Rivoluzione permanente




La dottrina della rivoluzione permanente è una teoria marxista sulle dinamiche di trasformazione politico-sociale durante i processi rivoluzionari nei Paesi arretrati.


Sebbene essa sia strettamente associata a Lev Trockij, il richiamo alla rivoluzione permanente si trova per la prima volta negli scritti di Kark Marx e Friedrich Engels nell'immediato seguito del 1848 nelle loro direttive per il comitato centrale della Lega dei Comunisti.


La tesi venne fatta propria da Trockij a partire da un suo articolo del 1905 sul quotidiano rivoluzionario Iskra, ispirato da Aleksandr L'vovič Parvus che a sua volta conosceva un articolo di Franz Mehring sulla Neue Zeit di quello stesso anno.[1]




Indice






  • 1 Descrizione


  • 2 Note


  • 3 Voci correlate


  • 4 Collegamenti esterni





Descrizione |





Lev Trockij


Il concetto di Trockij di rivoluzione permanente è basato sulla sua valutazione che nei Paesi arretrati il compimento della rivoluzione democratico-borghese non possa essere realizzato dalla borghesia stessa. Questo concetto fu inizialmente sviluppato in alcuni saggi e articoli raccolti nel 1905 in un libro dal titolo Bilanci e prospettive.


La rivoluzione permanente nel significato attribuitole da Marx è una rivoluzione che non transige con nessuna forma di dominazione di classe e che non si arresta alla fase democratica, ma passa alle misure socialiste e alla guerra aperta contro la reazione esterna, una rivoluzione di cui ogni fase è contenuta in germe nella fase precedente, una rivoluzione che si arresta solo con la totale liquidazione della società divisa in classi.


L'idea base della teoria di Trockij era che in Russia la borghesia non potesse portare a compimento una rivoluzione che istituisse la democrazia e risolvesse anche il problema della terra. Queste misure erano considerate essenziali per sviluppare economicamente la Russia e farla uscire completamente dal feudalesimo zarista. Egli deduceva perciò che la futura rivoluzione dovesse essere guidata dal proletariato, che non solo avrebbe dovuto compiere la rivoluzione democratico-borghese, ma avrebbe dovuto proseguire direttamente alla rivoluzione socialista. In questo senso la rivoluzione sarebbe stata permanente o ininterrotta.


Un concetto simile a questo è stato espresso in seguito da Vladimir Lenin (che pure aveva nei primi anni del secolo una posizione parzialmente diversa sulla questione) parlando di «trascrescenza della rivoluzione democratico-borghese» in rivoluzione socialista. Quest'ultima fu l'interpretazione ufficiale bolscevica della rivoluzione d'ottobre almeno fino ai tardi anni venti. Trockij credeva inoltre che un nuovo Stato socialista non sarebbe stato capace di resistere contro la pressione del mondo capitalista ostile a meno che la rivoluzione socialista non si fosse rapidamente sviluppata anche negli altri Paesi. Dopo la morte di Lenin contro la tesi della rivoluzione permanente scese in campo Iosif Stalin, .mw-parser-output .chiarimento{background:#ffeaea;color:#444444}.mw-parser-output .chiarimento-apice{color:red}rompendo con la tradizione dei bolscevichi per cui il socialismo si sarebbe realizzato attraverso lo sforzo comune del proletariato mondiale.[senza fonte] Secondo la fazione stalinista all'interno del Partito Comunista dell'Unione Sovetica in quel periodo non si poteva far altro che costruire il socialismo in un solo Paese entro il territorio dell'Unione Sovietica poiché questa era circondata da Stati capitalisti. La teoria di Trockij fu sviluppata come alternativa alla teoria socialdemocratica-menscevica (teoria degli stadi), secondo la quale le nazioni non sviluppate sarebbero dovute passare attraverso due distinte rivoluzioni: prima la rivoluzione borghese e poi quella socialista.


Dopo la rivoluzione russa Trockij collegava l'involuzione autoritaria del Partito Comunista dell'Unione Sovietica all'isolamento internazionale dello Stato sovietico, costretto a dedicare energie alla difesa e a sopportare senza aiuti il peso dell'arretratezza. Secondo i trockijsti l'Unione Sovietica doveva dunque accelerare il processo d'industrializzazione da un lato e dall'altro favorire l'estendersi del processo rivoluzionario nell'Occidente capitalistico, soprattutto nei Paesi più sviluppati. Trockij voleva esportare la rivoluzione nel mondo tramite l'Armata Rossa e i partiti comunisti degli altri Paesi. Diversi gruppi e partiti facenti riferimento al pensiero di Trockij hanno assunto nel loro programma le conclusioni della teoria della rivoluzione permanente. Per esempio, la teoria della rivoluzione permanente fu riconosciuta di fatto valida e declinata rispetto alla realtà spagnola da Joaquín Maurín, rivoluzionario marxista spagnolo e fondatore insieme ad Andrés Nin del Partito Operaio di Unificazione Marxista. In generale questa dottrina è stata contrastata (e considerata una «deviazione», come tutto il pensiero trockijsta) dalle organizzazioni di sinistra legate all'Unione Sovietica o alla Repubblica Popolare Cinese.



Note |




  1. ^ Alain Brossat, Aux origines de la révolution permanente: la pensée politique du jeune Trotsky, Paris, Maspero, 1974.



Voci correlate |



  • La rivoluzione permanente

  • Rivoluzione mondiale

  • Rivoluzione passiva

  • Rivoluzione proletaria

  • Quarta Internazionale

  • Trotskismo



Collegamenti esterni |






  • Rivoluzione permanente, su thes.bncf.firenze.sbn.it, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. Modifica su Wikidata



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