita delle province più produttive dell'Africa e del loro gettito fiscale provocò un ulteriore indebolimento dell'esercito: nel 444 un decreto imperiale ammetteva che le finanze dello Stato, andate in forte crisi in seguito alla perdita del gettito fiscale dell'Africa, non erano più sufficienti per potenziare l'esercito, malgrado fosse necessario farlo a causa dei diversi nemici che lo minacciavano.[106] Alla difficoltà già presente di reclutare soldati tra i Romani, dovuta alle opposizioni dei proprietari terrieri a fornire soldati e dei contadini stessi, si aggiunse quindi il crollo del gettito fiscale, con conseguente impossibilità di potenziare un esercito già debole, per cui i Romani dovettero ricorrere sempre più spesso all'arruolamento di mercenari barbari.
Ezio faceva molto affidamento sui mercenari unni, i quali erano stati determinanti per la sua ascesa al potere. Nel 425 Ezio, con un esercito di 60.000 mercenari unni, era accorso in Italia in sostegno dell'usurpatore Giovanni Primicerio; arrivato troppo in ritardo per salvare Giovanni, Ezio riuscì però a costringere Galla a nominarlo generale, nonostante fosse un sostenitore dell'usurpatore, proprio grazie al grande potere che gli aveva fornito l'armata unna.[107] In seguito, nel 433, Ezio riuscì a costringere Galla a nominarlo magister utriusque militiae, ovvero generalissimo d'Occidente, invadendo l'Italia con altri mercenari unni. Ezio fece ampio uso di mercenari unni anche in Gallia: grazie al sostegno degli Unni, Ezio riuscì a vincere nel 436 i Burgundi, massacrati dall'esercito romano-unno di Ezio, ridotti all'obbedienza e insediati come foederati intorno al lago di Ginevra; gli Unni risultarono poi decisivi anche nella repressione della rivolta dei bagaudi in Armorica e nelle vittorie contro i Visigoti a Narbona e sul monte Colubrario,[108] grazie alle quali nel 439 i Visigoti accettarono la pace a condizioni non troppo dissimili a quella del 418. In cambio del sostegno degli Unni, Ezio fu però costretto a cedere loro la Pannonia.[109] Inoltre l'alleanza militare di Ezio con gli Unni suscitò lo sdegno e la condanna di scrittori cristiani come Prospero Tirone e Salviano di Marsiglia, che si lamentarono non solo per il fatto che il generale Litorio permettesse agli Unni di compiere sacrifici alle loro divinità e di predire il futuro attraverso la scapulimanzia, ma anche per i saccheggi degli Unni contro gli stessi cittadini che erano tenuti a difendere. Secondo il vescovo Salviano, autore del De gubernatione dei ("Il governo di Dio"), l'impiego dei pagani Unni contro i cristiani (seppur ariani) Visigoti non avrebbe fatto altro che provocare la perdita della protezione di Dio, perché i Romani «avevano avuto la presunzione di riporre la loro speranza negli Unni, essi invece che in Dio». A conferma della sua tesi, Salviano rammenta che nel 439 Litorio, arrivato alle porte della capitale visigota Tolosa con l'intento di conquistarla e sottomettere completamente i Visigoti, perse la battaglia decisiva a causa della defezione degli Unni, venendo catturato e successivamente giustiziato. Secondo Salviano, la sconfitta degli arroganti Romani, adoratori degli Unni, contro i pazienti goti, timorati di Dio, oltre a costituire una giusta punizione per Litorio, confermava il passo del Nuovo Testamento, secondo cui «chiunque si esalta sarà umiliato, e chiunque si umilia sarà esaltato».[110]
Ormai l'esercito romano in Occidente era costituito quasi esclusivamente da barbari. Tra il 440 e il 443 Ezio autorizzò nuovi gruppi di barbari ad insediarsi in Gallia come foederati: nel 440 insediò nei pressi di Valence un gruppo di Alani, assegnando loro campi abbandonati (deserta rura) per evitare di dover ricorrere a confische ai danni dei proprietari terrieri locali, mentre nel 442 un altro gruppo di Alani fu insediato nei pressi di Orléans, con l'incarico di reprimere eventuali insurrezioni dei Bagaudi in Armorica; nel 443, inoltre, insediò i Burgundi in Sapaudia, assegnando loro i due terzi delle terre della regione, affinché assistessero l'Impero nella difesa delle frontiere. L'insediamento degli Alani nei pressi di Orleans generò le proteste dei proprietari terrieri locali, molti dei quali furono espropriati dei loro possedimenti dai foederati Alani. La politica dei trattati, con i quali si permetteva ai barbari di insediarsi all'interno dell'Impero, stava erodendo sempre di più il territorio controllato di fatto dall'Impero, ma non si poteva fare altrimenti, perché non si riuscivano più a respingere questi invasori.[111] I foederati Alani di re Goar insediati in Armorica si rivelarono comunque utili all'Impero reprimendo con successo, tra il 446 e il 448, la rivolta dei Bagaudi condotti da Tibattone. Nel frattempo, nel 446, Ezio dovette affrontare i Franchi, che avevano invaso la Gallia sconfinando dal proprio territorio, sconfiggendoli e firmando con essi un trattato di alleanza.[112]
La situazione in Spagna si era, nel frattempo, deteriorata. Gli Svevi, infatti, avevano violato i trattati stipulati con l'Impero e, sotto la guida del loro re Rechila, avevano sottratto all'Impero gran parte della penisola iberica, conquistando Merida nel 439 e le province di Betica e Cartaginense nel 441. L'unica provincia ispanica rimasta sotto il controllo di Roma era la Tarraconense, dove tuttavia erano insorti i separatisti Bagaudi. Ezio si preoccupò soprattutto di reprimere le insurrezioni dei Bagaudi, ma effettuò anche un tentativo per recuperare Betica e Cartaginense agli Svevi inviando nel 446 in Spagna il generale Vito, con un esercito rinforzato da truppe di foederati Visigoti. Vito, affrontato in battaglia da Rechila, fu però sconfitto e costretto al ritiro. Dopo il fallimento della spedizione di Vito, gli Svevi, sotto la guida del loro nuovo re Rechiaro, nel 449 si allearono addirittura con i Bagaudi della Tarraconense unendosi a essi nel saccheggio della regione. La situazione per l'Impero migliorò leggermente nel 453, allorché i foederati Visigoti repressero per conto dell'Impero la rivolta dei Bagaudi, restituendo la Tarraconense all'Impero; intorno sempre a questo periodo, Ezio riuscì a conseguire un modesto successo diplomatico, ottenendo dagli Svevi la restituzione della provincia di Cartaginense.
Quando gli Unni da alleati divennero nemici di Ezio e, condotti dal loro re Attila, invasero la Gallia, Ezio non poté far altro che costituire un esercito "romano" in realtà formato da foederati Visigoti, Burgundi e numerose altre genti barbare: l'esercito romano che sconfisse Attila nella Battaglia dei Campi Catalaunici aveva in realtà ben poco di "romano".[113] L'armata nazionale romana era praticamente scomparsa e negli ultimi decenni dell'Impero l'esercito era costituito quasi esclusivamente da mercenari e foederati barbari.
La disgregazione finale dell'Impero d'Occidente |
In seguito alle uccisioni di Ezio (454) e Valentiniano III (455), gli ultimi imperatori d'Occidente erano praticamente Imperatori fantoccio, manovrati dai generalissimi di origine germanica, come il visigoto Ricimero e il burgundo Gundobado. L'unico Imperatore che cercò di condurre una politica autonoma da Ricimero fu Maggioriano (457-461): fu proprio perché Ricimero non riusciva a controllarlo che Maggioriano fu ucciso nel 461.
In seguito all'uccisione di Valentiniano III, assunse il trono Petronio Massimo; i Vandali di Genserico, però, non riconobbero il nuovo Imperatore e colsero il pretesto per rompere il trattato con l'Impero e invadere l'Italia; nel 455 avvenne il sacco di Roma ad opera dei Vandali di Genserico, mentre Petronio Massimo, che tentava la fuga, venne linciato dalla popolazione. Essendo rimasto vacante il trono in seguito a questi avvenimenti, i foederati Visigoti e l'aristocrazia romano-gallica tentarono di imporre il loro candidato al trono, Avito, un generale romano che era stato in precedenza ambasciatore presso i Visigoti. Proclamato imperatore ad Arelate il 9 luglio 455, Avito, forte dell'appoggio militare dei Visigoti di re Teodorico II, marciò fino a Roma, dove riuscì a farsi riconoscere Imperatore (settembre 455).[114] Avito, essendo stato imposto dai foederati Visigoti come Imperatore, mantenne buone relazioni con essi e affidò loro il compito di sconfiggere gli Svevi, che avevano invaso le province romane di Cartaginense e Tarraconense, rinforzando l'esercito visigoto con foederati Burgundi. La spedizione visigota ebbe successo e gli Svevi furono costretti a ritirarsi in Galizia, ma i Visigoti non esitarono a spogliare dei propri beni gli stessi cittadini romani che dovevano difendere e a impadronirsi di fatto del controllo dei territori conquistati in Spagna a scapito dell'Impero (ottobre 455). Avito, nel frattempo, intervenne in Pannonia, riuscendo a costringere gli Ostrogoti a riconoscere la sua sovranità sulla provincia, come Foederati.[115] Inviò, inoltre, il generale di origini barbariche Ricimero a fermare i saccheggi dei Vandali in Italia meridionale e in Sicilia: Ricimero riuscì nell'impresa e fu ricompensato con la promozione a magister militum praesentalis.[116]
Avito, tuttavia, si attirò ben presto l'ostilità di gran parte della popolazione romana, del senato e dell'esercito, capeggiato da Maggioriano e Ricimero, che in breve tempo tramarono per deporlo. Infatti, un Imperatore gallico imposto dai Visigoti era stato accettato controvoglia dall'aristocrazia italica. Come se non bastasse, l'interruzione dei rifornimenti provenienti dall'Africa occupata dai Vandali provocò la carestia in città e la popolazione affamata chiedeva all'Imperatore di congedare le truppe visigote così da non dover sfamare anch'esse; le truppe visigote chiedevano a loro volta di essere pagate, ma non disponendo di denaro sufficiente, l'Imperatore Avito fu costretto a fondere le statue superstiti al sacco dei Vandali, non facendo altro che far crescere l'opposizione nei suoi confronti. E così, quando i soldati visigoti furono congedati, i generali Maggioriano e Ricimero si rivoltarono apertamente costringendo Avito a fuggire ad Arelate, da dove implorò il re visigoto di intervenire in suo soccorso, senza successo. Avito rientrò in Italia con le truppe a sua disposizione ma fu vinto presso Piacenza e detronizzato (456). La fine di Avito provocò la rivolta della prefettura gallica, che non volle riconoscere il nuovo Imperatore Maggioriano e si separò dall'Impero, con l'appoggio dei Visigoti e dei Burgundi, che approfittarono delle discordie interne dell'Impero per espandere la propria sfera di influenza: i Burgundi in particolare si espansero nella Valle del Rodano, occupando temporaneamente Lione con l'appoggio della popolazione locale.[117]
Maggioriano era deciso a risollevare le sorti dell'Impero d'Occidente tentando di riconquistare la Gallia, la Spagna e l'Africa, e, a tal fine, rinforzò l'esercito reclutando molti barbari da oltre Danubio; per fronteggiare le incursioni dei Vandali, inoltre, potenziò la marina militare romana, che ai quei tempi era decaduta a tal punto da essere praticamente scomparsa.[118] Determinato a recuperare il controllo della prefettura gallica, finita sotto il controllo dei separatisti romano-gallici appoggiati dai foederati Visigoti e Burgundi, Maggioriano ordinò al suo generale Egidio, in quel momento intento nella difesa della frontiera del Reno dalle incursioni dei foederati Franchi, di dirigersi verso Lione per riconquistarla ai Burgundi: Egidio riuscì nell'impresa, e verso la fine del 458 Maggioriano attraversò le Alpi alla testa di un'armata di mercenari barbari entrando a Lione. Maggioriano giunse a un compromesso con i foederati Burgundi: per ottenere da loro il riconoscimento ad Imperatore, fu costretto a riconoscere loro il possesso dei territori della Valle del Rodano conquistati durante la rivolta, ad eccezione di Lione.[119] Ricondotti i Burgundi al servizio dell'Impero in qualità di foederati, Maggioriano volse contro i Visigoti, impedendo loro di conquistare Arelate e spingendoli a riconoscerlo come Imperatore e a passare al suo servizio come foederati. Maggioriano affidò dunque ai Visigoti il compito di proseguire la guerra contro gli Svevi in Galizia, inviando loro dei rinforzi sotto il comando del generale romano Nepoziano. Mentre i Visigoti, coadiuvati dai Romani, proseguivano con nuovi successi la guerra contro gli Svevi, Maggioriano allestì una potente flotta in Spagna, con l'intento di riconquistare l'Africa ai Vandali; la flotta fu però distrutta dai pirati vandali con l'aiuto di traditori e l'Imperatore fu costretto a rinunciare alla riconquista dell'Africa e a firmare con Genserico un trattato oneroso con cui l'Impero, probabilmente, riconosceva ai Vandali il possesso della Mauritania, nonché della Sardegna, Corsica e Baleari.[120] Congedata la sua armata composta da mercenari barbari, Maggioriano ritornò in Italia, dove fu però detronizzato e giustiziato per volere di Ricimero nei pressi di Tortona nell'agosto del 461. Ricimero designò come nuovo Imperatore d'Occidente Libio Severo.
Il nuovo Imperatore, tuttavia, non fu riconosciuto né dal Comes Illyrici Marcellino, né da Egidio, né dall'Impero d'Oriente, ragion per cui la situazione per l'Impero si deteriorò ulteriormente. Ricimero, odiando Marcellino, aveva spinto i mercenari unni che servivano nell'esercito del Comes Illyrici a disertare da lui, costringendolo a ritirarsi dalla Sicilia e a tornare in Dalmazia, che separò dall'Impero non avendo riconosciuto il nuovo Imperatore d'Occidente, Libio Severo.[121] Il nuovo imperatore non fu riconosciuto nemmeno da Egidio, che, essendo un uomo di fiducia di Maggioriano e non avendo intenzione di collaborare con i responsabili della sua uccisione, separò la Gallia dal resto dell'Impero, forte dell'appoggio dell'esercito delle Gallie. Ricimero riuscì tuttavia a mettergli contro Visigoti e Burgundi, al prezzo di nuove pesanti concessioni territoriali (ai Visigoti cedette Narbona e ai Burgundi concesse di espandersi nella Valle del Rodano), per cui Egidio, intento a guerreggiare i Barbari nelle Gallie, non ebbe l'opportunità per invadere l'Italia. Egidio aveva il sostegno dei foederati Franchi, di cui, secondo almeno Gregorio di Tours, sarebbe diventato anche per un certo periodo addirittura loro re, anche se la notizia viene ritenuta inattendibile dalla storiografia moderna. Egidio tentò inoltre di allearsi con i Vandali contro Libio Severo e potrebbe anche aver sobillato gli Alani ad invadere l'Italia, invasione che però non ebbe successo, in quanto Ricimero sconfisse prontamente gli invasori nei pressi di Bergamo.
Mentre i Romani si combattevano tra di loro in una evitabile guerra civile utilizzando i foederati barbari l'uno contro l'altro e permettendo loro di rafforzare il loro potere a danni dell'ormai decadente Impero, l'Italia meridionale e la Sicilia erano devastate dai Vandali, che avevano colto l'uccisione di Maggioriano come pretesto per rompere il trattato stretto con lui e riprendere i loro saccheggi.[122] Ricimero inviò un'ambasceria presso Genserico, intimandogli di rispettare il trattato stretto con Maggioriano, di restituire la libertà alla moglie e alle figlie di Valentiniano III e di guardarsi dal devastare la Sicilia e l'Italia meridionale.[122] In seguito a un trattato stipulato con l'Impero d'Oriente nel 462, Genserico accettò unicamente di liberare Eudocia e Placidia, e solo dopo aver costretto Eudocia a sposare Unerico, ma non cessò le incursioni in quelle regioni: intendeva, infatti, ricattare l'Impero d'Occidente nel tentativo di costringerlo ad accettare come Imperatore Olibrio, imparentato con Genserico in quanto marito di Placidia.[122]
Prisco di Panion narra che l'Impero d'Occidente, ormai privo di una propria flotta ed esposto ai saccheggi dei pirati vandali, chiese in prestito alla pars orientis una flotta per poter respingere le incursioni dei Vandali, ricevendone un rifiuto, non solo perché l'Impero d'Oriente non aveva riconosciuto il nuovo Imperatore d'Occidente e rifiutava per tale motivo di prestargli soccorso contro i Vandali, ma anche perché il trattato di pace del 462 imponeva all'Impero d'Oriente di mantenersi neutrale nei confitti tra pars occidentis e Vandali.[123][124] Nel 465 Libio Severo si spense in circostanze sospette, forse avvelenato da Ricimero, che si era reso conto che, finché Libio Severo fosse stato al potere, non avrebbe mai avuto dalla pars orientis gli aiuti necessari contro i Vandali. Dopo lunghe trattative con Costantinopoli, nel 467 Ricimero fu costretto ad accettare come Imperatore il "greco" Antemio, candidato dell'Imperatore d'Oriente. La spedizione congiunta dei due Imperi contro i Vandali (468), tuttavia, fallì, e con essa l'Impero d'Occidente andò verso il completo collasso.
In Gallia, il nuovo re dei Visigoti, Eurico, resosi conto della sempre più crescente debolezza dell'Impero, decise di rompere il trattato di alleanza e di invaderlo (469). Antemio aveva a disposizione l'armata bretone del re Riotamo e i foederati burgundi condotti dal loro re Chilperico, che tra l'altro era anche magister militum per Gallias.[125] L'armata bretone fu tuttavia sconfitta da Eurico e costretta a ripararsi presso i Burgundi, mentre i Visigoti si impadronirono di gran parte della Narbonense I, nonché di Bourges e di Tours. L'avanzata visigota verso la Gallia settentrionale fu arrestata presso la Loira dall'esercito sotto il controllo dei separatisti romani della Gallia settentrionale, ma in compenso i Visigoti sconfissero un'armata romana proveniente dall'Italia nei pressi di Arelate e si impadronirono di tutta l'Alvernia, ad eccezione della città di Clermont, che continuava a resistere strenuamente all'assedio visigoto sotto la guida del letterato Sidonio Apollinare e del suo cognato Ecdicio Avito.[126]
Mentre la Gallia era devastata dai Visigoti, Ricimero decise di detronizzare Antemio e di collocare sul trono d'Occidente Olibrio, il candidato di Genserico; alla testa di armate barbare, tra cui spiccavano gli Eruli di Odoacre, Ricimero costrinse Antemio a ripararsi a Roma, dove fu assediato; durante l'assedio, gli Ostrogoti di Vidimero tentarono di intervenire in sostegno di Antemio, ma in uno scontro nei pressi di Roma furono sconfitti dall'armata di Ricimero e i superstiti passarono dalla parte di quest'ultimo.[127] Nel luglio del 472 Roma fu espugnata e sottoposta a sacco da Ricimero, che giustiziò Antemio e collocò sul trono imperiale Olibrio. Sia Olibrio che Ricimero perirono entro pochi mesi e il titolo di generalissimo dell'Impero d'Occidente spettò al burgundo Gundobado, che impose come Imperatore d'Occidente Glicerio. Questi non fu però riconosciuto dall'Impero d'Oriente che inviò un'armata in Italia per imporre sul trono d'Occidente il proprio candidato, Giulio Nepote. Glicerio fu sconfitto e condannato all'esilio, mentre Gundobado lasciò la carica per diventare re dei Burgundi.
Mentre l'Impero d'Occidente era impegnato in questi conflitti interni, i Visigoti di Eurico ne approfittarono per conquistare nel 473 le ultime città romane nella provincia ispanica di Tarraconense e tentarono successivamente persino di invadere l'Italia, venendo però sconfitti dalle armate romane. Giulio Nepote, nel tentativo di salvare dalla conquista visigota le città romane a est del Rodano, tra cui Marsiglia e Arelate, nel 475 inviò il vescovo di Pavia Epifanio che trattò con i Visigoti, firmando con essi un trattato con cui veniva ceduta ai Visigoti la città di Clermont e riconosciute le loro conquiste, in cambio della pace e dell'alleanza con l'Impero.[128] L'anno successivo, tuttavia, i Visigoti violarono il trattato espugnando Arelate e Marsiglia. Persa anche la Gallia in seguito alle conquiste del re visigoto Eurico, l'Impero si era ridotto quasi esclusivamente all'Italia.
L'esercito romano d'Italia era però ormai quasi esclusivamente costituito da truppe di mercenari Sciri, Rugi, Eruli e Turcilingi, che arrivarono addirittura a pretendere dallo Stato romano un terzo delle terre dell'Italia; dopo aver ricevuto il rifiuto dal generale Oreste, che governava l'Impero per conto del figlio e Imperatore nominale Romolo Augusto, essi si rivoltarono, elessero come loro capo Odoacre, e marciarono su Ravenna. Deposto Romolo Augusto il 4 settembre 476, Odoacre, conscio che la figura dell'Imperatore aveva ormai perso ogni ragione di esistere, essendo stata privata di ogni potere effettivo dai generali barbari che lo avevano preceduto, decise di rinunciare alla farsa di nominare un ulteriore imperatore d'Occidente, anche perché sarebbe stato solo un suo imperatore fantoccio. Inviò, invece, un'ambasceria presso Zenone, Imperatore d'Oriente. L'ambasceria del senato romano, presentatosi di fronte a Zenone, gli comunicò che non erano più necessari due imperatori ma che ora ne era sufficiente soltanto uno, quello di Costantinopoli, e chiese a Zenone di riconoscere ad Odoacre il titolo di patrizio: quest'ultimo, in cambio, avrebbe governato l'Italia come funzionario dell'Impero d'Oriente.[129] Così cadde l'Impero d'Occidente, a causa di una rivolta interna dell'esercito romano ormai imbarbaritosi al punto da portare l'Impero sotto il controllo dei barbari:
«Già da qualche tempo i Romani avevano cominciato ad accogliere nel loro esercito gli Sciri, gli Alani e alcune popolazioni gotiche, e da quel momento avevano dovuto soffrire per mano di Alarico e di Attila i disastri che ho narrato nei libri precedenti. E nella misura in cui aumentava in mezzo a loro il numero dei barbari, declinava il prestigio dei militari romani; sotto lo specioso nome di alleanza, essi subivano il predominio e le imposizioni degli stranieri, tanto che senza alcun ritegno, i barbari li costringevano contro la loro volontà a molte concessioni e alla fine pretesero di dividere con loro tutti i territori dell'Italia. Essi chiesero a Oreste di concedere loro un terzo delle campagne e, siccome egli non volle assolutamente cedere a questa richiesta, lo uccisero.» |
(Procopio di Cesarea, Storia delle guerre, V,1.) |
Non tutta la parte occidentale dell'Impero era caduta sotto il dominio dei Barbari. Giulio Nepote, dopo essere stato detronizzato nel 475 ed essere fuggito dall'Italia, continuava a governare in esilio in Dalmazia, rivendicando il titolo di Imperatore d'Occidente (e venendo riconosciuto anzi come tale dalla corte di Costantinopoli) fino al 480, quando fu assassinato in una congiura. Tuttavia, nonostante le sollecitazioni in tal senso dell'Imperatore d'Oriente Zenone, Odoacre non permise mai a Nepote di tornare dalla Dalmazia, anche se fece battere delle monete in suo nome. Quando nel 480, Nepote perì in una congiura, Odoacre invase e sottomise la Dalmazia. Alcuni studiosi considerano questa la vera data della caduta dell'Impero d'Occidente, dato che istituzionalmente Romolo Augusto era un usurpatore, non essendo stato riconosciuto dalla parte orientale, e l'ultimo Imperatore legittimo, Giulio Nepote, continuò a governare in Dalmazia fino al 480.
In Gallia Settentrionale, tuttavia, continuava a resistere il dominio di Soissons, governato da Siagro, definito "re dei Romani" dalle fonti. Esso era però minacciato dai foederati Franchi, che nel 486 sconfissero Siagro nella Battaglia di Soissons, sottomettendo così l'ultima regione della pars occidentis ancora non occupata dai Barbari.
Gli Ostrogoti |
In seguito al collasso dell'Impero unno, nel 454 gli Ostrogoti ottennero in concessione dall'Imperatore Marciano il permesso di occupare la Pannonia settentrionale in qualità di Foederati. Alcuni anni dopo, in seguito al rifiuto dell'Imperatore Leone I di pagare loro il tributo annuale di 100 libbre d'oro garantito da Marciano, gli Ostrogoti devastarono per rappresaglia le province illiriche, espugnando Dyracchium. Nel 461 fu firmata la pace tra Ostrogoti e Impero d'Oriente, con il rinnovo del tributo annuale e l'invio come ostaggio di Teodorico Amalo, figlio del re ostrogoto Teodomiro, a Costantinopoli. In seguito al rafforzamento del potere ostrogoto sotto la conduzione di Teodomiro, Leone I ritenne opportuno rafforzare i legami con gli Ostrogoti e concesse a Teodorico di ritornare presso il suo popolo. Teodorico succedette a Teodomiro nel 471, ed entro il 475 trasferì la propria nazione dalla Pannonia al loro nuovo insediamento in Mesia Inferiore, le stesse regioni che erano state occupate dai Visigoti di Alarico all'inizio del regno di Arcadio.
Nel frattempo in Tracia era stato insediato da tempo un gruppo di foederati Ostrogoti, sotto il comando di Teodorico Strabone. È discussa la data del loro insediamento: alcuni studiosi ritengono, basandosi su un dubbio passo di Teofane Confessore, che questo gruppo di Goti fosse già presente in Tracia intorno al 420, altri ritengono che il loro arrivo in Tracia sarebbe da datare intorno al 455, come conseguenza della disgregazione dell'Impero degli Unni. Nel 471, in seguito all'esecuzione del magister militum Aspar ordinato dall'Imperatore Leone I, questo gruppo di Goti, vincolato da legami di amicizia con Aspar, si rivoltò, acclamando re il loro comandante, Teodorico Strabone, e inviando un'ambasceria presso Leone, chiedendo che il loro capo fosse nominato magister militum praesentalis, in sostituzione di Aspar, e la concessione di nuove terre in Tracia per le sue truppe.[130] L'Imperatore si mostrò disposto ad accettare la nomina a magister militum ma non le altre richieste; Teodorico Strabone, per rappresaglia, devastò il territorio di Filippopoli e si impadronì di Arcadiopoli ottenendo la sua resa per fame.[130] La devastazione della Tracia spinse Leone a negoziare: accettò di pagare uno stipendio annuale di 2000 libbre d'oro ai Goti e a concedere loro di insediarsi in un distretto della Tracia, nominando inoltre Teodorico Strabone magister militum praesentalis; fu inoltre riconosciuto come re dei Goti.[130]
Nel 475-476 Teodorico Strabone prese le parti dell'usurpatore Basilisco, mentre l'Imperatore legittimo Zenone fu sostenuto da Teodorico Amalo. Dopo essersi ripreso il trono usurpatogli da Basilisco, Zenone destituì Teodorico Strabone dal comando dell'esercito sostituendolo con Teodorico Amalo; quest'ultimo ricevette inoltre la carica di patrizio, e la conferma imperiale del possesso delle terre che il suo popolo aveva occupato nella Mesia Inferiore, oltre alla promessa di uno stipendio annuale. Ben presto fu evidente che la politica dell'Imperatore Zenone era quella di mettere Teodorico Strabone e Teodorico Amalo l'uno contro l'altro. Nei tre anni successivi (477-479), le relazioni tra l'Imperatore e i due rivali cambiarono di continuo: in una prima fase Zenone e Teodorico Amalo erano alleati contro Teodorico Strabone; nella seconda fase i due generali goti unirono le forze contro Zenone; nella terza fase Teodorico Strabone e Zenone cooperarono contro Teodorico Amalo.
La prima fase ebbe inizio allorché Teodorico Strabone inviò un'ambasceria per riconciliarsi con l'Imperatore: l'ambasceria rammentò a Zenone che, nonostante i danni cagionati da Teodorico Amalo all'Impero, egli fu ricompensato con i titoli di generale romano e di amico dello Stato.[131] Zenone, dopo essersi consultato con il senato, rifiutò la proposta, in quanto, essendo le finanze pubbliche a malapena sufficienti per pagare le truppe romane, era impossibile per lo Stato finanziare entrambi i generali e le loro armate.[131] Nel 478 tuttavia Zenone, resosi conto che Teodorico Strabone stava rafforzando la propria posizione e che Teodorico Amalo non era in grado di neutralizzarlo, decise di negoziare con il primo, proponendogli che avrebbe dovuto vivere come cittadino privato in Tracia, conservando tutto il bottino accumulato con il saccheggio, ma impegnandosi a non saccheggiare più; come garanzia, avrebbe dovuto inoltre inviare suo figlio a Costantinopoli come ostaggio.[132] Teodorico Strabone rifiutò però la proposta, con il pretesto che gli era impossibile ritirarsi senza pagare le truppe al suo servizio.[132] Zenone optò per la guerra, ma il generale Martiniano, chiamato alla guida dell'esercito al posto del cognato Illo, non ottenne successi contro i Goti, non riuscendo inoltre a mantenere la disciplina nel proprio esercito.[133]
Zenone inviò quindi un'ambasceria a Teodorico Amalo, formalmente un generale romano, ordinandogli di marciare contro il nemico; Teodorico obbedì, ma non prima di aver ottenuto dall'Imperatore e dal Senato il giuramento che non avrebbero mai negoziato con Teodorico Strabone.[133] Teodorico avrebbe dovuto ricevere rinforzi consistenti dai Romani, ma questi ultimi non rispettarono i patti, e quando i Goti di Teodorico arrivarono in prossimità degli accampamenti dei Goti di Teodorico Strabone, quest'ultimo raggiunse l'accampamento di Teodorico Amalo e lo rimproverò, dandogli del sempliciotto per non essersi reso conto del piano dei Romani, che desideravano liberarsi di entrambe le armate gotiche, istigandole alla mutua distruzione, ed erano indifferenti su quale dei due partiti avrebbe vinto.[133] Questa argomentazione spinse i due schieramenti ad allearsi contro Zenone (478).[133]
I due generali ostrogoti inviarono ambasciatori a Costantinopoli.[134] Teodorico Amalo, lamentandosi con Zenone per averlo ingannato con false promesse, richiedeva non solo la concessione di territori al suo popolo, ma anche del grano per poter mantenere la sua armata durante la carestia, e minacciò, in caso di mancata accettazione della sua richiesta, il saccheggio dei territori imperiali, necessario per il mantenimento del proprio esercito.[134] Teodorico Strabone richiese il rinnovo del trattato firmato con Leone nel 473, nonché il pagamento di un tributo.[134] Zenone si preparò alla guerra, annunciando alle truppe che avrebbe condotto di persona l'esercito.[134] Ciò generò enorme entusiasmo tra i soldati, ma all'ultimo momento Zenone cambiò idea, e le armate minacciarono una rivolta, per prevenire la quale l'esercito fu disgregato e i reggimenti inviati ai loro quartieri invernali.[134]
Con l'esercito sbandato, e con Teodorico Amalo intento nel devastare le regioni della Tracia limitrofe al Monte Rodope, ai confini tra Tracia e Macedonia, Zenone fu costretto a negoziare un'alleanza con Teodorico Strabone.[135] Teodorico Strabone accettò la pace e l'alleanza con l'Imperatore a condizione che fosse pagato annualmente con una somma equivalente agli stipendi di 13.000 soldati, che fosse posto al comando di due scholae e nominato magister militum praesentalis, e gli fossero restituite tutte le dignità che Basilisco gli aveva assegnato; inoltre, i suoi connazionali avrebbero dovuto stabilirsi in una città assegnata da Zenone.[135] Zenone accettò l'accordo: Teodorico fu deposto dalla carica di magister militum, e sostituito da Teodorico Strabone (fine del 478).[135]
Teodorico Amalo, minacciato dalle forze superiori di Teodorico Strabone, riuscì comunque a fuggire in Macedonia lungo il Monte Rodope, devastando la città di Stobi.[136] Teodorico Amalo si diresse dunque minacciosamente verso Tessalonica, spingendo l'Imperatore ad avviare nuove trattative.[136] Zenone inviò Adamanzio con l'intento di offrire ai Goti terre a Pautalia e 200 libbre d'oro, che sarebbero bastate ai Goti per ottenere cibo sufficiente per quell'anno.[136] Il motivo per cui Zenone scelse Pautalia come terra di insediamento per i Goti era che, se i Goti avessero accettato l'offerta, essi sarebbero stati maggiormente controllabili, trovandosi in una posizione intermedia tra le armate illiriche e traci.
Nel frattempo Teodorico, dopo aver dato alle fiamme una larga porzione della città di Heraclea in quanto i suoi abitanti non potevano rifornirlo di provviste, procedette lungo la via Egnazia, passando per Licnido, che però riuscì a resistere agli assalti, fino a giungere a Dyrrhachium.[136] Nei pressi della città, Teodorico e l'ambasciatore Adamanzio si incontrarono per il proseguimento delle trattative.[136] Teodorico Amalo si lamentò per il fatto che, quando l'Imperatore lo assunse per guerreggiare Teodorico Strabone, gli era stato promesso che avrebbe ricevuto rinforzi dal magister militum per Thraciam e da altri generali, promesse non mantenute, e che inoltre le guide fornitegli da Zenone lo avrebbero condotto per vie impervie esponendolo agli attacchi del nemico.[136] L'ambasciatore rispose che, nonostante Zenone lo avesse nominato patrizio e magister militum, due delle cariche più alte dell'Impero, egli per tutta riconoscenza stava assalendo città romane comportandosi come un nemico; rammentò inoltre che gli eserciti romani lo tenevano alla loro mercé, avendolo circondato e intrappolato tra i monti e i fiumi della Tracia, e se avessero voluto lo avrebbero annientato senza difficoltà; gli consigliò dunque di assumere un contegno più moderato nei confronti dell'Imperatore, gli intimò di lasciare l'Epiro e di trasferirsi in Dardania, dove vi è un esteso territorio di suolo prospero, disabitato e sufficiente per sostentare il suo popolo.[136] Teodorico, dopo aver fatto notare che i suoi soldati non avrebbero acconsentito, dopo tante fatiche, a lasciare i loro quartieri in Epiro durante l'inverno, promise che, se fosse loro concesso di svernare a Dyrrachium, sarebbero migrati in Dardania nella primavera successiva; aggiunse inoltre di essere disposto a lasciare gli Ostrogoti non idonei alla guerra in qualunque città indicata da Zenone, e a dare in ostaggio sua madre e sua sorella, e di prendere le armi contro Teodorico Strabone con seimila dei suoi soldati, in alleanza con l'armata illirica; chiedeva in cambio, dopo aver annientato il suo rivale, di succedergli come magister militum e di essere inoltre ricevuto a Costantinopoli come romano; inoltre si dichiarò disposto, nel caso l'Imperatore lo desiderasse, a recarsi in Dalmazia e restaurare Giulio Nepote.[136] Adamanzio non fu in grado di promettere così tante cose; fu necessario inviare un messaggero a Costantinopoli per consultare l'Imperatore.[136]
Nel frattempo le armate si erano radunate a Licnido, comandate da Sabiniano. Questi riuscì a cogliere in un'imboscata un reggimento di Ostrogoti, condotto da Teodimundo, fratello di Teodorico, catturando duemila carri e più di cinquemila prigionieri, oltre a un grande bottino (anno 479).[136] Quando l'Imperatore ricevette due messaggi, uno da Adamanzio che gli annunciava le proposte di Teodorico, e l'altro da Sabiniano che esagerava la sua vittoria e lo dissuadeva dal trattare la pace con Teodorico, la guerra sembrò la soluzione più onorevole per Zenone, che rifiutò le proposte di pace di Teodorico, e permise a Sabiniano di continuare la guerra.[136] Per un anno e mezzo Sabiniano riuscì a tenere sotto controllo i Goti in Epiro, ma fu poi ucciso per ordine del suo ingrato signore, e Giovanni Scita e Moschiano furono chiamati a succedergli.
La rivolta di Marciano verso la fine dell'anno 479 aveva fornito a Teodorico Strabone un pretesto per marciare su Costantinopoli per assistere il governo. Dopo aver estorto denaro da Zenone, ricevette due dei cospiratori nel suo accampamento ma rifiutò di consegnarli. Fu quindi ancora una volta privato delle sue dignità e dichiarato un nemico dello Stato. Entrò ancora una volta in alleanza con Teodorico Amalo e devastò la Tracia. Zenone invocò il sostegno dei Bulgari del basso corso del Danubio, ma essi furono sconfitti da Teodorico Strabone, che marciò minacciosamente su Costantinopoli (anno 481). Tuttavia, a salvare la capitale, intervenne l'esercito di Illo, che dispose delle guardie alle porte giusto in tempo. Teodorico Strabone, dopo aver tentato invano di giungere in Bitinia, venendo però sconfitto in una battaglia navale, devastò la Tracia e successivamente la Grecia, alla testa di 30.000 seguaci. Tuttavia, sulla via Egnazia, perì accidentalmente (anno 481).[137] Il figlio Recitaco gli succedette, devastando la Tracia, prima di essere ucciso tre anni dopo da Teodorico Amalo, su istigazione di Zenone.
Nel 482 Teodorico devastò le province della Macedonia e della Tessaglia, espugnando la città di Larissa.[138] Ciò spinse l'Imperatore a firmare un nuovo accordo, con il quale furono concesse agli Ostrogoti parte della Mesia e della Dacia Ripense, e Teodorico fu nominato magister militum (483).[139] Inoltre, nel 484, Teodorico fu nominato console, e assistette Zenone contro il ribelle Illo. In seguito a un nuovo peggioramento dei rapporti con l'Imperatore, Teodorico devastò la Tracia nel 486 e marciò su Costantinopoli nel 487, occupando durante il tragitto le città di Rhegium e di Melanthias. Ma l'intervento di sua sorella, che si trovava alla corte di Zenone, lo spinse a ritirarsi nei suoi quartieri in Mesia, che avrebbe presto abbandonato per sempre.[140]
Infatti, gli Ostrogoti di Teodorico furono ingaggiati dall'Imperatore d'Oriente Zenone per liberare l'Italia dal dominio di Odoacre. Invasa l'Italia nel 489, essi riuscirono a sconfiggere Odoacre e ottennero il diritto di governarla per conto dell'Imperatore. Teodorico ottenne dall'imperatore Anastasio I il titolo di patricius e il suo popolo, in qualità di foederati, ricevette un terzo delle tenute romane; ma, poiché la commissione che aveva il compito di portare avanti la spartizione era sotto la presidenza di un senatore, Liberio, si può assumere che i possedimenti senatoriali vennero risparmiati per quanto possibile, e che gli Ostrogoti espropriarono dei loro terreni soprattutto i Germani di Odoacre, molti dei quali furono uccisi o espulsi.
Sotto Teodorico, l'Italia rimase formalmente parte dell'Impero. Teodorico formalmente governava l'Italia in qualità di magister militum e di alto ufficiale dell'Imperatore d'Oriente. Di fatto, invece, era un sovrano indipendente, pur avendo un certo numero di limitazioni al proprio potere, che implicavano la sovranità dell'Imperatore. Teodorico, infatti, non usò mai gli anni di regno allo scopo di datare documenti ufficiali, non rivendicò mai il diritto di battere moneta se non in subordinazione all'Imperatore, ma soprattutto non emanò mai leggi (leges) bensì solo edicta. Secondo il diritto romano, infatti, emanare leggi (leges) era prerogativa esclusiva dell'Imperatore, mentre gli alti ufficiali, come Teodorico, potevano emanare al più edicta. Poiché gli edicta potevano essere emanati a condizione che non violassero una legge preesistente, ciò significava che Teodorico poteva modificare leggi preesistenti in punti particolari, rendendole più severe o più miti, ma non poteva originare nuovi principi o istituzioni. Gli editti di Teodorico, infatti, non introducono novità e non alterano alcun principio già preesistente.
A partire dal 498 Teodorico nominò uno dei consoli, ma con la limitazione che egli dovesse essere un cittadino romano, non un goto. L'unica eccezione alla regola ebbe luogo nel 519, con la nomina a console del genero di Teodorico, Eutarico, ma in quel caso a fare la nomina non fu Teodorico, bensì l'Imperatore stesso. Le limitazioni che escludevano i Goti dal consolato si estesero inoltre anche alle cariche civili (prefetto del pretorio, praefectus urbi, consulares, correctores, praesides, magister officiorum), che furono mantenute in vigore sotto il governo ostrogoto, come era già stato con Odoacre. Inoltre i Goti furono esclusi dalla dignità onoraria di patrizio, ad eccezione di Teodorico stesso, che l'aveva ricevuta dall'Imperatore. I Goti furono esclusi anche dal senato romano, che continuò a riunirsi e a eseguire le stesse funzioni esercitate nel corso del V secolo. L'esclusione dei Goti dalle cariche civili era dovuta al fatto che non erano cittadini romani, ma avevano la condizione giuridica di stranieri soggiornanti in territorio romano; per tale motivo, ad essi si applicavano esclusivamente le leggi facenti parte dello ius commune, come lo stesso editto di Teodorico, indirizzato sia ai Romani che ai Goti. Teodorico non poteva conferire la cittadinanza romana ai Goti, prerogativa esclusiva dell'Imperatore, per cui i Goti continuarono a rimanere esclusi dalle cariche civili.
Comunque, anche se tutte le cariche civili furono riservate ai Romani, nel caso delle cariche militari, fu esattamente l'opposto. Infatti, i Romani furono completamente esclusi dall'esercito di Teodorico, che era interamente goto. Teodorico era il comandante dell'esercito, in qualità di magister militum. Avendo la condizione giuridica di soldati mercenari, gli Ostrogoti venivano giudicati da corti militari, in conformità con il diritto romano, che stabiliva che i soldati dovessero essere giudicati da una corte militare. In questo caso Teodorico interferì in modo serio con i diritti dei cittadini romani sotto il suo dominio. Tutti i processi tra Romani e Goti furono portati di fronte a queste corti militari; un avvocato romano era sempre presente in qualità di assessor, ma in ogni caso queste corti militari tendevano a favorire i Goti. Inoltre, come l'Imperatore, Teodorico aveva una corte regia suprema che poteva annullare ogni decisione di una corte di rango inferiore. Si può concludere che fu nel campo della giustizia, e non in quello legislativo, che i re germanici stabilirono la loro effettiva autorità in Italia.
Età bizantina |
Una ulteriore variazione di significato del termine foederati avvenne nel VI secolo, in età giustinianea. Ai tempi di Giustiniano, i foederati che servivano nell'esercito romano d'Oriente non erano più bande irregolari di barbari sotto il comando dei loro capi tribali che inviavano contingenti militari in sostegno dell'esercito romano in cambio di denaro o dello stanziamento in un territorio, ma erano diventati parte integrante dell'esercito bizantino: nelle fonti, sono spesso citati come soldati regolari, ed erano sottoposti al comando di un generale bizantino.
Procopio commentò così il cambiamento di significato del termine foederati (in greco phoideratoi):
«Ora in epoche precedenti solo i barbari erano reclutati nei foederati, cioè quelli che erano entrati nel sistema politico romano, non nella condizione di schiavi, poiché non erano stati conquistati dai Romani, ma sulle basi di completa uguaglianza. Prendono il nome dal fatto che i Romani chiamano i trattati con i loro nemici foedera. Ma ai nostri tempi non c'è nulla che impedisca a qualcuno dall'assumere quel nome, poiché il tempo non consente di mantenere i nomi attaccati alle cose a cui essi erano in precedenza applicati, [...] e gli uomini prestano poca attenzione al significato originario di un termine.» |
(Procopio di Cesarea, Storia delle guerre, III,11.) |
Procopio sembrerebbe implicare che nel VI secolo anche i cittadini romani fossero ammessi nei reggimenti di foederati. In ogni caso sembrerebbe che i foederati fossero ancora costituiti prevalentemente da Barbari, come risulterebbe da un altro passaggio di Procopio, in cui viene affermato che gli Eruli furono reclutati nei Foederati, e da una legge di Giustiniano che afferma che molti goti furono inseriti nei Foederati.[141] In ogni caso, le leggi implicano che i Foederati facessero parte dell'esercito regolare, anche se erano distinti dai Comitatenses. I Foederati erano volontari, reclutati individualmente soprattutto tra i barbari ma anche tra i cittadini romani, ricevendo paga e venendo sottoposti al comando di generali romani, esattamente come i Comitatenses.[142] I Foederati Goti sembra che godessero anche di una certa libertà religiosa, a giudicare dal fatto che fu loro concesso di mantenere la loro fede ariana. I reggimenti nei quali erano reclutati i Foederati prendevano il nome di tagmata ed erano sotto il controllo di optiones. Sembra che i Foederati fossero costituiti prevalentemente di cavalieri e che quelli di stanza a Costantinopoli fossero sotto il comando di un Comes Foederatum. I Foederati spesso agivano in concerto con i Comitatenses dell'esercito mobile in campagne militari, ma potevano essere anche impiegati nella difesa delle province di frontiera come truppe di guarnigione, venendo quindi posti in quest'ultimo caso sotto il comando dei duces frontalieri. I Foederati, nell'accezione del VI secolo, erano considerate truppe scelte, e lo Strategikon attribuito all'Imperatore Maurizio li poneva addirittura al secondo posto per importanza, secondi solo ai bucellari.[143]
Le origini di questo cambiamento di significato non sono certe. Secondo un frammento di Olimpiodoro:
«Ai tempi di Onorio il termine buccellario fu attribuito non solo ai soldati romani ma anche a certi Goti. In modo simile il nome di foederati fu dato a reggimenti di uomini diversi e misti.» |
(Olimpiodoro di Tebe, frammento 7 (Muller).) |
Il frammento di Olimpiodoro, per il resto oscuro, potrebbe implicare che per Foederati non si intendevano unicamente i contingenti irregolari di barbari reclutati tra le tribù insediate all'interno dei confini in seguito a un trattato, ma anche bande miste di mercenari barbari di differenti etnie sotto il comando di un comandante barbaro, come ad esempio Saro, che accettavano di combattere per Roma come volontari. Una legge del 406, in cui Onorio esorta gli schiavi di comitatenses, foederati e dediticii ad arruolarsi nell'esercito, potrebbe riferirsi proprio a queste bande miste di mercenari barbari.[144] Sinesio, intorno al 410, narra che in Cirenaica vi erano alleati barbari unnigardi sotto il comando di un generale romano, Anisio, e che ricevevano cavalli, armi e paga dal governo romano. La vita di Daniele lo Stilita narra che una banda di Barbari proveniente dalla Gallia fu reclutata dall'Imperatore d'Oriente Leone e il capo di questi mercenari, Tito, ricevette il titolo di comes; tuttavia, andrebbe fatto notare che i mercenari barbari di Tito vengono chiamati dalla fonte buccellarii. Sembrerebbe che queste bande di alleati barbari furono gradualmente integrati nell'esercito regolare, e da essi si sarebbero originati i Foederati nell'accezione del VI secolo.[145]
Le tribù alleate dell'Impero che fornivano ad esso contingenti militari in cambio di denaro o dello stanziamento in un territorio, ovvero i foederati nell'accezione del IV secolo, avevano cambiato denominazione in socii o symmachoi, ovvero alleati.[146]
Mentre i foederati del VI secolo erano diventate truppe affidabili e ben integrate nell'esercito, non era altrettanto vero per i symmachoi (alleati), spesso accusati dalle fonti di inaffidabilità e di tradimento: Procopio di Cesarea, in particolare, accusa Giustiniano di comprare delle inconcludenti alleanze con queste popolazioni barbariche, spesso controproducenti in quanto le loro sempre più esorbitanti richieste di denaro aumentavano di pari passo con le concessioni ottenute, e spesso a ciò non corrispondeva ad un aumento delle prestazioni.[147] Procopio addirittura narra che gli Unni, dopo aver ricevuto immensi donativi da Giustiniano che pensava così di farseli alleati, avrebbero smaniato di impadronirsi delle ricchezze dell'Impero saccheggiandolo, e avrebbero sobillato altre genti barbare a invaderlo anch'esse, informandoli delle enormi ricchezze dello Stato bizantino. Da ciò sarebbe nato un circolo vizioso di sempre più popolazioni che intendevano impadronirsi delle ricchezze dell'Impero «ricevendo sostanze dall'Imperatore o saccheggiando l'Impero romano o esigendo il riscatto dei prigionieri di guerra e vendendo le tregue». Procopio, nella Storia segreta, accusa addirittura Giustiniano di impedire ai suoi soldati di attaccare gli incursori barbari mentre si ritiravano con il bottino, in quanto sperava che, non attaccandoli, se li sarebbe fatti alleati; in un'occasione, addirittura, l'Imperatore avrebbe punito dei contadini che avevano osato, contrariamente alle sue disposizioni, autodifendersi dalle incursioni attaccando i barbari e riuscendo a recuperare parte del bottino (che poi, per ordine di Giustiniano, sarebbe stato addirittura restituito ai saccheggiatori dell'Impero).
Non va dimenticato, certo, che in taluni casi (come quello dei Ghassanidi) queste alleanze con le popolazioni barbariche confinanti potessero rivelarsi addirittura utili allo Stato bizantino, ma nella maggioranza dei casi provocavano più danni che benefici.[148] Talvolta i barbari alleati diventavano ostili all'Impero, violando i trattati e saccheggiando lo stesso territorio imperiale che essi in teoria dovevano concorrere a difendere, e Giustiniano era costretto a lanciare spedizioni punitive contro di essi; altre volte l'Imperatore usava la diplomazia per dividere i nemici, mettendoli uno contro l'altro.
Procopio usa inoltre il termine enspondoi per indicare gli alleati barbari che ricevevano terre all'interno dell'Impero in cambio dei loro servigi e che servivano sotto i loro capi e non sotto ufficiali romani. Procopio cita l'esempio di alcuni Slavi che furono insediati in una fortezza sul basso corso del Danubio da Giustiniano in cambio del loro impegno a combattere gli Unni:
«Era questa città [Turris] e le terre intorno ad essa che l'Imperatore Giustiniano acconsentì a cedere loro, affermando che erano appartenute in origine ai Romani. E inoltre acconsentì a fornire loro tutta l'assistenza necessaria... e di pagare loro grandi somme di denaro, a condizione che sarebbero rimasti enspondoi e costantemente bloccato l'accesso agli Unni.» |
(Procopio di Cesarea, Storia delle guerre, VII,14.) |
Anche un gruppo di duemila Cutriguri insediato in alcuni distretti della Tracia vengono denominati enspondoi dalle fonti:
«[...]l'Imperatore avrebbe conferito loro alcuni distretti della Tracia, in modo che essi avrebbero stabilito le loro dimore lì e sarebbero diventati per sempre enspondoi dei Romani, e li avrebbero assistiti nella difesa vigile della terra contro tutti i Barbari.» |
(Procopio di Cesarea, Storia delle guerre, VIII,11.) |
Note |
^ Pietro Barinetti, cit., pp. 25-45.
^ William Smith, cit., pp. 345-346.
^ Polibio, VI, 26.
^ ab Zecchini, p. 129.
^ Heather, p. 200.
^ Heather, pp. 203-204.
^ Heather, p. 204.
^ ab Heather, p. 205.
^ Heather, p. 201.
^ Heather, pp. 208-209.
^ Ravegnani 2012, pp. 23-26.
^ ab Zosimo, IV,30.
^ Zosimo, IV,25.
^ Zosimo, IV,31.
^ Alcuni studiosi (cfr. ad esempio Halsall, pp. 180-183) hanno messo in discussione il fatto che il trattato di pace del 3 ottobre 382, attestato da alcune cronache, avrebbe riguardato l'intero popolo dei Goti, sostenendo che in tal caso sarebbe stato l'Imperatore stesso a negoziarlo e non Saturnino, e che inoltre nell'ultima fase della guerra i Goti avevano perso la loro coesione, suddividendosi in diversi gruppi; essi asseriscono che nel 382, invece di un unico trattato di pace, ve ne sarebbero stati molteplici, ognuno con un differente gruppo di Goti. Altri studiosi, tuttavia, continuano ad attenersi alla visione tradizionale (cfr. ad esempio Heather, pp. 230-236, e Ravegnani, pp. 32-33).
^ ab Heather, pp. 230-232.
^ Fonti tarde (come Procopio e Giordane) fanno uso del termine foederati per indicare gli alleati goti, ma non è detto che questo termine fosse già in uso durante il regno di Teodosio, ma potrebbe essere un anacronismo del VI secolo. La prima attestazione del termine foederati in una fonte coeva è in una legge del 406. In ogni caso le fonti greche coeve usano il termine symmachoi, che nella sostanza è sinonimo di foederati, per indicare queste bande mercenarie gotiche insediate all'interno dell'Impero.
^ Rocco, pp. 518-521.
^ Heather, p. 282.
^ Heather, pp. 230-231.
^ Jones, p. 157.
^ Rocco, p. 521.
^ Heather, pp. 231-232.
^ Heather, pp. 233-237.
^ Halsall, pp. 183-184, sostiene la tesi che tutti i Goti reclutati costituissero unità dell'esercito regolare costituite interamente da Barbari e nega che fu loro concessa una particolare autonomia; Ravegnani 2012, pp. 32-33, tuttavia, definisce «fittizi» i successi descritti dalla propaganda, compreso Pacato, e descrive come «ingannevole» la speranza di farne truppe disciplinate, ribadendo che i Goti servivano sotto i loro capi e costituivano un gruppo semiautonomo.
^ abcd Zosimo, IV,40.
^ abc Zosimo, IV,56.
^ Zosimo, IV,45.
^ Zosimo, IV,49.
^ Cesa, p. 57.
^ Cesa, p. 58.
^ Zosimo, IV,58.
^ Orosio, VII,35.
^ abc Zosimo, V,5.
^ Heather, pp. 263-264.
^ Secondo Burns, Rufino avrebbe raggiunto un accordo con Alarico, promettendogli le cariche militari ambite nel caso fosse riuscito ad arrestare la marcia di Stilicone su Costantinopoli (Burns, p. 153). Si aveva infatti il timore, in Oriente, che il reale scopo della spedizione di Stilicone in Illirico contro Alarico fosse deporre Rufino e diventare reggente anche di Arcadio, nonché riportare sotto la giurisdizione della parte occidentale la prefettura del pretorio dell'Illirico, prefettura storicamente appartenente all'Impero d'Occidente, ma ceduta alla parte orientale sotto Teodosio I. Secondo Burns, Rufino avrebbe affidato ad Alarico la difesa della Grecia contro gli attacchi di Stilicone, al fine di ostacolarne le mire (Burns, p. 158).
^ Secondo Burns, invece, la mancata resistenza all'occupazione della zona da parte dei Goti implicherebbe che Alarico avesse già raggiunto un accordo con il governo romano-orientale, venendogli affidato il compito di difendere la Grecia dagli attacchi di Stilicone; secondo Burns, i saccheggi di Alarico narrati da Zosimo non sembrerebbero trovare conferma da evidenze archeologiche, anzi Alarico si sarebbe limitato a difendere la Grecia dall'invasione di Stilicone; Burns addirittura afferma che sarebbe stato Stilicone, e non Alarico, a devastare la Grecia, nel tentativo di ricondurre l'intera prefettura del pretorio dell'Illirico sotto il controllo della parte occidentale, come sembrerebbero confermare alcuni frammenti di Eunapio (Burns, pp. 158-159).
^ Cameron, Long, Sherry, pp. 333-336.
^ Zosimo, V,13.
^ Cameron, Long, Sherry, pp. 112-115.
^ Claudiano, In Eutropium, II,576-578.
^ Zosimo, V,17.
^ Cameron, Long, Sherry, pp. 323-333.
^ Zosimo, V,18.
^ Cameron, Long, Sherry, pp. 207-217.
^ ab Zosimo, V,19.
^ Zosimo, V,21.
^ Zosimo, V,22.
^ Zosimo, V,23.
^ Cameron, Long, Sherry, pp. 332-333.
^ Cameron, Long, Sherry, pp. 250-251.
^ Cesa, pp. 98-99.
^ Burns, pp. 193-194.
^ Heather, pp. 271-273.
^ abc Zosimo, V,29.
^ ab Zosimo, V,31.
^ abcd Zosimo, V,32.
^ ab Zosimo, V,34.
^ ab Zosimo, V,35.
^ Zosimo, V,36.
^ ab Zosimo, V,42.
^ ab Zosimo, V,45.
^ Zosimo, V,46.
^ abcd Zosimo, V,48.
^ Zosimo, V,49.
^ Zosimo, V,50.
^ Zosimo, V,51.
^ Zosimo, VI,6.
^ abcdefg Sozomeno, IX,8.
^ abcd Zosimo, VI,7.
^ Zosimo, VI,8.
^ ab Zosimo, VI,9.
^ ab Zosimo, VI,12.
^ Olimpiodoro, frammento 5.
^ Sozomeno, IX,9.
^ Zosimo, VI,13.
^ Ravegnani 2012, p. 85.
^ Orosio, VII,43.
^ ab Filostorgio, XII,4.
^ Olimpiodoro, frammento 15.
^ Olimpiodoro, frammento 31.
^ Heather, pp. 298-299.
^ Ravegnani 2012, pp. 89-90.
^ Cesa, pp. 171-172.
^ Cesa, pp. 170-171.
^ Heather, p. 297.
^ Ravegnani 2012, p. 90.
^ Heather, p. 306.
^ abcde Heather, p. 307.
^ Cesa, p. 166.
^ Heather, pp. 251-255.
^ Zosimo, VI,2.
^ Cesa, pp. 131-132.
^ Cesa, p. 140.
^ ab Orosio, VII,40.
^ ab Sozomeno, IX,12.
^ ab Zosimo, VI,5.
^ abc Gregorio di Tours, Historia Francorum, II,7.
^ Cesa, p. 141.
^ Cesa, pp. 143-144.
^ Heather, p. 259.
^ Orosio, VII,42.
^ Ravegnani 2012, p. 89.
^ Cesa, p. 165.
^ Heather, p. 322.
^ Heather, pp. 362-363.
^ Filostorgio, XII,14.
^ Heather, pp. 350-351.
^ Heather, p. 350.
^ Salviano, De gubernatione Dei, VII, 9.
^ Ravegnani 2012, pp. 107-108.
^ Ravegnani 2012, p. 109.
^ Giordane, 191.
^ Ravegnani 2012, p. 137.
^ Ravegnani 2012, p. 138.
^ Ravegnani 2012, p. 139.
^ Ravegnani 2012, p. 140.
^ Ravegnani 2012, p. 143.
^ Ravegnani 2012, p. 144.
^ Ravegnani 2012, p. 145.
^ Ravegnani 2012, p. 146.
^ abc Prisco, frammento 29.
^ Prisco, frammento 30.
^ Ravegnani 2012, p. 147.
^ Ravegnani 2012, p. 149.
^ Ravegnani 2012, p. 150.
^ Ravegnani 2012, p. 151.
^ Ravegnani 2012, p. 152.
^ Malco, frammento 10.
^ abc Malco, frammento 2.
^ ab Malco, frammento 11.
^ ab Malco, frammento 14.
^ abcd Malco, frammento 15.
^ abcde Malco, frammento 16.
^ abc Malco, frammento 17.
^ abcdefghijk Malco, frammento 18.
^ Conte Marcellino, s.a. 481.
^ Conte Marcellino, s.a. 482.
^ Conte Marcellino, s.a. 483.
^ Conte Marcellino, s.a. 487.
^ Jones, p. 664.
^ Jones, pp. 664-665.
^ Ravegnani 2009, p. 44.
^ Jones, pp. 665.
^ Jones, p. 666.
^ Ravegnani 2009, pp. 44-45.
^ Ravegnani 2009, p. 100.
^ Ravegnani 2009, pp. 101-102.
Bibliografia |
Fonti primarie
- (EL) Eunapio, Eunapii Sardiani Fragmenta, in Karl Wilhelm Ludwig Müller (a cura di), Fragmenta historicorum Graecorum, Parigi, 1851, Volume IV, 7–56.
- Trad. it.: Eunapio, Delle Cronache di Eunapio dopo Dessippo, traduzione a cura di Spiridione Blandi; contenuto in Storici minori greci, volgarizzati ed illustrati, Tomo IV, Milano 1831.
- (EL) Prisco di Panion, Prisci Panitae Fragmenta, in Karl Wilhelm Ludwig Müller (a cura di), Fragmenta historicorum Graecorum, Parigi, 1851, Volume IV, 69–110.
- (EL) Malco di Filadelfia, Byzantina libris septem, in Karl Wilhelm Ludwig Müller (a cura di), Fragmenta historicorum Graecorum, Parigi, 1851, Volume IV, 111–122.
- Trad. it.: Malco di Filadelfia, Delle cose bizantine, traduzione a cura di Giuseppe Rossi; contenuto in Storici minori greci, volgarizzati ed illustrati, Tomo III, Milano 1829.
Studi moderni
- Pietro Barinetti, Introduzione allo studio del diritto romano, Tipografia dei fratelli Fusi, Pavia, 1860.
- (EN) Sir William Smith, A smaller dictionary of Greek and Roman antiquities, Londra, 1865.
- Thomas Samuel Burns, Barbarians within the gates of Rome, a study of Roman military policy and the barbarians, ca. 375-425 a.D., Indiana University Press, 1994, ISBN 0-253-31288-4.
- Alan Cameron, Jacqueline Long e Lee Sherry, Barbarians and politics at the Court of Arcadius, University of California Press, 1993, ISBN 0-520-06550-6.
- Maria Cesa, Impero tardoantico e barbari: la crisi militare da Adrianopoli al 418, Como, New Press, 1994, ISBN 9788898238156.
- Guy Halsall, Barbarian Migrations and the Roman West, 376–568, New York, Cambridge Universitary Press, 2007, ISBN 978-0-521-43491-1.
- Peter Heather, La caduta dell'Impero romano: una nuova storia, Milano, Garzanti, 2006, ISBN 978-88-11-68090-1.
- Arnold Hugh Martin Jones, The later Roman Empire, 284-602: a social, economic and administrative survey, Norman, University of Oklahoma Press, 1964, ISBN 9780801833540.
- Giorgio Ravegnani, Soldati e guerre a Bisanzio, Bologna, Il Mulino, 2009, ISBN 978-88-15-13044-0.
- Giorgio Ravegnani, La caduta dell'Impero romano, Bologna, Il Mulino, 2012, ISBN 978-88-15-23940-2.
- Marco Rocco, L'esercito romano tardoantico: persistenze e cesure dai Severi a Teodosio I, Padova, libreriauniversitaria.it, 2012, ISBN 9788862922302.
- Hagith Sivan, On Foederati, Hospitalitas, and the Settlement of the Goths in A.D. 418., in American Journal of Philology, vol. 108, nº 4, 1987, pp. 759-772.
- Giuseppe Zecchini, Il federalismo nel mondo antico, Milano, 2005, ISBN 88-343-1163-9.
Voci correlate |
- Hospitalitas
- Regno cliente (storia romana)
- Battaglia di Adrianopoli (378)
- Foedus Cassianum
.mw-parser-output .navbox{border:1px solid #aaa;clear:both;margin:auto;padding:2px;width:100%}.mw-parser-output .navbox th{padding-left:1em;padding-right:1em;text-align:center}.mw-parser-output .navbox>tbody>tr:first-child>th{background:#ccf;font-size:90%;width:100%}.mw-parser-output .navbox_navbar{float:left;margin:0;padding:0 10px 0 0;text-align:left;width:6em}.mw-parser-output .navbox_title{font-size:110%}.mw-parser-output .navbox_abovebelow{background:#ddf;font-size:90%;font-weight:normal}.mw-parser-output .navbox_group{background:#ddf;font-size:90%;padding:0 10px;white-space:nowrap}.mw-parser-output .navbox_list{font-size:90%;width:100%}.mw-parser-output .navbox_odd{background:#fdfdfd}.mw-parser-output .navbox_even{background:#f7f7f7}.mw-parser-output .navbox_center{text-align:center}.mw-parser-output .navbox .navbox_image{padding-left:7px;vertical-align:middle;width:0}.mw-parser-output .navbox+.navbox{margin-top:-1px}.mw-parser-output .navbox .mw-collapsible-toggle{font-weight:normal;text-align:right;width:7em}.mw-parser-output .subnavbox{margin:-3px;width:100%}.mw-parser-output .subnavbox_group{background:#ddf;padding:0 10px}